28/09/13

Provocazione: e se la smettessimo di parlare di doping a scuola?

Tanto? Quante volte se n'è parlato nelle scuole... davvero? Vogliamo prenderci in giro? Quasi mai direi. Ma poi quali scuole? In quali gradi? In che modo lo si affronterebbe il problema del doping? E i ragazzi, lo recepirebbero questo problema? Invariabilmente, da qualunque discussione, articolo, opinione, in cui si parla di doping esce come unica soluzione affrontabile per sconfiggere la piaga del doping nella società, quella di andare nelle scuole e diffondere questi principi contrari all'uso di sostanze dopanti. Mi posso permettere di dire una cosa, che come al solito risulterà scomoda? Basta con questa baggianata della scuola come panacea di tutti i mali!

Appellarsi alla scuola, si è capito, è il modo di uscire da una discussione con le mani pulite, la coscienza a posto, la soluzione cui nessuno dice di no e con la classica proposta cui tutti assentono senza batter ciglio: tanto poi nessuno materialmente farà nulla con le scuole, si sa. Tanto nessuno andrà nei Ministeri o nei Provveditorati a dire: ehi, bisogna parlare di doping! Ma poi chi dovrebbe parlarne? I professori di educazione fisica? I professori di filosofia? Quelli di analisi? Di Sociologia? E' molto poco prosaicamente la classica non-soluzione all'italiana, la procrastinazione del problema, assolutamente impossibile da diffondere capillarmente e da applicare al nostro sistema scolastico costruttivamente, ma che lo stesso rappresenta in tutti i commenti la panacea a tutti i problemi italiani.

La scuola: quella stessa scuola per la quale i genitori devono comprarsi gli arredi per garantire ai figli un minimo di ambientazione, dove i docenti non hanno una formazione specifica sul doping? (ma vi rendete conto? Chi sa di doping tanto da doversene fare docente?). C'è un problema? Basta andare nelle scuole, no? Ci sono talmente tanti problemi da risolvere attraverso la scuola, che servirebbero probabilmente 24 ore al giorno intensive di lezione per i poveri studenti per capire in che razza di mondo stanno vivendo. Quindi, capite subito come quando qualcuno dice che il problema si risolve a scuola, secondo me, lui per primo sta sottovalutando il problema e non sa come risolverlo... o comunque, risulterebbe una soluzione nel lunghissimo periodo (pensate che razza di operazione capillare, profonda, duratura, onerosa, dovrebbe essere...), senza sapere tra l'altro se avrà mai successo. 

Prendete la piaga della mafia in Sicilia. Come si risolve il problema della criminalità mafiosa? Risposta del 99% di coloro che si esprimono sulla cosa: con la scuola. Ah sì? Ma come? Dicendo cosa? Sapete invece secondo me come si risolve il problema della Mafia, della Camorra e di tutte le criminalità organizzate? Con il lavoro. Date un posto di lavoro a tutti i disoccupati in Sicilia (la manovalanza della criminalità) e vedrete come la Mafia inizierà a perdere il suo potere contrattuale in pochissimo tempo con chi non ha nulla e deve cercarselo in tutti i modi. Anche la quotidiana sopravvivenza. Poi se vogliamo, andiamo nelle scuole a spiegare perchè la Mafia non riesce ad attecchire con chi ha la possibilità di vivere un'esistenza tranquilla. Una realtà concettuale, non sarà mai così aderente come quella fattuale. Soprattutto con i ragazzi. 

Come per il doping. Dire che il doping è sbagliato è una cosa universalmente condivisa. Lo sanno tutti ed è inutile dirlo: è forse il modo di dirlo in una scuola che lo rende più pregnante e convincente? No. I ragazzi sono attirati da milioni di attrattive, e quella del doping sarebbe l'ennesima materia senza significato per la stragrande maggioranza di loro.

Ma allora come si combatte il doping? Penso che il doping esisterà sempre. Perchè? Perchè fa parte dell'indole dell'uomo cercare di avvantaggiarsi sugli altri uomini in tutti i modi. Nello sport, poi, dove la competizione tra uomini raggiunge il massimo della conflittualità (solo dopo la guerra), perchè pensare che ci si trasformi tutti da homo hominis lupus ad agnellus rispettando le regole? E' impossibile: possiamo stare tutto il giorno, tutti i giorni in una scuola, ma la necessità di prevalere gli uni sugli altri emergerà sempre in qualche modo ed in qualcuno, tanto da portarlo a violare le regole. La scuola, nonostante vi siano passati tutti, non ha mai eliso la commissione dei reati in una società, quindi come si può pensare che ci riesca a tabula-rasa nel doping? Fantascienza.

Ho cercato di arrivare ad un piano più profondo e non so se ci sono arrivato: ho però questa idea che vi espongo. Il vero senso della scuola, non è quanto trasmette in termini di nozioni (almeno, non quella dell'obbligo), quanto la socializzazione alle norme (intesa come imparare le regole tacite della società) da parte degli studenti. Al rispetto dell'autorità (il professore), delle gerarchie. La scuola è la forma palese in cui la società insegna ai propri aderenti come viverla in maniera fattiva e funzionale. La lotta al doping quindi non la si insegna nelle scuole sostenendo l'ovvietà che il doping è una pratica vietata, quanto molto più semplicemente facendo capire che bisogna rispettare l'autorità e le regole. Il rispetto delle regole aiuta alla lotta al doping (così come per tutto il resto di devianze sociali) non il sostenere che il doping fa male.

Mia madre ha insegnato per oltre 35 anni; mia sorella lo fa da oltre 10. Ebbene, quando sento parlare delle loro esperienze quotidiane scolastiche, il minimo comune denominatore che emerge in maniera netta, è il progressivo sfaldamento dell'autorità dell'insegnante. L'insegnante è diventato quasi un collaboratore alla pari con gli studenti, uno cui si può ribattere tranquillamente, contestare, insultare, denigrare, diffamare. Nemmeno tanto tempo fa, nell'esistenza di ognuno di noi, vi erano invece più figure autoritarie nel succedersi della vita (il maestro, il professore, l'allenatore, il prete...) che affermavano continuamente la necessità del rispetto di piccole grandi regole, tacitamente o palesemente. Una società in cui non si rispettano le regole, è una società in cui si assiste a tutte le derive possibili ed immaginabili. Il mancato rispetto delle regole, porta alla conflittualità tra i cittadini tradendo il patto sociale che sta alla base del reciproco rispetto.

Questa riflessione mi è scaturita ascoltando Alessandro Donati l'altra sera ad Assago, nell'incontro organizzato dall'amico Marco La Rosa. Il passaggio per me illuminante è stato quello in cui Donati ha tratteggiato uno spaccato del mondo sportivo che si è svegliato un bel giorno col tempio inaccessibile di convinzioni violato dalla magistratura. La legge penale, e non quella sportiva e le organizzazioni che ne fanno parte, è riuscita a scardinare il portone omertoso e connivenziale del mondo del doping. La legge penale (almeno, quella italiana...) non si ferma al consumatore, al drogato, ma cerca anche gli spacciatori (i dopatori), gli organizzatori, le reti malavitose: com'è giusto che sia in una società che vuole debellare una piaga sociale! Questa è l'unica soluzione. La repressione di tutta la rete! Pensate che la legge penale in Italia è talmente evoluta da punire anche chi "assume", fattispecie che non è invece prevista dalla normativa per gli stupefacenti, per cui i consumatori al massimo incorrono in sanzioni amministrative e solo se trovati in possesso di piccoli quantitativi di droga sufficiente a scagionarli dalla possibile cessione. Il consumo di fatto non è punito, ma tutto quello che c'è prima sì.

Come dice Donati: il mondo (di connivenze) dello sport invece ci ha fregato tutti: l'unico colpevole universalmente riconosciuto rimane quel povero pirla dell'atleta, solo nella sua stupidità, apparentemente autonomo in tutto: dall'acquisto delle sostanze dopanti, ai fantasiosi suppellettili per occultarle, ai fantasmagorici viaggi per acquistarla, ai metodi naif di conservarli ed inocularli (servirebbero equipe mediche, ma loro ci riescono da soli: campioni in medicina). Piccoli chimici crescono... e noi chiaramente siamo tentati a crederci. Cazzate. Il doping è necessariamente una rete, una ragnatela di persone che punta ad un profitto (da una parte sportivo, dall'altra economico e per qualcuno politico), che va sconfitta con un'azione repressiva che deve essere edulcorata dal sistema sportivo (come sostiene Donati). Io ci vedrei bene un pool di Carabinieri o di poliziotti, specializzati, attinti dalle risorse umane derivanti da ruoli tecnici già previsti nelle forze dell'ordine (come tecnici di laboratorio e chimici) che operino solo in ragione di un obiettivo super-specialistico e che oggi è una piaga sociale con un arcobaleno di ripercussioni negative sulla società. Gli organismi di natura elettiva, politica, rappresentativa, sportiva, si è capito abbastanza chiaramente, sono troppo tentati a chiudere un paio di occhi a testa alla volta sulle pratiche poco ortodosse dei propri adepti... E se lo lascia intendere Donati, io gli credo. Voi no?

24/09/13

L'insegnamento di Devis Licciardi: forse è il momento di fare scelte drastiche

Ne hanno scritto tutti i media della vicenda di Devis Licciardi, beccato con un pene finto all'esame antidoping. Lungi dal voler fare le trite e ritrite filippiche contro il doping, che sono perfettamente inutili perchè condivise universalmente (anche da chi viene beccato, sia falsamente prima, che colpevolmente dopo), bisogna trovare necessariamente un aspetto educativo alla vicenda, altrimenti fermiamoci con la sola notizia: Devis Licciardi, così scrivono tutti i media, è stato trovato con un pene finto durante un controllo antidoping. Sarà sentito dalla Procura antidoping del CONI (presumo) e quindi verranno presi i dovuti provvedimenti nei suoi confronti (presumo). Punto. Se volete potete fermarvi anche qui. 

