31/03/13

Il presidente dell'EVAA si scusa pubblicamente per le squalifiche dei 200

Apprezzo sinceramente il gesto del presidente dell'EVAA, Kurt Kashke, che nella lettera di commiato ai Campionati Europei Master di San Sebastian ha avuto modo di fare autocritica (qui il link alla lettera). Chi ha questa grande capacità di autocritica ha sempre la mia massima stima, e, almeno con questo gesto, si è conquistato parte della mia personale riconoscenza (che non vale molto, a dire il vero). Così come ho avuto modo di criticare, così ora mi sembra necessario rendere il giusto peso alla lettera di Kashke. In diversi punti della lettera si può notare questo aspetto "critico" rispetto alla manifestazione appena conclusa, che lascia ben sperare sull'evoluzione qualitativa delle manifestazioni che seguiranno. Naturalmente sarebbe necessario, per migliorare qualunque organizzazione di eventi scanditi periodicamente, dei brain storming al termine delle gare tra chi organizza e chi organizzerà: questo ha il non trascurabile compito di individuare i problemi, capire quali sono state le frizioni, i punti vincenti, gli elementi positivi e quelli negativi. Nel corso del tempo, solo così si può pensare di organizzare eventi sempre migliori dal punto di vista della pianificazione dell'evento stesso. 

Torniamo alla lettera di Kurt. Subito ci dice che la delegazione di Torun (che organizzerà i prossimi campionati europei indoor) "ha individuato diversi punti che necessiteranno di miglioramenti". Di solito sono informazioni che rimangono nelle stanze dei bottoni. Tant'è che la preparazione dei prossimi campionati europei indoor inizieranno come tempistiche, molto prima rispetto ai tempi previsti per San Sebastian. 

In un passo della lettera si legge: "secondo il Consiglio dell'EVAA, questi campionati hanno mostrato sia elementi positivi che problemi". Ottimo. Iniziare a prendere coscienza dei problemi, è sicuramente il primo passo per migliorarsi. Ok, poi dicono comunque che li hanno risolti... concesso. 

Ma veniamo al punto che ci interessa e che mi ha fatto scrivere quello che ho scritto: "una macchia su questi campionati sono state le squalifiche sui 200 metri. Alcuni atleti non erano abituati a correre sulle curve indoor, così in curva hanno toccato le righe. Filmati sono stati utilizzati per provare le decisioni dei giudici. In futuro la EVAA si focalizzerà su questo problema per usare delle riprese video permanenti. Solo due volte la Giuria d'Appello si è riunita per decisioni connesse a questo problema (ricorsi entrambi persi... nonostante le evidenze video, giusto precisare)". Ok, sono d'accordo sul merito di quei due ricorsi le cui decisioni in Commissione andavano ribaltati. Non sono d'accordo invece sull'utilizzo tout-court dei video tape... cosa voglio dire? Che siamo d'accordo che non bisogna invadere le corsie altrui, ma la EVAA dovrebbe promulgare delle direttive per le quali vi sono tocchi delle righe sindacabili dai giudici che evidentemente non ostacolerebbero gli altri avversari e non darebbero vantaggi agli atleti. La futura presenza di riprese video trasformerebbe le gare sull'anello in un assurdo gioco al massacro, quando il più volte citato "buon senso" nell'interpretare un gesto tecnico (anche nella valutazione del tipo di atleta che lo compie), sarebbe sufficiente. O a meno che tali immagini, rese obbligatorie, siano utilizzate solo in casi dubbi. 

In seguito si citano anche le problematiche relative alla gara di salto in alto. 

