22/06/11

Ma che succede ad Alex Schwazer? Il campione olimpico rinuncia ai 50 dei mondiali

Già, ma che sta succedendo al Campione Olimpico di Pechino 2008, Alex Schwazer? Notizia "bomba" fino ad un certo punto, stando ai racconti pessimistici che si stavano accumulando a partire dall'anno scorso. Prima il clamoroso ritiro di Barcellona nella 50 km, che seguiva l'argento salutato in maniera rabbiosa e che seguiva a sua volta l'altrettanto clamorosa controprestazione di Berlino. Poi ci sarebbe stata una lunghissima pausa in cui l'altoatesino avrebbe meditato addirittura il ritiro. Quindi l'infortunio a gennaio al ginocchio (sciando?), il cambio di tecnico, da Sandro Damilano (la storia della marcia italiana) all'ex campione del mondo della 20 km Michele Didoni, un altro ragazzo d'oro vittima di un successo che lo cambiò e dal quale non riuscì più a smarcarsi. Se ci si mettesse ad osservare tutto questo, sembrerebbe di vedere un quadro molto confuso, ma che sembra far trasparire un Alex Schwazer non molto felice, confuso, accidioso. Crisi post-olimpica? Perchè no? Chi raggiunge il massimo di uno sport, dopo aver macinato centinaia di migliaia di km, tanta fatica, privazioni, non può arrivare mentalmente ad una sorta di burn-out psicofisico? Mettiamoci poi il carico del peso di un'intero movimento atletico, che praticamente solo su di lui ha basato per un paio di anni le proprie sorti. Grazie a Schwazer c'è stato infatti un Arese II: lui gli salvò il salvabile a Pechino dopo una spedizione catastrofica ma che si riuscì addirittura a peggiorare a Berlino. Da allora si è inanellati una serie impressionante di "zeru tituli" che non avevano mai avuto precedenti per il nostro sport. 
A leggere le cronache di oggi si prende coscienza di una "quasi resa" anche se si lascia aperta la porta dei 20 km di Daegu. Troppi pochi mesi d'allenamento, secondo le fonti giornalistiche. Troppo poco... tutto. 
Non è che per forza bisogna trovare dei colpevoli: del resto è umano arrivare ad un certo punto e avere a noia tutto, anche ciò che ti ha portato al massimo (sportivamente parlando). Le aspettative di tutti, compresi gli sponsor, i bambini che si incontrano quotidianamente: poi la sfiga di essere stato l'unico oro nell'atletica, cosa che ha catapultato tutta l'attenzione del nostro piccolo mondo. 
Il segno preoccupante, secondo me, è stato proprio quel gesto di stizza dopo la 20 km di Barcellona. Ragazzi, era un argento europeo! Non era oro, ma una tappa importante per la carriera di ogni atleta. Probabile sintomo di un'aspettativa superiore alle proprie capacità, o semplicemente un gap tra i desiderata e la realtà, col quale purtroppo ogni atleta nella propria vita si deve confrontare serenamente. Gap che si vince non solo col lavoro, lavoro, lavoro, ma anche con la serenità di fare una cosa che piace. Se diventa un'imposizione, una necessità, un lavoro, tutti i meccanismi si inceppano e anche motori organici perfetti come quelli di Schwazer possono gripparsi. 

Nessun commento:

Posta un commento