Se invece vogliamo fare una riflessione, proviamo a sviluppare alcuni punti della vicenda, anche grazie ad un articolo comparso sulla Gazzetta di qualche settimana fa, a firma di Giorgio Rondelli. Nell'articolo, cito testualmente: "«...Quando oramai nessuno ci credeva più, ecco che ad aprile scorso arriva la svolta: i dirigenti dell'Aeronautica gli comunicano che a fine anno verrà dismesso dal gruppo sportivo e dovrà andare a fare servizio. La svolta. La notizia invece di deprimerlo gli mette letteralmente le ali ai piedi. Cosi Devis inizia subito ad allenarsi in altura, al Terminillo, sotto la guida esperta di Angelo Carosi, grande siepista azzurro degli Anni 80 e 90. I risultati arrivano...»". 

Al tempo in cui la lessi, commentai sarcasticamente che appariva un pò inelegante questa "svolta" epocale: sembrava che da un giorno all'altro Licciardi si fosse svegliato, pungolato dalla prospettiva di essere catapultato alla porta d'uscita del gruppo sportivo dell'Aeronautica, e avesse iniziato a fare finalmente sul serio con quello per il quale il contribuente lo pagava. E fino a quel momento che cosa avrebbe fatto? La domanda mi sembra più che lecita. Ora, in qualche modo, si è venuti a conoscenza cosa gli avrebbe messo le ali ai piedi (sia lecitamente che eventualmente illecitamente), cioè la prospettiva di dover entrare nel famigerato e pretenzioso mondo del lavoro. Quale cataclisma! 

Tralasciando la vicenda del doping. questa storia entra a fagiolo nella nostra campagna di "sensibilizzazione" alla professionalizzazione di uno sport come l'atletica. Perchè dovrebbe entrarci? Perchè è la prova provata che il semiprofessionismo all'italiana (di Stato) garantisce livelli medio-bassi di qualità prestativa (benchè con una riserva pressochè inesauribile di atleti, dovuta alle possibilità infinite di tesseramento da parte dei gruppi Statali) e questo ha come inevitabile portato anche l'emergere di dinamiche di sopravvivenza all'interno dei gruppi sportivi con tutti i mezzi possibili. Il livellamento, cioè, è avvenuto verso il basso, così come già riferito più volte, deprimendo il talento ed esaltando la mediocrità. Ora, io non so se Licciardi vada sotto la prima o la seconda categoria, e non voglio nemmeno lanciarmi in giudizi sulle sue qualità tecniche: servirebbe un tecnico del mezzofondo. Però...

Le informazioni presenti nell'articolo di Rondelli (che lo aveva allenato qualche stagione fa, prima che questi cambiasse un paio di stagioni fa il proprio tecnico) successive all'8'30" sui 3000 siepi (con un miglioramento sensibile sul proprio primato personale) dove cioè la scintilla in Licciardi sarebbe scaturita non da obiettivi di carattere sportivo o obiettivi prettamente agonistici (come ci si aspetterebbe da atleti pagati per fare gli atleti) ma dalla più tangibile ed imminente dismissione dal gruppo sportivo, aprono uno squarcio inquietante sul mondo dell'atletica dei gruppi sportivi statali. Dobbiamo cioè credere che vi sia chi, pagato dal contribuente, non ottemperi al proprio obbligo morale ed istituzionale di impegnarsi per quello per il quale viene stipendiato? Che lo faccia con sufficienza? Non è questo che si intuisce tra le righe di quell'articolo? 

Del resto i risultati parlano chiaro: la stragrande maggioranza degli atleti statali in Italia si allena certamente tanto, ma come scritto già diverse volte, non eccelle e non può eccellere per le lacune di questa specie di semiprofessionismo che dà sì qualche risorsa (in primis il tempo, oltre che uno stipendio non certo da nababbi) ma assolutamente insufficiente per professionalizzare una categoria che avrebbe bisogno di molteplici risorse per mille aspetti della vita dell'atleta pro. La presenza di questo gap strutturale innesta in quegli atleti una rincorsa impari con i propri competitors internazionali: ormai lo dico apertamente da tempo. E' inutile aspettarsi i miracoli da questa atletica all'italiana, costretta a confrontarsi con chi il professionista lo fa davvero. Per la legge dei grandi numeri, è chiaro, ogni tanto ci scapperà la medaglietta, ma sarà sempre frutto di un caso statistico, più che figlia di un'organizzazione funzionale quale ci si aspetterebbe dalla Fidal. Quella ce l'hanno gli USA, la Germania, l'Inghilterra. Non certo l'Italia. 

In questo panorama di sfasamento, non poteva non concretizzarsi un caso Licciardi, nonostante la sua assurdità e illiceità (se dimostrata, chiaramente). Nella massa di quasi 300 atleti statali semiprofessionistici, di cosa ci scandalizziamo se qualcuno di loro cerca di rimanere attaccato con le unghie a quello che è un privilegio per pochi? Del resto nessuno pretende nulla da loro, no? Non sono professionisti... solo un pizzico. E visto che solo 4 o 5  di loro possono ambire a qualcosa che non sia la sola ribalta nazionale, perchè non cercare di rimanere nel gruppo sportivo per quanto più tempo possibile? Ingiustificabile ma con una sua quadratura logica.  

Ribaltiamo la questione: possiamo oggi permetterci la sussistenza di questi atleti semiprofessionisti? Andiamo alla radice del problema, ovvero la ragione per la quale esiste lo sport di Stato, ovvero una mera questione di immagine, di trasmissione d'autorevolezza dell'apparato statale verso i cittadini. Dovrebbe cioè rafforzarsi in noi contribuenti l'idea di uno Stato capace e funzionante con l'apprendere delle gesta sportive degli atleti statali. Lo Stato si nutre e si deve nutrire della propria immagine, per trasmettere i propri valori educativi. Anche da questo punto di vista (mi sa) si sta perdendo la battaglia. Probabilmente si è superati il punto zero, e urgerebbe rivedere le forme di tesseramento spostandosi verso forme più selezionate e qualitative. Probabilmente bisognerebbe ridurre i numeri... anche se non si risolverebbe il problema, ovvero il professionismo dell'atletica, che nasce solo ed esclusivamente con il Dio Denaro. Si limiterebbero le "devianze" diciamo, arginando le forme di surfing istituzionale di chi a certe condizioni non riesce a soddisfare nemmeno i minimi standard di dignità sportiva per rimanere nei gruppi sportivi. 

A meno che si individuino nuove forme di aggregazione e tesseramento, che purtroppo nascono solo seminando denaro. Mammona. Ma purtroppo, come altre volte detto, il sistema integrato dei gruppi sportivi statali in Italia tutto fa, tranne che attirare risorse a partire dal denaro. Nessuna azienda può infatti sponsorizzare i gruppi sportivi statali (se non limitandosi a cedere materiale tecnico) proprio perchè statali... Lo Stato che fa impresa? Vi vedete la Nike che paga la Polizia? O la Finanza? O i Carabinieri? Vi rendete conto che abisso giuridico si aprirebbe se ciò avvenisse? Ecco, quindi i capitali vengono strutturalmente allontanati dall'atletica di vertice statale che detiene però il 95% degli atleti top in Italia. E chi dovrebbe sponsorizzare la Nike di turno? Le società mediocri che non hanno alcuna visibilità perchè non hanno nessun atleta con un minimo di visibilità? Capite che razza di arma a doppio taglio è l'atletica di Stato? Da una parte consente la sopravvivenza di una parvenza di atletica di vertice incapace però di proporsi sul piano internazionale, dall'altra deprime qualsiasi forma recettiva di risorse, che non siano appunto quelle (deficitarie) dello Stato.

Concludo con Licciardi. Licciardi, è stato sicuramente vittima e carnefice di sè stesso, ma non possiamo ipotizzare che questa sua scelta sia stata dettata anche da un sistema che consente a forse troppi atleti di godere di una condizione privilegiata tanto da volerci rimanere a tutti i costi e a qualunque condizione?

22/09/13

Il problema della Fidal post-Mosca è la posta di Laurent Ottoz

Leggendo le risposte ad un ironico e pungente post di Laurent Ottoz su facebook relativo alla posta personale che ancora gli sarebbe recapitata presso la Fidal di Roma dove aveva rivestito il ruolo di Consigliere Federale per 8 anni (e il conseguente monito ufficiale da parte degli Uffici Fidal, per i quali non sarebbe stato più gradito) ecco che si palesa tra i diversi commenti che hanno canzonato la situazione, quello che dovrebbe appartenere al neo Consigliere Federale Alessandro Talotti, ex saltatore in alto. Qui sotto riporto la sua filippica, pubblica, alla quale naturalmente ognuno potrà dare la propria personale interpretazione. Ipse Dixit...