Ora, probabilmente Kurt non leggerà mai queste mie parole, ma più che i problemi economici degli atleti, sarebbe da interrogare gli stessi sui problemi organizzativi riscontrati. Ad esempio, il podio posizionato in una zona infelice del palazzetto ha tolto molto pathos alle premiazioni. A Zittau era risultato molto coinvolgente lo stand per le premiazioni. Messo in una zona di passaggio assiduo di persone, portava diversi atleti e astanti a fermarsi ad assistere. A San Sebastian le premiazioni sono rimaste quasi deserte con una cerimonia molto scarna. Gli inni venivano sparati durante le gare, disturbando pure gli atleti. Personalmente mi è capitato di essere sui blocchi e sentir partire l'inno tedesco. Fosse stato quello italiano, almeno... così ho dovuto alzare la manina e sospendere le procedure di partenza. 

Altra pecca, la diffusione dei risultati. Purtroppo non tutti hanno i touch screen del Sigma, e di conseguenza tutto quello che avveniva (squalifiche incluse) veniva comunicato con molto ritardo...  o addirittura non veniva comunicato sui tabelloni. Le notizie arrivavano da qualche collegamento internet che qualcuno deteneva sul proprio telefono. 

Gli altri suggerimenti... li darò, un giorno, forse... 

29/03/13

Europei Master Indoor, salto in alto M40: due vincitori con due misure diversi e due inni diversi

Vi propongo il racconto ironico (ma che lascia profondamente indignati) di Stefano Salso, medaglia d'oro a San Sebastian nel salto in alto M40, che incredibilmente si è trovato a condividere l'oro con il secondo arrivato, che invece aveva saltato 3 cm di meno. Com'è stato possibile? Leggete qui sotto!