Alessandro JJ Talotti - Leggendo per caso questo post (quello di Laurent, n.d.r.) mi sono stupito di tale fatto di cui non ero a conoscenza. In quanto consigliere in quota atleti ho chiesto maggiori spiegazioni, peraltro dispiaciuto dei toni usati e dei commenti. Con grande stupore sono però venuto a conoscenza dei fatti da te riassunti nel post e, sperando di chiarire l'accaduto, riporto di seguito la spiegazione della comunicazione a te inviata. Giusto per capire. Laurent utilizza da più di quattro anni la FIDAL come il suo ufficio postale personale. Da quando non è più consigliere non ha in nessun modo cambiato abitudini. Non si tratta di ricevere lettere, giornali o comunicazioni a cui non si è riusciti a comunicare il cambio d’indirizzo. Da quando non è più consigliere ha sistematicamente, continuativamente e con notevole frequenza, acquistato via internet beni e prodotti di svariato tipo indicando come residenza la sede della FIDAL. I pacchi, le scatole i giornali in abbonamento le buste e ogni altro genere di posta indirizzata a Laurent Ottoz viene recapitata in FIDAL. La responsabile del protocollo firma, riceve il pacco e lo mette nell’armadio della segreteria generale. Laurent passa a ritirare la sua roba quando desidera. Casualmente in questi mesi le tante volte in cui è venuto a ritirare i suoi acquisti ha sempre scelto momenti in cui io non era presente il segretario generale. Curioso, no? A volte succede che i pacchi vadano smarriti, tipico degli acquisti su internet, in questi casi la solerte dipendente FIDAL si preoccupa di telefonare e cercare dove sono finiti gli acquisti del tesserato Ottoz Laurent dedicandovi tutto il tempo necessario a risolvere la difficile problematica. Il tutto ovviamente in orario d’ufficio e a spese della FIDAL stessa!!!! Venerdì 13 il nostro è venuto a ritirare un grande pacco, talmente grande da doverlo fare con un mezzo capace di contenerlo unitamente a due buste e due riviste. Lunedì invece ha ricevuto una scatola e una rivista mensile che al momento sono custodite nell’armadio dell’ufficio del Segretario Generale in attesa che il destinatario venga a ritirarle. Venuto a conoscenza del fatto e della consuetudine ho detto alla dipendente che la cosa mi sembrava: poco corretta e niente affatto opportuna e che, anche volendo tralasciare argomenti di sicurezza e responsabilità, in futuro tali pratiche andavano censurate. Ma la vera domanda è un’altra ed è piena di punti interrogativi. Ma perché Laurent Ottoz non si fa spedire plichi, pacchi, corrispondenza, giornali e quant’altro a casa sua invece che in FIDAL? Perché non se li fa spedire a casa dalla mamma dato che come pare evidente dai post su facebook la mamma non vede l’ora di poterli ritirare? Perché non, per esempio, sul suo posto di lavoro dove, tra l’altro essendo una caserma ha una copertura h24 di massima sicurezza per il ritiro di qualunque pacco e/o corrispondenza invece che la FIDAL di cui è un tesserato come altri 300.000???? ma soprattutto. Come mai nessun tesserato, nessun ex Presidente, nessun ex Consigliere Federale e nessun ex segretario Generale si fa inviare alcun tipo di corrispondenza in FIDAL come fosse la sua residenza privata non una volta per sbaglio/per refuso o per non essere ancora riuscito a cambiare recapito, ma con regolarità e frequenza? Ma ancora, come mai il Presidente o i consiglieri federali in carica o il segretario non utilizzano l’indirizzo della FIDAL come luogo di domicilio per farsi inviare qualunque tipo di comunicazione non strettamente legata al proprio ruolo istituzionale? Perché le persone normali dotate di un minimo senso ed educazione civica non utilizzano la cosa pubblica come proprietà privata e si fanno mandare le cose a casa propria? Ma la cosa ancora più assurda è che invece di scusarsi e ringraziare per la disponibilità sin ora garantita insulta gratuitamente e ancor più mente spudoratamente. E’ proprio vero, citando Laurent Ottoz nel suo post delle 23:17 del 16 settembre“ come dicono a Napoli è inutile innaffiare col rum….. uno stronzo non diventerà mai un babà!!!!” Meditate gente meditate.

Appunto, meditiamo gente. Meditiamo. Naturalmente per avere la versione di Laurent su tutte queste accuse, basterà leggere la sua risposta nel proseguo del medesimo post. Molto meno prosaicamente, a me sembra che in Fidal evidentemente il problema della posta di Laurent sia a tal punto sentito, da aver fatto scrivere al Consigliere Talotti più di qualunque cosa che riguardasse la spedizione ai mondiali di Mosca (se eventualmente ci fosse, giratemela che sono curioso conoscere il suo pensiero sulla cosa). Ehi, ragazzi, non innervosiamoci che sono passati solo 9 mesi dall'insediamento! Se iniziamo così, si finisce con un esaurimento tra tre anni... ma sicuramente con meno fastidiosa posta di Laurent per la Fidal.

19/09/13

Orvieto '13: le F50

il photofinish del record della Signori
Continua la carrellata categoria per categoria dei Campionati Italiani Master di Orvieto. Dov'eravamo rimasti? Ah già, alle F50. Iniziamo col botto, ovvero con il record italiano dei 100 F50 ottenuto addirittura in batteria da Marinella Signori: 13"28 con 0,1 di vento. E quindi deve partire subito lo srotolamento dei papiri dei record per vedere dove capita questo record. Ebbene, il record era detenuto niente-popo-di-meno che da Daniela Ferrian, che nel 2011 corse in 13"47 a Mondovì. Giusto per non farci mancare nulla, questa è la cronologia del record: 
  • 13"99 - Umbertina Contini - Padova, 15/04/2000
  • 13"51 (-2,0) - Daniela Ferrian - Villanova D'Asti, 25/04/2009
  • 13"47 (0,3) - Daniela Ferrian - Mondovì, 12/06/2011
  • 13"28 (0,1) - Marinella Signori - Orvieto, 29/06/2013
In finale, purtroppo, nonostante il vento di un metro a favore, arriva il titolo, ma non il record, benchè ancora sotto il precedente primato: 13"33. 8° titolo individuale per la Signori (il 6° sui 100: 2 gli scudetti sui 60 e nessuno sui 200). Proprio sui 200 poteva essere la volta buona, invece la specialista Annalisa Gambelli (record italiano indoor F50 e outdoor F45 l'anno scorso, all'ultimo anno di categoria), non ha perso la testa, e si è imposta di poco più di due decimi sulla stessa Signori: 28"15 a 28"37. E' questo il suo secondo titolo italiano di sempre, dopo quello sempre sui 200 ma al coperto, specialità dove quest'anno ha detto legge. E' la toscana Gianna Lanzini invece la dominatrice dei 400: 1'06"11 sull'1'07"61 della seconda, Mirella Giusti. La Lanzini è al 4° titolo consecutivo sui 400 tra indoor ed outdoor, in soli due anni, tra le F50. 7° titolo individuale, e 12° complessivo con le staffette.

Nel mezzofondo veloce, sarà invece proprio la citata Mirella Giusti a intascarsi il titolo sugli 800: 2'37"08, e seconda stella, ovvero 20° scudetto (comprensivo delle staffette) e 2° titolo sugli 800. Il primo era stato vinto proprio quest'anno ai Master-Indoor. Prima doppietta ad Orvieto tra le F50, è quella di Alba Vitale che fai suoi i 1500 (5'21"07) e poi i 5000 (20'14"90). Primi due titoli nazionali nel suo carnet. E poi i 2000 siepi, che rappresentano la prima volta che la specialità vede al via delle atlete F50 ad un campionato italiano... anzi, in assoluto. Di conseguenza, la vincitrice, Patrizia Passerini, stabilisce come ovvio il record italiano: 8'19"16. Secondo titolo individuale per la Passerini, che vantava tra i suoi ori, quello nel pentathlon conseguito proprio quest'anno. 

Ostacoli alti e bassi orto di Erika Niedermayr, vincitrice sia degli 80hs che dei 300hs con 13"28 e 54"96. 11 titoli italiani nel suo pedigree, di cui 5 sugli 80hs (gli ultimi 3 consecutivi) e 3 sui 300hs (anche questi consecutivi).

Scontro titanico nel salto in alto, vista la contemporanea presenza di Chiara Passigato e Francesca Juri. Entrambe entrano a 1,29 e la saltano alla prima. La Passigato, visto il referto-gara, sembra aver meritato la sfida, considerato che dopo quel primo salto, Francesca inizierà ad avere seri problemi sia a 1,32 che a 1,35, passati alla terza (mentre la Passigato farà percorso netto), a 1,38 si decide la gara: la Juri uscirà, mentre Chiara passa e vince la medaglia. Nell'asta Carla Forcellini, pluricampionessa mondiale-europea, si porta a casa il 24° titolo italiano (forse ce n'è qualcuno in più: i dati di alcuni campionati italiani devono essere ancora inseriti) con 2,90. Gara tiratissima nel salto in lungo, dove il vento c'ha sicuramente lo zampino. La prima zampata la mette la primatista italiana di categoria, Graziella Santini: 4,28. Al secondo la Santini incrementa: 4,49 con 2,7, con Paola De Santi a 4,36 (2,2 di vento) e Mariangela Piga a 4,22 (con 3,1). Al 3° jump la De Santi si avvicina alla testa: 4,45 (1,1) e poi schiaccia alla 4^: 4,54 (con un vento abbondante di 4,3 che non conta naturalmente per il titolo). La Piga sale a 4,27 (che ripeterà al 5°) ma è sempre terza. Arriva l'ultimo turno: la Piga mette il salto della vita: 4,56 (2,9) due centimetri in più della De Santi, e 7 della Santini. Piga campionessa italiana per la 4^ volta, e sempre nel lungo. Si va al triplo, dove la Juri si "consola" dell'argento dell'alto, vincendo con 9,27 (-0,9), 17° titolo individuale della carriera.

Anna Magagni al secondo lancio, sancisce la vittoria nel peso: 10,18, e i suoi titoli italiani complessivi dovrebbero essere 28. Titolo del disco mai in discussione: Barbara Bettella con 31,20 uccide la gara al terzo lancio e conquista il proprio 3° titolo italiano. Marzia Zanoboni fa invece doppietta martello-martellone: nel martello 36,92, e 12,06 nel martellone e i titoli personali salgono a 15. Ultimo lancio il giavellotto, vinto da Eleonora Begani: 29,77 e 4° scudetto.

Nella marcia è Dominque Ciantar Lequo a vincere el titulo italian. 29'52"24 e arriva anche lei al 4° titolo italiano. Infine le staffette vinte dalla Assi Giglio Rosso di Firenze nella 4x100 con 56"83 e bissa il titolo vinto nel 2011 nella stessa categoria. Assi Giglio Rosso che bisserà il titolo nella 4x400 con 4'43"88.

Già pubblicato

18/09/13

il grande Pietro e quel qualcosa che non è mai stato detto

Come scrivevo al tempo della scomparsa di Pietro Mennea, c'è una nota che continua a stonare terribilmente nel mondo dell'atletica italiana nel proprio rapporto con il più grande atleta di sempre, il nome-cognome di questo sport nel mondo. Lui è rimasto dentro ognuno di coloro che hanno amato l'atletica, per questa sua immagine di ometto normalissimo, col fisico quasi da collega d'Ufficio, ma che per quasi due decadi ha legnato il gotha dello sprint mondiale. Pensare al collo taurino di Allan Wells, al suo volto da boxeur, il fisico scalpellato in un blocco estirpato dalle scogliere di Dover, e poi... cambiare inquadratura, e vedere la magliettina bianca sotto la canotta azzurra di Mennea... quasi a nascondere il fisichino per pudore: ma come ha fatto? Come faceva poi a sovvertire pronostici già scritti? Oppure messo di fianco al bisonte russo Borzov, uomo robotizzato, figlio della technological rush dovuta alla Guerra Fredda, e quel ragazzotto pugliese dall'età indefinibile, così "normale"? Ma non voglio lanciarmi nel tratteggiare l'ennesima elegia di Pietro (lo chiamo per nome, perchè nel nostro vissuto sportivo era una sorta di amicizia inconscia, immanente in tutti noi) perchè tutto è stato già detto e scritto.

Quello che sottolineo per la seconda volta parte da lontano, ma dà la misura di quello che voglio dire. Ero all'Arena di Milano, in una pausa di un allenamento e si discorreva con qualche allenatore sulle imminenti elezioni federali, cosa della quale mi disinteressavo completamente: mi interessava correre, mica impegolarmi in quelle cose. Eravamo alla fine degli anni '90, e mi intromisi ingenuamente in quella discussione, facendo un'affermazione che ritenni assolutamente lapalissiana: "ma perchè non lo fa Mennea il presidente della Fidal?". Attimo di astonishment generale. Il sasso lanciato in mezzo allo stagno che ferma il tempo per un momento che sembra infinito. Poi mi rispose un allenatore, di cui ricordo bene il volto nel momento in cui mi parlava, ovvero storcendo la bocca: "mah... Mennea è stato un grande atleta, ma... non lo vuole nessuno. Non sarebbe in grado di guidare l'atletica italiana". Questo il senso delle sue parole che erano evidentemente condivise dal capannello di persone con cui parlavo. Ci rimasi male... feci la figura del pirlotto. Mi resi conto che probabilmente c'era altro sotto. Non sapevo "cose".

Ma cosa poi? Perchè chi ha guidato l'atletica italiana negli ultimi 20 anni, che miracoli ha poi realizzato? Avete visto miracoli in giro? O alla fine si riduce tutto ad una questione di fede?

La settimana scorsa si è tenuto il Mennea Day... trovata geniale, davvero. Non scherzo. Centinaia di persone a celebrare il più grande atleta italiano di sempre nella sua gara. 200 metri in suo onore. Giustamente. Bellissima e dovuta idea. Riconoscimenti urbi et orbi, tutti concordi a sottolineare la sua grandezza che rimarrà probabilmente intoccata alle nostre latitudine per chissà quante centinaia di anni. Poi leggo anche di lodevoli incontri per ricordarne le gesta: bè, per provare brividi, basterebbe riguardarsi la sua finale di Mosca in silenzio col commento "sorpreso" di allora di Paolo Rosi). Tutto bellissimo, ma... comunque la si giri, a me mancano 25 anni di Mennea all'appello, ovvero da quando smise a quando, purtroppo, venne a mancare.

Non ci si può dar pace oggi, c'è qualcosa di ipocrita in fondo. Dov'è stato Mennea in tutti questi anni? E' diventato un uomo di successo, impegnato in mille attività in ognuna delle quali è diventato qualcuno. Perchè non l'atletica? Su facebook ho notato la presenza di molti atleti dal passato glorioso: tutti evidenziano il loro trascorso sportivo, chi più, chi meno: ma quella è la loro immagine pubblica. In pochi lo nascondono, o cercano di bypassarlo in quel calderone personale che è il social network. Chi ha avuto tanto dallo sport, ci rimane legato a vita. Ed è mai possibile che l'unico indifferente al proprio mito ne sia stato proprio il protagonista? Lui che andava nelle scuole a parlare di sport? Non ci credo proprio.

Come scrivevo la settimana dopo la sua morte, possibile che Pietro abbia poi odiato tanto l'atletica da diventarne un oggetto estraneo? Mi interrogavo, allora: è Pietro che si è allontanato dall'atletica, o è l'atletica italiana che si è allontanata da Pietro? Oggi penso che la risposta giusta sia la seconda, senza nemmeno tante elucubrazioni: non so se fosse una persona scomoda, o che andava lusingata per essere convinta (e francamente, andava lusingata!), ma nessuno si è mai chiesto se tutte le diverse cordate federali che si sono succedute in questi 25 anni anni, abbiano mai pensato di coinvolgere Mennea con un ruolo apicale in Fidal?

Ammetto l'ignoranza in materia: può essere pure successo e me lo sono magari perso... ma intimamente non lo penso. Non può esserci mai stato nessun dirigente dell'atletica italiana che abbia voluto Pietro al suo fianco: troppo ingombrante, troppo "uomo", troppo famoso. Mennea non era uomo utile a questa atletica italiana frammentata, impegnata più a mantenere piccolissimi ed infimi privilegi piuttosto che ad avere uno sguardo globale e educativo di questo sport. Non andava bene, e non sarebbe mai andato bene "strutturalmente", perchè Pietro avrebbe voluto dire rivoluzionare la filosofia dell'atletica in Italia. Se avete per caso assistito alla mia chiacchierata con Pietro al telefono, quando Mario Longo riuscì a trascinarlo nella corsa alla Presidenza della Fidal, tutto quello che in questi anni si è ritenuto essere vitale, non l'ha nemmeno considerato. Ammetto che allora mi dissi: "Cavolo, Pietro entra in un mondo che non conosce molto...". Oggi, ritengo che ero io che ero "embeddato" dalla parte sbagliata della barricata.

Non ne sapeva quasi nulla di società civili, militari, organizzazione della Fidal... Parlava di scuola, valorizzazione dello sport: premeva sugli aspetti educativi. Possibile? Temi che non hanno avuto un passato, non hanno un presente, nè avranno un futuro. Oggi serve solo il risultato finale, su quello si può costruire qualcosa: questo è il pensiero dominante. Eppure i risultati dell'atletica italiana a livello internazionale parlano chiaro: l'atletica di vertice è incoerente senza professionismo, o con il semi-professionismo di Stato, al quale si aggiunge qualche contributo della Federazione. Serve davvero ripartire da basi più solide, qualcosa con l'aggettivo educativo accanto, infischiandosene dei risultati apicali, per concentrarsi su quelli di pura diffusione dello sport e più rivolta alla base. Poi sarà inevitabile che arrivino i risultati. L'idea di atletica di Mennea non aveva e non avrebbe mai avuto spazio.

Oggi, dopo aver compreso molti dei meccanismi alle ultime elezioni federali, molti dei quali davvero riprovevoli, mi son reso conto che la nostra battaglia (partita da Mario Longo) per avere Pietro come Presidente della Fidal, ha rappresentato qualcosa più che velleitario. Eravamo un pò illusi, ma insomma: alla fine è stato l'unico tentativo a me noto di avere Pietro a capo dell'atletica italiana. Mi rincresce davvero: potessero votare gli appassionati o i semplici tesserati, non ci sarebbe mai stata storia. Ma come sapete, non è così. E non lo sarà mai. Mi piacerebbe sapere quanti, tra tutti i dirigenti dell'atletica, in quei pochi mesi in cui si provò a far passare questa idea con un Mennea uomo forte della Fidal, si avvicinarono o appoggiarono Pietro. Quanti saranno stati Mario? Tu lo sai?

Concludo con una riflessione molto amara e che mi ha spinto a non partecipare al Mennea-Day: di Pietro ce ne si è ricordati tutti solo dopo la sua morte. E negli ultimi 25 anni, dov'eravamo tutti? Anzi, dov'erano? 

16/09/13

Orvieto '13: gli M45

La categoria sicuramente più pirotecnica dell'intero circus master, anche perchè tra le più affollate del panorama over-35. Categoria caratterizzata da moltissimi dualismi, che in determinate specialità divengono vere e proprie guerre puniche dato l'affollamento al vertice. Anzi, qualcuno che oggi non arriva al podio, fino a 4/5 anni avrebbe addirittura vinto... adesso si deve accontentare di fare il gregario di lusso a veri e propri fenomeni di longevità. E iniziamo con la sfida delle sfide, ovvero Alfonso De Feo vs Mauro Graziano. Sui 100, dopo le batterie più o meno rilassate, scontro stellare che finisce spalla-a-spalla: 11"05 (leggermente ventoso) per entrambi! Sarà il photofinish a discriminare i due a favore del materano, che intascherà anche il suo primo titolo della storia sui 100 dei 9 individuali vinti. Proprio nel tuffo finale, avviene però il fattaccio: Graziano deflagra a terra e si spatascia la fiancata destra. Inutilizzabile per i 200, dove avrebbe fatto vedere i sorci verdi ad Alfonso, visti i tempi clamorosi corsi tutto l'anno: sfidone mancato. Niente male comunque: De Feo piazza la doppietta con un 22"89 corso con 1,3 di vento contro, vincendo quel titolo che ad Ancona, proprio quest'anno, gli era stato negato per un'invasione di corsia. Nei 400 vince il suo primo titolo individuale di sempre Pierluigi Acciaccaferri, con 53"32, di 13 centesimi su quel Sergio Ruggieri che sugli 800 farà il suo capolavoro.

Sergio Ruggieri infatti, sul doppio giro, mette giù la gara a brutto muso, alla Rudisha: chi ha le palle mi segua! Passaggio in 58"8, e poi record italiano che traballa paurosamente: 1'59"35 contro l'1'59"22 di Giuseppe Romeo del 2008. A proposito: lo stesso Ruggieri, solo una settimana dopo, riuscirà a sfondare il record e il muro dell'1'59": 1'58"93 a Roma. Dietro di lui si difende come può un coriaceo Francesco D'Agostino, quest'anno primatista al coperto, e che nulla avrebbe potuto per arginare lo strapotere di Ruggieri in quel giorno. D'Agostino che arriverà secondo anche sui 1500, superato dal compagno di società di Ruggieri, Fabio Solito, che si guadagna anche lui il suo primo alloro nazionale con 4'14"87. Nei 5000 Adriano Pinamonti mette la doppietta nel 2013 su 5000 e 10000 (il secondo è il titolo vinto a Gorizia), correndo in 15'49"86. 11 i titoli italiani master in carriera. 3000 siepi a Giuseppe Miglietti con l'ottimo tempo di 10'28"52 e anche per lui noviziato tra i titolati master. Il suo è il secondo tempo di sempre tra gli M45 per vincere un titolo italiano nella specialità.

Si passa agli ostacoli, dove troviamo la doppietta di Raffaello Baitelli: 110hs in 17"29 e 400hs in 1'03"44, e così il suo score sale a 4 scudetti italiani, comprensivi di un 4hs del 2011 e al decathlon del 2012.