Libertè, Egalitè, Fraternitè... un pò di Sportivitè non guasterebbe!! Ciao a tutti cari jumpers, Vi scrivo tramite l’amico Franz, perché mi sono autosospeso da Facebook, mi ha rotto un po’, forse tornerò, boh! L’unico dispiacere è quello di aver lasciato questo bel gruppo, sempre ricco di spunti! 
Questa mia è per raccontarVi, un pochino più in dettaglio, quanto accaduto in quel di San Sebastiàn, al termine della gara dell’alto M40 vinta da me (forse), non sono sicuro neanche più di questo. 
A cercare di essere brevi, vinco con 1,89 e successivamente mi sparo tre tentativi a 1,95, dieci giorni prima avevo fatto 1,93 e volevo onorare la gara con una prestazione dignitosa, nonchè il mio personale master, non ce l’ho fatta, pazienza! 
Secondo, arriva un Francese con 1,86, e terzo, con la stessa misura e qualche errorino in più, l’amico Marco De Angelis (per me vero vincitore della gara, data la classe del suo salto). Sceso dal tappetone incontro le mani complimentose dei miei colleghi, nessuno escluso. 
Mentre mi rivesto, arriva il francese e mi dice che la misura dei miei chiodini è irregolare, troppo lunghi! Tengo a precisare che ho comprato le mie Adidas con annessi chiodi, on line, da Athletic a Milano, noto spacciatore di chiodini eSaltanti! 
Comunque, chiedo al giudice se è vero, se mi fa vedere dove sta scritto, se me li misura, insomma, un po’ stordito, con accanto Sjoberg, Thranhardt e Sotomajor, un tantinello scocciati, attendo il fatidico responso. Con il manualetto tecnico della manifestazione in mano, il giudice mi dice che il francese ha ragione, al massimo potevo avvitarmi sotto i piedi 6mm di chiodi, e i miei, effettivamente, misurati con una artigianale dima di metallo, non passavano, forse di un millimetro, ma non passavano! 
Io: - Quindi? Il Giudice: - Two Gold!! L’errore è stato nostro per il mancato controllo alla call room, ma i tuoi chiodini sono irregolari. Io: -Gulp!!!! Il francese: -Hihihi, Ok!!! Non è finita qui! Esco dall’arena in preda a una crisi dislessica come Zed, il poliziotto sclerotico di “Scuola di Polizia” e pensando e ripensando all’accaduto mi chiedo: ma quello forse la dima me l’ha passata allo scalino dei 5mm e non dei 6mm, un’allucinazione? Boh! 
Mo cerco il giudice italiano, gli porto la scarpa e me la faccio ricontrollare!! Con difficoltà, lo trovo. Qualcuno gli aveva già spiegato l’accaduto! 
Lui: -Non hai saltato con queste scarpe!! 
Io: -Gulp!!!! 
Lui: -Non sono queste le scarpe con cui hai saltato!!! 
Io: -RiGulp!!!! Certo che sono queste, dove prendevo un altro paio, in prestito dal francese??? 
Insomma, il giudice italiano, che forse (tiro a caso è), avrebbe dovuto fare i miei interessi, ha dubitato della mia buona fede, insinuando che avessi operato una sostituzione di scarpe o di chiodi! Malvolentieri rivà in pedana con la mia scarpa, confabula con gli altri giudici, suppongo rimisuri, e torna, dicendomi: - fatti gli affari tuoi sennò ti tolgono pure la medaglia
Ok! Eseguo, mi faccio i fatti miei, salgo sul podio alla stessa quota del francese, Inno... siam pronti alla morte/ l’Italia chiamò... e dopo... Marsigliese!!!! 
Due inni, due misure diverse, foto ricordo del podio praticamente da bruciare, insomma, festa decisamente rovinata!! Tornato a casa, e dopo qualche giorno, vado a verificare i tre punti IAAF ai quali il libricino della manifestazione fa riferimento per la misura massima dei chiodi (quello in inglese, già, perchè quello in spagnolo stranamente non contiene alcun riferimento ai suddetti punti IAAF) e bada ben bada ben bada ben v’è scritto che la misura massima regolare è di 9mm, tranne per il salto in alto, dove sono regolari fino a 12mm!!!! Il loro manualetto diceva 6mm!!!! 
• Errore di battitura? 
• Si sono fidati di quel che c’era scritto sul libretto senza verificare i punti IAAF a cui si riferiva?? 
• A ‘sto cacchio di Francese come gli è potuto saltare in mente di farmi fare un controllo dei chiodi???? 
• E' mai stata fatta una tale richiesta precedentemente in questa galassia? 
• Perché ha aspettato che terminassi la gara prima di cantare, per giunta anche i miei tre tentativi a gara vinta? 
• Ha pensato: -provo a vincere/ se non ci riesco/ tiro sta carta? 
• Ha ricevuto una soffiata circa l’incongruenza del manualetto? 
Beh, ditemelo Voi, perché io non sono giunto a conclusioni accettabili senza utilizzo di stupefacenti!! Conclusioni: Ho ripristinato l’hard disk della mia memoria al dopogara, non ricordo più nulla di “atletico”, mi resta solo il ricordo dei momenti passati con il mio amico Giulio, brillante bronzo nei 60m M50, e delle risate fatte a cena con gli amici Emanuel Manfredini, Franz Arduini e Marco De Angelis, dai quali ho ricevuto solidarietà, davanti a una fantastica paella! Gente vera, gente di sport, gente con un altro passo!! 
W la France!

27/03/13

San Sebastian '13: la mia indignazione contro l'organizzazione

(nella foto: l'evidente tocco della riga da parte di Denise Neumann in 6^ corsia. Il giudice di curva è appena fuori dall'immagine, ad un metro circa dall'italiana) - Prima di poter scrivere qualche cosa di natura tecnica sui campionati Europei Master Indoor (nei miei sempre più risicati intervalli di tempo) che si sono conclusi giusto domenica a San Sebastian, in Spagna, lasciatemi sfogare la rabbia su quelle che sono state le decisioni prese dai giudici e dalle relative Commissioni che hanno valutato i ricorsi agli ultimi campionati Europei. Rimango sconcertato, basito, indignato e con un profondo senso di nausea, sul comportamento generale tenuto da chi era preposto a valutare i comportamenti degli atleti in gara, con aspetti in molti casi davvero sgradevoli. La penso così, non ci posso fare nulla. E non me lo tengo dentro, e non devo tenermelo dentro come ho già fatto troppe volte.