Il salto in alto è di Cesare Utile, con 1,72, ma che a 1,66 stava perdendo la gara nei confronti di Giuseppe Altamura. Altamura la misura la centra alla prima, Utile alla... terza. Sarà a 1,69 che finirà la gara e dove uscirà Altamura (e passata alla seconda da Cesare). Primo titolo per lui. Alessandro Guazzaloca è invece il vincitore del salto triplo con l'ottimo 13,43 (ventoso) e con oltre un metro di vantaggio sul secondo classificato. 3° titolo italiano per Alessandro. Il solitario Giancarlo Marotta vince l'asta con 2,80 (primo alloro tricolore), ma sarà poi nel lungo che avverrà l'imponderabile. Massimiliano Rizzieri infatti dopo un 6,26 ventoso, al terzo salto plana a 6,62 con 1,2 di vento: nuovo clamoroso record italiano di categoria, da un protagonista che, almeno personalmente, non mi aspettavo. Sorpresa anche perchè si tratta del suo primo titolo italiano: il data base parla di altri due titoli vinti da un Rizzieri nel lungo, ma siamo a metà degli anni '80. Rizzieri è del '68, quindi primo anno di categoria. Gli scarni dati del database della Fidal, invece, parlano di un'attività agonistica cominciata (o ricominciata) nel 2012 con un solo 200 e un solo 400. Poi un 5,74 nella prima gara di lungo a Borgaretto due settimane prima di Orvieto, e quindi l'esplosione agli italiani master, sua seconda gara del 2013 nella specialità. Giusto per completezza dei risultati, Michele Ticò all'ultimo salto degli italiani, arriverà a 5 centimetri del neo-record, insabbiandosi a 6,57 (anche se ventoso stavolta). Questa la cronologia recente del record:

  • 6,49 (np) - Davoglio Delfino - Verona, 19/06/1983
  • 6,54 (0,6) - Menotti Franco - Gorizia, 17/09/2006
  • 6,62 (1,2) - Rizzieri Massimiliano - Orvieto, 29/06/2013
Nel peso, gara a sportellate tra Emanuele Tortorici (poi vincitore) e Nicola Piga. Al primo lancio Piga davanti 11,12 a 10,97. Al secondo allungano entrambi, ma Piga ancora avanti: 11,45 a 11,37. Piga aumenta al terzo, 11,59, col nullo di Tortorici. Al 4° sorpasso: Tortorici fucila l'11,69, col nullo di Piga, che al 5° risponde con 11,62. Ultimi lanci con le polveri bagnate... e Tortorici campione per 7 centimetri. 8° titolo italiano per Tortorici, il secondo consecutivo nel peso M45. Piga invece si accontenta anche nel disco del secondo rango, battuto stavolta da Lorenzo Garganese: 37,01 a 34,59. Il giavellotto si fregia della firma di Federico Battistutta: 51,58 con oltre 10 metri di vantaggio sul secondo, il castenedolose Lonati. titolo italiano master. Francesco De Santis ci mette el paso doble: martello-martellone. Nel martello sembra quasi una formalità per lui: 51,59 al primo e gara in saccoccia (che strano... un centimetro di differenza col lancio del giavellotto di Battistutta). Ma De Santis entrerà nella storia con il martellone: al primo lancio bombarda a 15,02. Nuovo record italiano! Il precedente record, 14,94, apparteneva ad Antonio Maino e risaliva addirittura al 1997: 16 anni fa. Finita qui? Macchè: al secondo lancio arriva il 15,13! Nuovo record italiano, implementato di 11 centimetri. E poi l'apoteosi: 15,83 al terzo, terzo record italiano nel giro di pochi minuti. Il record europeo-mondiale appartiene all'ucraino Oleksandr Drygol con 20,79 lanciato a Lignano agli EMG del 2011: un tizio che a 46 anni riuscì a lanciare 79,42 metri di martello (si parla dell'anno scorso).

In zona marcia, alloro tricolore a Gianni Siragusa (primo titolo) con 24'50"62.

Nelle staffette, dopo il secondo titolo consecutivo nella 4x100 M45 (stranamente in solitaria, visto il grande afflusso di atleti nella categoria) dell'ASD Atletica Pistoia con 48"10 (e il secondo titolo anche dell'amico Massimo Binelli, che con Roberto Barontini ha costituito il trade union con la squadra scudettata dell'anno scorso), nella 4x400 verrà migliorato nuovamente il record italiano. Infatti la Masteratletica, migliora infatti per la terza volta in poco più di un anno il primato della staffetta del miglior, portandolo in questa circostanza a 3'37"68, 19 centesimi meno di sè stessa (con la stessa formazione) di Conegliano di aprile.

Già pubblicato

15/09/13

Orvieto '13: le F45

Riprendo il racconto statistico dei campionati italiani master di Orvieto, che si era interrotto per i Mondiali di atletica, che mi hanno coinvolto nelle diverse dirette via Facebook. Comunque, ripartiamo dalle F45, tra le quali svettano le prestazioni di Susanna Tellini, capace di vincere 3 ori e conquistare pure il record italiano del salto in lungo. 3 ori anche per Maria Letizia Bartolozzi nel lanci. Ma andiamo con ordine. Sui 100 vittoria della mantovana con 13"24, davanti a Daniela Sellitto forse una co-favorita, ma che era stata battuta anche in batteria. Finale al cardiopalma sui 200, con Alessandra Grasso (28"33) di misura sulla Peppa Perlino (28"36), tornata a livelli che le competono. Primo titolo italiano per la Grasso? Doppietta di Gigliola Giorgi su 400-800 (1'02"52 e 2'26"61): il secondo titolo tra l'altro impreziosito dalla vittoria su una star del mezzofondo master, ovvero la mia concittadina Laura Avigo. 7 dovrebbero essere i titoli italiani individuali della Giorgi, che quest'anno ha fatto poker, avendo vinto le stesse distanze anche a livello indoor. Avigo che si prende però il titolo sui 1500 con 5'02"59, suo 23° titolo italiano da me certificato (sul mio fallace data-base), il 14° sui 1500 tra indoor ed outdoor. Nei 5000 Lorella Pagliacci si intasca il titolo con 18'14"30, 7° titolo italiano individuale. Francesca Ragnetti vince in solitaria i 2000 siepi, ed è il suo 3° titolo consecutivo sulla distanza all'interno della categoria. La multiplista Rossella Zanni si vince gli 80hs con 13"16, per quello che dovrebbe essere il suo 29° titolo italiano di sempre, il 4° del 2013 (arriverà anche seconda nell'alto). 400hs ad appannaggio di Cristina Amigoni, 1'09"20, 6° scudetto personale. Nell'alto Chiara Ansaldi si intasca l'oro con 1,50 (11 titoli per lei), mentre nell'asta Daniela Parenti arriva a 2,80 (inciso: due donne nell'asta F45 sembra un buon viatico per il futuro della specialità tra le master, che vive sulla presenza complessiva di non più di una manciata di atlete... anche perchè l'asta è entrata tardi nel panorama delle gare assolute, quindi...). E veniamo così al lungo, dove si è assistito al botta e risposta a suon di record tra la citata Susanna Tellini e Barbara Ferrarini. Tellini al primo salto sfiora il record detenuto dalla Ferrarini con 5,03 (era 5,04). Al 3° salto risponde Barbara: 5,02 e al quarto ottiene il primato italiano e il primo posto: 5,10. Al 5° la risposta con il ri-record: 5,11 con -1,4. Visto che scrivo a distanza di mesi, è giusto ricordare che quel record è stato nuovamente migliorato durante i WMG da Chiara Ansaldi, che con lo stesso dato del vento della Tellini (-1,4) ha avanzato di un nuovo centimetro il primato: 5,12. Questa la cronologia recente del record:

  • 4,75 (np) - Lia Masotti - Verona 06/03/1989
  • 4,98 (0,3) - Carla Forcellini - Aarhus 25/07/2004
  • 5,00 (1,2) - Rossella Zanni - Modena 21/04/2012
  • 5,04 (0,2) - Barbara Ferrarini - S. Giovanni L. 21/10/2012
  • 5,10 (-0,6) - Barbara Ferrarini - Orvieto 30/06/2013
  • 5,11 (-1,4) - Susanna Tellini - Orvieto 30/06/2013
  • 5,12 (-1,4) - Chiara Ansaldi - Torino 08/08/2013 
Altro oro, il terzo, nel triplo per la Tellini con 10,39. Antonella Bevilacqua vince il peso con 9,06, 15° titolo italiano e bis con quello indoor (stesso bis del 2012). E poi troviamo la tripletta di Maria Letizia Bartolozzi: prima nel martello con 33,94, prima nel martellone con 10,65, e prima nel disco con 29,66, per lei 22 titoli italiani, ben 9 solo negli ultimi 2 anni tutti nel settore dei lanci. Giavellotto a Nicoletta Rusconi con 21,56, al suo primo titolo italiano. Nei 5 km di marcia il titolo va in provincia di Brescia, a Roberta Mombelli, che vince con 28'44"42. 9 le sue maglie tricolori. Nella staffetta veloce, infine, il Marathon Trieste della Grasso si impone con 53"72, mentre l'ASD Romatletica nella 4x400 con 4'37"59

Già pubblicato

10/09/13

No Comment? No no, comment comment e senza condom - del Corridor Volgare

Pubblico un articolo scritto da una persona che ho conosciuto praticamente sulla rete, e che nonostante il rapporto scaturito "virtualmente" mi ha dato una grossa mano in questi mesi a parlare un pò di atletica (e di sport) in maniera differente rispetto al solito. Cosa di cui lo ringrazio pubblicamente, come chiunque un domani volesse provare a mostrare la propria ars narratoria su queste pagine eteree. Del resto per come vedo io i contenuti di questo sito, non c'è più bisogno di fare la noiosa cronaca degli avvenimenti (che poi sembra che in questo sport non si possa criticare nessuno, perchè tutti danno il 100%...) o fotografare situazioni già cristallizzate da un risultato, o dire che tizio è arrivato davanti a caio... nell'epoca di internet non regali nulla così a chi vuole trovare passione per l'atletica. E' necessaria la critica, l'esaltazione, il colore, palesare i dubbi, ed evidenziare le certezze, dire magari cose che tutti pensano ma nessuno vuol dire per quella regola non scritta che nessuno è criticabile all'interno di questo sport. Anche per questo ecumenico silenzio con annesso divieto di critica, l'atletica ha perso molto del suo fascino. Ha invece centrato il bersaglio questo mio amico virtuale, poi conosciuto in qualche gara sul territorio nazionale, con un'ironia WoodyAlleniana che ti fa sempre sorridere settimana-enigmisticamente con i denti stretti, ma che colpisce nel segno. In quest'ultimo pezzo, colpisce a tradimento il sottoscritto. Attinto da fuoco amico, si direbbe in battaglia. Bè, lo ringrazio per la mano che mi ha dato in questi mesi, sperando che ogni tanto continui a deliziarci con le sue uscite. 

del corridor volgare - Dopo qualche settimana di forse immeritate ferie, passo dall'edicola, do un'occhiata ai titoli dei giornali e capisco che le disgrazie planetarie sono rimaste lì dove erano, così come la quotidiana surrealtà italiana. Sic! Dopo l'ennesimo inutile schiaffo dato a me stesso, penso che rimane ancora senza risposta l'immutata domanda delle sere di Agosto: ma davvero le zanzare hanno una qualche utilità accertata? 
Chiedo asilo atletico a QueenAtletica, andandomi a rivedere alcuni degli ultimi articoli pubblicati. Chi si lamenta per non aver potuto partecipare ai World Masters Games, chi ha rinunciato per coerenza alla partecipazione seppur con dichiarato dolore, chi ha partecipato lamentando (a parte l'alleggerimento del portafoglio) impreparazione a gestire l'evento e momenti di disorganizzazione, infine chi ha partecipato riconoscendo che l'atmosfera delle gare internazionali è sempre bella da respirare. 
Tutti hanno ragione; e naturalmente: complimenti ai vincitori! 
Va beh, passo a leggere i resoconti per fasce d'età dei Campionati Italiani di Orvieto, e mi imbatto in:  Passiamo così alla categoria M40. 100/200: no comment
No comment per Andrea Benatti; bellamente ignorato (come al solito) dal Sig. Andy Cop. Avranno litigato? Vecchie incomprensioni mai chiarite? Chissà.. 
Comunque, a Orvieto, il bistrattato Andrea, con le gambe colorate da vari taping, e (spero) senza più problemi di pubalgia, che lo aveva tormentato nelle dorate indoor europee, ha vinto bene prima i 100 in 11"21 e poi, con oltre 2 metri di vento contro, ha vinto ampio davvero sui 200 correndo in meno di 23"! 
Il signor Cop pare un tipo un po' particolare: sembra sia addirittura disposto a litigare con gli amici pur di non dover rinunciare alla verità dei fatti o magari a ciò che pensa sia giusto. Insomma, una rarità visti i tempi che corrono. A chi gli suggerisce maggior diplomazia, risponderei che effettivamente la diplomazia è un'arte e forse un dono, la cui pratica credo riguardi altre professioni. 
Se si vuol praticare la pubblica critica, del resto quasi sempre costruttiva, non si può accantonare la schiettezza, altrimenti si sta facendo altro. Mai colpi bassi e quando è giusto, ecco mostrata la capacità di riconoscere i propri errori. Beh direi al Dr. Andrea, di lasciar correre la "disattenzione" di Mr. Hyde Cop, almeno per la sua eruttiva attitudine a sfornare idee ragionamenti e proposte.
L'immaginazione e il coraggio di avanzare proposte sono abbastanza rare e la eventuale veemenza d'approccio mi pare sempre dovuta all'entusiasmo e all'amore per l'atletica. Se lo si volesse talvolta tacciare di ingenuità (posto che sia un difetto) direi con sicurezza che l'ingenuità fa comunque meno danni del cinismo. 
Credo che sia molto più utile essere considerati idealisti (ma vivi) e provare a fare, piuttosto che esser preda di quel sottile ed immobile cinismo che porta a dare una spiegazione giustificata a tutto, con garbato ed innocuo distacco. La verità può a volte essere un po' ruvida e anche fastidiosa. Avere a che fare con qualcuno un po' più accomodante, più diplomatico, è cosa più facile e apparentemente rassicurante. 

Però, forse a proposito, ecco che mi torna alla mente un articolo di quasi un anno fa e me lo vado a rivedere . Interessante, sicuramente da non dimenticare, perché racconta una vicenda amara, magari piccola, ma é la nostra. Ecco il link per chi desidera rivederlo: http://www.queenatletica.it/archive/2012/12/06/grazie_lo_stesso___di_edgardo_barcella.asp 
Nell'articolo, Edgardo Barcella (trombato) racconta delle elezioni della Federazione appena concluse. Ringrazia e abbraccia simbolicamente i suoi sostenitori che gli avevano assicurato il loro voto. Ho riletto con attenzione quei ringraziamenti nominativi e ne ho contati diciannove; sì, diciannove persone con potere di voto che garantivano l'appoggio alla sua candidatura. 
Al termine dell'articolo, in stile assai andycoppiano, viene posta la fatidica domanda: - una sola cosa non mi sovviene... ed è molto bizzarro. Ma come cavolo è che i miei voti totali siano stati appunto... nove? Mistero elettorale.
A distanza di quasi un anno rimango con quel punto di domanda finale, rimasto là, solo, senza una risposta e molto simile a una pugnalata alla schiena, non solo di Edgardo. 
Il tempo passa, ma io non sono riuscito a dimenticare; credo per due motivi, uno personale e uno collettivo: 
1 - mi era stata chiesta la delega di voto, che ho rilasciato; non sono mai stato sicuro però (e non lo sono neppure oggi) su come sia stata utilizzata; mi infastidisce ancora molto pensare al possibile tradimento di un amico; 
2 - se in futuro vorremo far meglio, non potremo fare a meno di ricordarci bene questa nostra sconfitta. 
Che dire infine, ci sono persone, anche apparentemente simpatiche, che sanno curare i rapporti interpersonali in modo invidiabile: affabili, cortesi, mai una parola fuori posto, ognuna infilata con cautela in apposito profilattico. 
Alle domande sanno rispondere con accorti silenzi, magari accompagnati da quel mezzo sorrisetto che non si capisce mai a cosa possa sottintendere o alludere. Persone accorte, dedite alle giuste frequentazioni e magari a studiate leccatine alle giuste chiappe. Forse, di questi personaggi è bene anche diffidare un po', a giusta protezione delle proprie terga e naturalmente non mi riferisco alle leccatine. 
Va beh, visto che sono arrivato a parlar di terga e non mi va di concludere parlando delle nostre.. possiamo metterla così: quando un "hombre vertical" si sente sicuro della ragione è giusto e bello che provi ad andare fino in fondo. 
Come direbbe il saggio con un giro di parole: "fino.. nelle terga di satanasso"! 

Il ranking 2013 - di Davide Cartasegna

Anche se nella parte finale dell'anno avremo le maratone autunnali e l'attività del cross, che vede a dicembre la disputa dei Campionati Europei, di fatto conclusa l'attività outdoor si può fare un bilancio dell'annata con la compilazione dei ranking nazionali, in quella che è stata la prima stagione dell'era-Giomi. Un "giochino" divertente nel quale la componente soggettiva, in misura ovviamente minoritaria rispetto a quella oggettiva, gioca un suo ruolo, per il quale ben difficilmente si possono trovare due ranking simili fra di loro; il tutto scatena commenti vari per la gioia dei forumisti (un tempo) e degli iscritti ai vari Gruppi di Facebook, che oggi fa la parte del leone. Nella compilazione di questo ranking, una top-five assolutamente opinabile ,ho tenuto conto delle vicende mondiali di Mosca-2013, l'appuntamento-clou della stagione, ma non solo, visto che si giudica di fatto una stagione; considerazione dunque per manisfestazioni diciamo "minori" e per l'attività indoor. 

RANKING MASCHILE
  1. DANIELE GRECO - Il titolo europeo indoor, con il suo pb fissato a 17,70, basta ed avanza per il primo posto, anche se l'attività all'aperto è stata tormentata a livello fisico (evento comune, stranamente (?) a chi ha fatto bene nelle indoor). L'oro in scioltezza ai Mediterranei e l'infortunio nelle qualificazioni mondiali moscovite le altre note salienti della sua stagione.
  2. MICHAEL TUMI - Tante speranze generate da una stagione indoor frizzante (due pn sui 60mt, più il bronzo europeo indoor) frustrate da una stagione outdoor ondivaga, con problemi fisici nell'immediata vigilia mondiale, con la rinuncia alla gara individuale e la presenza comunque dignitosa nella staffa veloce. Opaco nel Campionato Europeo a squadre (7°nei 100mt), ai Mediterranei oro in staffetta e bronzo nella gara individuale in 10"25.
  3. MATTEO GALVAN - Forse il giro di pista ha trovato un degno protagonista; da affermare sottovoce visto che Licciardello e Vistalli, sui quali si puntava molto sembrano spariti nel nulla, dopo infortuni vari. Dall'oro dei Mediterranei (45"59), passando per Mosca-2013 (uno dei pochissimi della selezione maschile a non naufragare) ai meeting di fine stagione, con il pb (45"35) a mettere nel mirino il primato nazionale di Andrea Barberi.
  4. GIUSEPPE GIBILISCO - Il disastro nelle qualificazioni mondiali, causato forse anche da un eccesso di presunzione non cancella una stagione complessivamente discreta, che lo vede secondo con 5.60mt nel Campionato Europeo a squadre,miglior piazzamento maschile e oro ai Mediterranei con un buon 5.70mt. 
  5. GIOVANNI FALOCI - Settore lanci sottozero, da riprogrammare e rilanciare e l'impresa si presenta complicatissima. Aggrappati a "nonno" Vizzoni ed all'esuberante Chiara Rosa? Sembrerebbe di sì. Andiamo controcorrente e mettiamo in classifica un nome relativamente nuovo (28 anni) e comunque presente bene o male l'intera stagione: 6°nella Coppa Europa invernale, 5° ai Mediterranei, argento alle Universiadi di Kazan, con un buon riscontro (62.23mt) ed, ahimè, naufragato miseramente nelle qualificazioni mondiali.
RANKING FEMMINILE
  1. VALERIA STRANEO - Splendido argento mondiale nella maratona, con una condotta di gara autoritaria dall'inizio alla fine ed unica medaglia di una spedizione complessivamente insufficiente, senza dimenticare la vittoria ai Mediterranei turchi di Mersin nella mezza maratona.
  2. VERONICA BORSI - Due primati nazionali nei 60mt indoor con l'argento europeo dopo òa squalifica della turca Yanit, inizia bene pure all'aperto con il 12"76, che la consacra primatista nazionale fino all'argento dei Mediterranei. Il passaggio finale ai Mondiali non si realizza: in precarie condizioni fisiche, fuori in batteria.
  3. ALESSIA TROST - La prima stagione oltre l'attività giovanile porta i primati personali (2.00mt indoor-1.98mt) il settimo posto a Mosca, il quarto agli Euroindoor ed il secondo nell'ex-Coppa Europa. Basta ed avanza, sperando che la si lasci crescere in pace, senza sovraccaricarla di ansiose aspettative, che ai pochi "talentini" della nostra atletica non fanno certo bene.
  4. EMMA LINDA QUAGLIA - Ha trovato nella maratona la sua dimensione, lei che aveva iniziato in pista aprendo la cronologia italiana del record dei 3000 siepi. Il sesto posto mondiale suggella la seconda parte della sua carriera.
  5. ELISA RIGAUDO - Atleta sempre affidabile coglie una buona quinta piazza nella 20 chilometri, dando ossigeno al settore della marcia, che soprattutto in campo maschile, sta vivendo momenti non facili