Probabilmente non conosco "cosa ci sia dietro", cosa che mi è stata già rinfacciata duramente. Aggiungo: per fortuna, perchè 1) chissà davvero cosa ci sarà dietro e 2) questo articolo sono anni che lo voglio scrivere. Però come non si fa a vedere? Come non si fa ad indignarsi dopo aver visto? Di chi è la colpa della gestione tecnica? I Giudici sono un corpo a sè stante o hanno direttive da parte di qualcuno? Magari proprio dall'Evaa? E le commissioni che valutano gli onerosi ricorsi degli atleti squalificati, con che criteri vengono formate? Secondo voi bisogna tacere o si deve poter manifestare pubblicamente lo scoramento ad una situazione che ormai ad ogni manifestazione si palesa in manieria così plateale? In una settimana di gare, mi è sembrato di assistere a una serie interminabile di torti, decisioni quanto meno opinabili, spesso incomprensibili, a danno di persone che spendono parecchie centinaia di euro per partecipare ad una manifestazione internazionale e vengono estromesse dalle competizione con decisioni quanto meno bizzarre. Lasciatemi usare questo termine: bizzarre.

Il mio metro di paragone è Asafa Powell. Che c'entra Asafa? E' presto detto: Asafa Powell alle Olimpiadi di Londra '12, cioè solo qualche mese fa, nei quarti di finale per puro vanto narcisistico nel guardarsi nel mega schermo posto a fondo rettilineo, sul terzo anello dello Stadio Olimpico, oltrepassò nettamente la linea della propria corsia con un piede per almeno tre falcate. Non fu squalificato, perchè la norma violata, la 163.3 dei Regolamenti Internazionali, concede (pare) anche una certa alea di opinabilità al Giudice Arbitro. E correggetemi se sbaglio. Era davanti, non ostacolò nessuno, e la passò liscia.

A San Sebastian invece l'orientamento generale sull'articolo 163.3 è stato la mannaia trasversale dei master, con il  massimo dei minimi raggiunto con la semifinale dei 400 M75: 4 settantacinquenni su 5, squalificati per invasione di corsia. Ma che è successo? Hanno giocato ai 4 cantoni? O alle 5 sedie? Qualcuno avrà avuto un minimo di senso di colpa andando a letto quella stessa sera? Qualcuno non ha pensato di fare una bella riunione tecnica per dire: ragazzi, calma: usiamo il buon senso, usiamo la testa!

Invece, pensate quali vantaggi avranno tratto dal "cadere" da curve così ripide e dover poi essere costretti a ritornare verso l'alto. 4 su 5 sembra davvero troppo, fuori da ogni logica sportiva. Delle due, una: o i 75enni sono tendenzialmente dei ladri (o almeno, l'80%) o i Giudici sono stati troppo rigidi. Rigidi naturalmente è un eufemismo.

La mannaia è calata poi misteriosamente sulla nostra atleta di punta del settore velocità "giovanile", ovvero Denise Neumann. Non sono bastati i filmati lapalissiani a far recedere da una decisione assurda. Nessuno aveva invaso nulla, ma Denise è stata cancellata dalla gara, nonostante il record italiano e una medaglia sicura. Stessa cosa successa nella medesima categoria e gara ad una delle favorite, ovvero la portacolori bulgara. Una olandese, vincitrice dei 400 metri con un vantaggio di un intero rettilineo, squalificata per "tocco" della linea. I master sono evidentemente dei bari per il corpo giudicante. A me i giudici San Sebastiani mi sono sembrati tanto gli ausiliari della sosta: colpisci (alcune volte a caso) e scappa.

E i marciatori squalificati a grappoli perchè nelle ripide curve non riuscivano a marciare compostamente?

E l'assurda decisione di far vincere due atleti con due misure diverse nel salto in alto M35 perchè il vincitore (un italiano) aveva i chiodi troppo lunghi? Ma i giudici i chiodi dovrebbero controllarli prima dell'inizio della gara, non certo alla fine. Sembrerebbe ovvio, no? Vi vedete un arbitro che fa vincere una squadra che gioca in 12, per poi riconoscere il proprio errore e concedere la vittoria anche all'altra squadra? E' successo pure questo.