09/09/13

una normale storia dal Campo Calvesi

Luogo socialmente “sicuro” che è servito a tenere lontano molti giovani dalla strada e della insidie che essa nasconde: così Mirko Mombelli ha definito la pista di Atletica Leggera Campo Calvesi nelle sue mail inviate al Comune di Brescia, a RAISPORT in occasione dei Campionati Mondiali di Mosca e, in un breve sms, pubblicato dal quotidiano Bresciaoggi. Non si tratta di un campione come Carl Lewis ma di un anonimo sprinter che proprio sulla pista di un campo al centro di una complicata vicenda, però, ha trascorso praticamente una vita atletica (e non solo) inseguendo, tra un infortunio e l’altro, “quella sensazione” che una gara di velocità può dare. Cresciuto nell’Atletica Chiari 1964, nel 1993 ha iniziato ad allenarsi al Campo Scuole di via Morosini correndo a 17 anni i 100 metri in 11”3 e la frazione della 4x100 in 10”2 (Nazionali di Pescara). Lontano qualche stagione dalla velocità (per un brutto infortunio) nel 1997 è stato notato all’Atletica Brescia 1950 dove (grazie alla collaborazione con alcuni insegnati ISEF di Educazione Fisica) stava nascendo un gruppo di giovani che nel tempo avrebbero ottenuto buoni risultati. Mirko diventerà così negli allenamenti un utile sparring partner dei migliori. Senza pretese e sempre sulla pista di colato/tartan del Calvesi. Purtroppo dopo un’ottima preparazione estiva nel 1998 un ulteriore infortunio ne fermerà definitivamente la cresciuta agonistica. Vicino a smettere trovò proprio nella tranquillità del Calvesi la voglia di continuare, come sempre senza pretese. Qualche finale sfiorata ai Campionati Provinciali sui 100 (in una occasione è finalista dei 200 ma non se ne accorge e non si presenta) nel 1997 è 4° nei 400. Dal 2000 al 2004 si allena poco; continua però a frequentare il Calvesi nonostante lavori fuori Provincia. Nel 2005 la sua presenza è richiesta dai suoi “due vecchi allenatori” per il recupero di un giovane promettente: Lucio Lorenzi. Fondamentale ancora una volta sarà la pista del Calvesi non soltanto dal punto di vista atletico. Nuovamente dunque il ruolo di sparring di fatto gradito (allenandosi anche sotto forti nevicate), contribuendo a portare l’amico ai primati personali di 10”8 nei 100 (Campionati Studenteschi) e 6,68 nel Salto in Lungo (Nazionali A2 in maglia CusPavia). Arriva l’addio dall’Atletica Brescia 1950 per passare all’Atletica Evergreen (un club con numerosi atleti dall’illustre passato) formando un bel gruppo grazie anche al ritorno in pista di Andrea Cremona (che di fatto diventerà protagonista del Trofeo Felter con tre premiazioni finali su quattro partecipazioni), di Attilio Lipparini, di Luca Filippini e di Riccardo Ambrosio. In un momento difficile per i forti dolori ai tendini ed indipendentemente dai risultati Mirko continuerà a restar legato all’Atletica Leggera “uno sport di valori sociali”. Diventa velocista negli Amatori TM, sopportando dolori a volte lancinanti ormai costantemente presenti e diventando allenatore di se stesso. Nel 2009 è promotore dell’emozionate serata al Calvesi del Memorial Claudio Cremona e la sua 4x100 Amatori Evergreen terminerà la stagione imbattuta. Sono anni in cui era già in vigore il divieto di calpestare l’erba, per questo la chiusura successiva dell’impianto sarà vissuta con delusione da chi ha sempre seguito le indicazioni fornite in merito. Da più parti consigli di smettere, lui si ostina, la morbida pista del Calvesi è sempre il suo rifugio a volte anche per lasciarsi alle spalle problemi di vita; segue il consiglio di avere pazienza e di non arrendersi da parte di un allenatore da sempre stimato (un tempo tecnico di livello internazionale), a cui il velocista non sarà mai grato abbastanza, arrivando così alla normale guarigione. Nel 2011 sulla pista del tanto amato Calvesi ritrova costanza negli allenamenti, è sul podio nei 100 ai Regionali (leggero stiramento dopo metà gara e ottima prestazione solo sfiorata), è vincitore dei Campionati Provinciali MM35 (100 e 200) ed è premiato al Trofeo Felter Sport in pista. Soprattutto nei 100 ritrova estrema facilità di corsa. Nonostante la chiusura dell’Atletica Evergeen il gruppo resta sulla pista di via Morosini. Non è l’Atletica dei campioni e dei record ma quella che contribuisce a tener comunque viva la struttura nei freddi sabato invernali. Mirko decide per Motus Castegnato (trovando un bel gruppo) dedicandosi al circuito CSI senza però abbandonare la sua amata pista. Dopo un estate di allenamenti mattutini al Calvesi, ai Campionati Nazionali a Castelnovo Ne Monti (dopo la vittoria in batteria) 5° posto in finale, lontano sei decimi dal podio arrendendosi, a metà gara, prima che agli avversari ai soliti problemi dei tendini. Vicino ormai al ritiro prepara con attenzione, sempre al Calvesi nonostante il freddo invernale, la gara indoor di Locarno dove sui 30 metri segna 4”66. Dopo tante vicissitudini si riscatta inoltre vincendo la batteria dei 50 metri in 6”6 non lontano dal suo record di 6”38. Purtroppo gara ripetuta dopo nemmeno cinque minuti, per la mancata registrazione del tempo da parte del cronometro svizzero con esito ben diverso; al velocista bresciano venne comunque riconosciuta grande sportività nell’accettare il disguido (ne diede cronaca anche il Giornale di Brescia). Riesplode però il vecchio dolore ai tendini. Durante la stagione qualificazione sofferta per i Nazionali CSI 2013 di Belluno (vincendo per il secondo anno consecutivo la fase regionale dei 100 metri a Desenzano del Garda). L’atleta sente stanchezza a causa dei continui infortuni, del risultato spesso soltanto sfiorato o del possibile intoppo. Solito rifugio per l’estate non sarà il Calvesi (che a sorpresa da qualche anno stava rivedendo anche gare ufficiali) a causa della chiusura della pista. Nel leggere il cartello sul cancello chiuso e notando il motivo di tale provvedimento è stato lecito interrogarsi per gli ex Evergreen a cosa fosse servito essere tanto attenti al rispetto delle regole e dei divieti. Per Mirko forte delusione ma anche fiducia nelle Istituzioni interessate alla vicenda. La pista di Nave (altrettanto morbida quanto il Morosini) diventa utile per la preparazione dei Nazionali dove Mirko (in un impianto bellissimo, su una pista morbida e veloce) soffre nei 100 metri arrivando comunque in finale (correndo quasi senza spingere la batteria), classificandosi 4° a tre decimi dal podio accelerando inutilmente negli ultimi quaranta metri dopo una partenza da dimenticare. Nessuna lamentela per una gomitata, involontaria, subita nei primi metri della gara da parte di un avversario (dopo il traguardo sportivamente scusatosi) ma recriminazioni per non essere partito come fatto negli ultimi allenamenti. 4° posto anche nel Salto in Lungo (per nulla preparato) dove una serie di errori (rincorsa lenta e asse di battuta sempre distante) hanno tenuto Mirko a soli sei centimetri dal podio. Unica consolazione aver ricevuto dagli avversari sincere congratulazioni per lo stile mostrato nell’ultimo salto effettuato, di fatto l’unico con uno stacco deciso che però ha causato una leggera contrattura muscolare al velocista bresciano mettendo fine alla sua gara. Stagione dunque terminata, tra alti e bassi con la necessità di recuperare dall’infortunio ma anche col bisogno di una lunga pausa, probabilmente di qualche mese. Secondo qualcuno Belluno 2013 ha rappresentato l’ultimo atto in pista di Mirko Mombelli a cui però piacerebbe allenarsi, a quasi quarant’anni, ancora qualche volta sulla sua pista del Campo Calvesi, come sempre senza pretese. Se per lui ciò non accadrà più Mirko, comunque, sarà sempre grato al Campo Calvesi per averlo tenuto lontano dalla “strada” in particolare quando in gioventù avrebbe potuto esserne sconfitto dalle insidie che essa nascondeva con la speranza che, da questo punto di vista ed indipendentemente dal risultato sportivo, per tanti altri giovani possa essere lo stesso

Sconvolgente studio: sparita una generazione di 400isti

Quello che segue, è uno piccolissimo studio che mi ha preso un weekend per comprendere un fenomeno sul quale mi sono sempre interrogato, ovvero, perchè non abbiamo una solida tradizione sui 400? Abbiamo avuto esponenti di tutto rispetto sia sui 100, che sui 200, che sugli 800, ma sui 400, chissà perchè, si è sempre fatto fatica a trovare atleti che durassero più di una stagione ad altissimo livello. Tanti bravi atleti, senza il campionissimo. Nemmeno un sub-45", nonostante sia limite che i paesi europei evoluti hanno già infranto. Per capire tutto questo sono partito dal piccolo, ovvero dagli allievi e dall'ultima nidiata statisticamente utile, ovvero quella del 2005-2008. In linea teorica sarebbe dovuta essere quella che in questi anni, avrebbe dovuto dominare il panorama italiano, o comunque produrre una certa quantità di manovalanza della Nazionale. Purtroppo nulla di tutto questo. Perchè? Alla domanda mi sono risposto qui sotto, con questa analisi per la quale ringrazio Valerio Bonsignore e Gianluca Zuddas per una mano che mi si è data. Non aspettatevi nulla di che, visto che alla fine si è trattato di mettere su un foglio di Excel dei dati disponibili in rete...