E la misteriosa squalifica e poi riqualifica della nazionale tedesca F40 a danno di quella italiana, che soddisfaceva in tutto e per tutto le violazioni dovute per le squalifiche? Misteriosamente riammessa così come giustamente squalificata.

Sapete cosa penso? Che è stato uno schifo per molti aspetti. E per fortuna che non mi è capitato di toccare alcuna riga (anche se in alcuni casi anche senza toccarla, capitava di essere squalificati). Mi vedevo già starmene 3 giorni a rigirarmi i pollici per squalifica.

Insomma, il caos. Giustamente i filosofi dello sport sosteranno che "dura lex, sed lex". Non sarò certo io a rinnegare un tale principio, visto anche il lavoro che svolgo. Ma le palesi incoerenze dimostrate dal corpo giudicante e dalle commissioni sono state fin troppo palesi. E se anche non fossero dimostrate le incoerenze, ma che diamine, alle Olimpiadi e nello sport il buon senso deve essere un principio altrettanto valido che quello dell'applicazione inflessibile della norma nel caso in cui vi siano stati chiari vantaggi dall'aver tenuto comportamenti scorretti. Un "tocco" della riga, che vantaggio può aver dato? E di contro, il "non tocco" certificato della riga, che fastidio può aver dato?

In tutto questo mi chiedo a cosa serva oggi l'Evaa, se nell'unica manifestazione internazionale all'anno per la quale trova ragione di esistere, non ha nemmeno la forza di intervenire in maniera seria e decisa, sull'andamento della manifestazione. Mi domando davvero a cosa serva... dove sono delle graduatorie europee master integrate, i circuiti di gare master europei, gli incontri tra le nazionali master, un orientamento dei giudici votato al rispetto sì delle regole, ma ad una maggiore capacità valutativa sugli effettivi vantaggi derivanti da piccoli infrangments. Di fatto, cambiano i presidenti dell'Evaa, i metodi di selezione delle diverse commissioni rimangono per me un mistero (secondo me guidati da aspetti non certo meritocratici) ma l'unica cosa che pare cambiare sembrano gli orientamenti dei giudici sulle squalifiche degli atleti. Mi si dice che "c'è tanto lavoro": ma dov'è il frutto di questo lavoro? A chi è rivolto se quello che si vede e questo e che la maggior parte del lavoro organizzativo lo fa il Paese ospitante? Forse sarebbe meglio l'autogestione internazionale.

25/03/13

Mennea: la mia intervista inedita a Pietro...

Purtroppo sono mancato in un momento topico dell'atletica italiana, ovvero la scomparsa del campione più rappresentativo di sempre del nostro sport. Atletica? Mennea! Ero fuori dall'Italia, senza un pc e senza la voglia di mettermi a scrivere... A quasi una settimana dalla morte di Pietro, mi sono oggi domandato cosa potessi aggiungere ai fiumi di parole che sono stati già versati per l'icona dell'atletica azzurra. Solitamente non mi va di essere ripetitivo, di aggiungere frasi già usate da altri e che mi incanalino nel fiume di incredulità e dolore che ha travolto tutti coloro che hanno vissuto nell'ombra del Mito di Barletta, senza dare un mio contributo. 

Quando ho saputo della cosa, il primo pensiero amaro che mi è venuto in mente, e che ho messo sulla mia bacheca di Facebook  è che in definitiva l'uomo, per quanto grande sia, per quante cose indimenticabili abbia fatto, uomo rimane e alle ineluttabili variabili che il mondo reale propone, vi si deve inchinare, a partire dalla morte. Tutto quello che si fa in una vita non può essere messo su una bilancia e rivendicare diritti superiori. La morte è la cosa più democratica che esista: non fa mai differenze tra sessi, religioni, conti correnti, gesta, azioni buone e azioni cattive... La morte di Pietro, silenziosa nella sua genesi com'è stata la sua presenza in questo mondo sportivo dopo il suo ritiro, mi ha riportato alla finitima ragione dell'esistenza. Uno baratterebbe una medaglia con un giorno in più su questa terra? Che domanda senza risposte...