06/09/13

Senza professionismo non si vincono medaglie, a meno che...

Non so se sia nata da qualche parte qualche discussione sulla via al Professionismo italiano nell'atletica leggera su cui sto battendo da qualche tempo (qualcuno mi dà ragione, per fortuna, ragion per cui persevero). Io continuo a battere sul chiodo, perchè ormai me ne sono convinto: senza professionismo non esiste atletica di vertice. Anzi, estendiamo il concetto: senza professionismo non esiste lo sport d'elite, e le prestazioni da medaglia possono avvenire solo una volta in carriera, e non certo come 

E il professionismo non lo si ottiene con il volontariato, com'è arcinoto, ma solo ed esclusivamente con le risorse, ovvero in primis con i dindi. Inutile prenderci in giro. Quindi, metto io le mani avanti per Giomi: a Rio se andrà bene, sarà solo perchè il caso avrà voluto che fosse così. Perchè non si vedono francamente strade tramite le quali si professionalizzerà nessun azzurro nei prossimi tre anni, quindi, benchè vi sia chi detenga le potenzialità per arrivare a contrastare i migliori al mondo, di fatto non si potrà competere con chi degli strumenti della professionalizzazione attinge a piene mani. E visto che i meccanismi ad incastro sono sempre più stretti, vuoi anche per la crisi o una probabile fuga di sponsor dall'atletica, è probabile che in un sistema di risorse scarse, chi è professionista cerchi di impegnarsi di più e di investire di più su sè stesso. Quindi il professionista diventa più professionista. 

In uno scenario che si riempie sempre più di professionisti, dove vogliamo andare? Non sto qui a ricordare come l'atletica d'elite italiana sia in realtà un esperimento mal riuscito di semi-professionismo, in cui i soldi finiscono sotto forma di stipendio ad un gruppo di atleti ritenuti da un manipolo di società militari come i migliori in circolazione. Poi ci sono a disposizione le risorse della Fidal, quei 19 milioni di euro che sembrano tanti, ma che poi sono i guadagni che fa Bolt nello stesso anno. Bè, con 19 milioni di euro Bolt può permettersi un bel e cospicuo staff, e tutti gli annessi e i connessi, cosa che non può fare evidentemente il Signor Fidal con una moltitudine di atleti e tecnici da seguire. Anche perchè, è logico, i soldi se ne vanno via per mille rivoli: dall'apparato burocratico, a tutto il personale, agli stipendi dei vertici, ai viaggi, alle strutture centrali e periferiche. Bolt non deve pagare un intero palazzo burocratizzato, con tutta evidenza. 

Due anni fa pubblicavo un articolo sui finanziamenti forniti agli atleti top (probabili olimpici) da parte dell'USATF (la Federazione Americana di Atletica) comprandoli con quelli della Fidal: ebbene, nonostante le palesi differenze (e i risultati) la cifra era simile! 4 milioni di euro in entrambi i casi... all'anno. Allora non avevo ancora focalizzato che quei 4 milioni non erano che noccioline rispetto al vortice di denaro che gira attorno al professionismo e agli atleti americani professionisti. Ma quindi che fare? 

Ora dirò una cosa che mi attirerà molte antipatie... ma lo scrivo lo stesso. In Italia gli atleti "potenzialmente" top-player, appartengono nel 99% dei casi a formazioni statali (non chiamiamole più militari: la Polizia è stata smilitarizzata nel 1981). Come scrivevo, i 1500 euro medi che percepiscono, lungi dall'essere disprezzabili, vista la crisi senza vie d'uscita in cui ci si è infilati, non consentono alcuna forma di professionalizzazione. Come pagare un tecnico, un fisioterapista, un osteopata, gli integratori, i viaggi, con quella cifra? Alla fine l'unica vera risorsa che fa la differenza con gli "altri" è il tempo, perchè si è pagati per fare esclusivamente quello. L'atleta. Solo che poi questi atleti si affidano a tecnici non professionalizzati, perchè per quest'ultimi il tempo da dedicare all'atletica è residuale a causa degli umani patimenti, non essendo lo sport la fonte di sostentamento... almeno diretto. E quando si aggiornano? E quando sperimentano? E quando teorizzano basandosi solo sull'esperienza sul campo se un lavoro comunque lo devono svolgere? Quindi siamo di fronte ad uno dei tanti black-out del nostro circuito sportivo: atleta con risorse (pochissime) con tecnico senza alcuna risorsa. Un'atomizzazione di un Sistema, che in potenza vorrebbe essere integrato, ma che di fatto è disgregato in miriadi di unità scarsamente connesse tra di loro.

Ora, a me pare che una forma embrionale di professionalizzazione (con troppi paletti, invero) possa essere data inizialmente solo da un passaggio: gli atleti si devono radunare permanentemente in un luogo. I raduni Fidal una tantum non ho capito ancora che senso abbiano mai avuto, visto che in veste di stage di allenamento riescono a violentare i planning dei singoli atleti (magari organizzati con un anno di anticipo) come rami di cedro innestati su una canna di bambù. E' più che noto che la professionalizzazione passa per "gruppi" al seguito di staff dall'allenatore che ci mette poi il nome. Ma poi esistono realtà talmente ramificate, dove lo staff si dota di professionisti per ogni momento e fase dell'allenamento. Chiaramente, più soldi, più opportunità. Più opportunità, più conoscenza, più strategie vincenti. E più medaglie, più denaro... e si ricomincia.

Perchè quindi radunarsi in un posto? Per convogliare le risorse e farvi accedere più persone. Allo stato attuale siamo di fronte ad una parcellizzazione gigantesca di tentativi di emersione dei singoli atleti: ogni allenatore ha la sua teoria, e la persegue in piena autonomia, nel suo luogo di allenamento. Ora sembra che sia proprio il nuovo mandato Fidal a incentivare questa formula, abbandonando quella sorta di sistema integrato delle conoscenze, che forse è stato l'unico modo per diffondere qualche nozione (anche se spesso errate in quanto frutto di spirali di onnipotenza priva di substrato, visti i risultati). Ma abbiamo visto che gli allenatori italiani non sono professionalizzati, quindi, quando l'atleta evolve con dinamiche fuori controllo, è già successo troppe volte che quello stesso tecnico non sia poi riuscito a gestirlo, e nella quasi totalità dei casi, i missili sono implosi in volo. 

Allenarsi sulla pista di casa è sicuramente comodo per mille motivi: perchè si hanno tutte le agevolazioni di una vita tranquilla, i propri ritmi e i propri affetti. Ma nessun professionismo, per quanto detto e ridetto... penso che il tempo in più a disposizione non venga certo speso quotidianamente per la rigenerazione o la preparazione, visto che costa e quanto percepito non lo permetterebbe: presumo che il massimo per un atleta di medio livello stipendiato dallo Stato sia un massaggio una volta alla settimana, con i 25 euro dati in nero all'amico massaggiatore. Dove si vuole andare così? A vincere le Olimpiadi? Il mio amico Piero faceva sul forum una giusta constatazione: al Decanation 8 atleti su 20 non appartenevano ai gruppi sportivi. Il 40%. E questo nonostante la differenza di opportunità! Tutti le altre centinaia di atleti statali com'è noto non sono andati ai Mondiali: quindi dov'erano? In realtà non hanno colpe, perchè semplicemente non sono professionisti e come tali non sono tenuti a mostrare alti range di prestazioni.

Ecco, secondo me fare il professionista vuol dire fare una scelta di vita che comporti dei grossi sacrifici, talvolta tremendi: la scelta di stare a casa ad allenarsi comporta che le condizioni generali rispetto alla pre-entrata nel gruppo statale, non siano variate minimamente. Non avendo una quantità di denaro sufficiente alla professionalizzazione, che si fa oltre le due o tre ore di allenamento? Ne mancano ancora 21... mettiamoci le 8 ore di sonno: 13 ore al giorno. Che si fa? Ebbene, molti di questi ragazzi, giustamente, si iscrivono all'Università, oppure danno una mano all'azienda di famiglia, o fanno mille piccole cose, ma dubito che qualcuno di essi passi altre 3 o 4 ore a pensare a rigenerarsi. Da qualche altra parte del mondo, però, i loro avversari si allenano, si studiano, si fanno massaggiare, trattare... pensano e vivono d'atletica per molte ore del giorno. L'allenamento dell'italiano ci mette due giorni per essere recuperato, quello del suo ipotetico avversario uno solo, perchè avendo a disposizione delle risorse, le impiega per curarsi e riabilitarsi. 

Ecco perchè dico che se la Montagna non va a Maometto, è necessario andare alla Montagna direttamente. Formare gruppi collegialmente presenti nel luogo dell'allenamento per molte settimane all'anno, in centri (magari i rispettivi Gruppi Sportivi) che abbiano tutte le opportunità e le strutture mediche e terapiche che autonomamente non si potrebbero avere. Chi allenerebbe? Ecco la prima domanda che sorge d'obbligo. Ebbene, qui sta nello spessore intellettuale delle persone capire che in questi centri debba nascere e svilupparsi un'esperienza tecnica nuova, con soggetti che facciano i tecnici per professione, non insegnanti distaccati a seconda del mandato elettorale. Lo stallo sistematico degli atleti nella totalità delle specialità è la dimostrazione che c'è un corto circuito tecnico che va superato. Che siano centri federali, i centri già esistenti delle forze di Polizia, e qualunque altra cosa, se si vuole davvero avere un'atletica di vertice, bisogna fare un passo avanti. Quindi è perfettamente inutile che per anni si speri di vincere medaglie a livello internazionale, sperperando risorse "una tantum" se il tessuto sociale dell'atletica italiana è poco più che amatoriale! A questo punto sarebbe sufficiente un profondo bagno di umiltà, ammettendo l'impossibilità di competere con le organizzazioni più strutturate e ricche di risorse, e quello che verrebbe risparmiato lo si devolverebbe alla diffusione di questo meraviglioso sport tra i giovanissimi e a tutti i tesserati. Poi i risultati arriveranno.