Già, ma non vi siete mai domandati poi perchè Mennea non abbia mai fatto parte del nostro mondo dell'atletica dopo il suo ritiro? Io continuo a chiedermelo... Negli altri sport, le icone del passato in qualche modo sono rientrate nei ruoli dirigenziali, o quanto meno rappresentativi. Mennea, invece, ne è uscito, si è allontanato, ha preso altre strade, ha tenuto le distanze con il mondo dell'atletica leggera, tanto che nell'intervista che qui sotto pubblico, ho notato che alcuni aspetti non li conosceva più bene. Perchè? Perchè l'atletica italiana ha perso Mennea? Perchè non ne ha fatto il suo portavoce, la sua bandiera vivente, il proprio presidente, il proprio ambasciatore? E' stata l'atletica a rifiutare Mennea per tutti quegli strani meccanismi che abbiamo tristemente imparato a conoscere e a denunciare, o è stato Mennea a rifiutarla avendo conosciuto... quegli stessi meccanismi? Mi rimane questo dubbio, di chi non lo conosceva se solo di fama e soprattutto non conosceva nulla dei suoi trascorsi con il mondo dell'atletica.

Mennea ci lascia, e mi sento esattamente come il giorno in cui morì Lucio Battisti: la sensazione di qualche cosa di incompiuto. Sarò un sognatore: Battisti mi aspettavo intimamente che tornasse. Ci speravo, non so neppure perchè. Le canzoni sono le chiavi che accendono i ricordi della nostra mente, e poter sperare che ritornasse, ecco, avrebbe voluto dire tornare ad emozionarsi per qualche cosa vissuta nel passato. Sono pure transitato per lavoro sotto casa sua diverse volte, nel lecchese... e se l'avessi visto gliel'avrei chiesto: quando torni? Macchè, non è più tornato, lasciandomi con quella sensazione che mancasse qualche cosa. Così Pietro: se ne va una risorsa, e non so nemmeno darmi una spiegazione su chi e che cosa avrebbe dovuto fare per trattenerlo, riportarlo qui dentro, dare l'esempio...

Vi lascio quindi con un'intervista al telefono che gli feci un paio di anni fa e che non ho mai pubblicato per le sventure del mio precedente sito. Grazie a Mario Longo, contattai Pietro per chiedergli come avrebbe riformato l'atletica italiana. Volevamo che Mennea diventasse il Presidente della Fidal. Non so quanto ci abbia creduto lui stesso, anche perchè si è capito che chi ha plasmato gli statuti della Fidal negli anni, abbia sempre cercato di difendere posizioni che tagliassero fuori ogni forma di rinnovamento, che mantenessero i poteri e le prerogative di certi gruppi avverso a quelle degli altri. E viceversa, a seconda di chi avesse il timone della barca. Non era l'atletica di Mennea, sicuramente. Un'atletica completamente schiacciata sulle necessità delle società e che nulla ha mai concesso agli aspetti generali, quali quelli del reclutamento, la diffusione dello sport, il mantenimento degli atleti... aspetti dimenticati nel nome dei c.d.s. e del portato di quella manifestazione sulle società. Questo è il risultato.

Mi dispiace alla fine dell'intervista non aver fatto quello che gli promisi: pubblicare quelle sue parole per poter tracciare un solco. Il progetto non partì, Pietro non si candidò, nessuno lo chiamò, e io mi rigirai quelle sue parole per mesi senza poterle pubblicare. Lo faccio oggi, sperando di tracciare quel solco di uno sport che lui voleva che fosse più educativo, meno estremizzato, più umano.

17/03/13

Italiani Master Indoor: i 400 femminili

Caterina Padula è al primo titolo italiano come F35: 1'08"74 il tempo necessario per vincere la gara. Tra le F40 passerella trionfale di Emanuela Baggiolini, con un 59"24 di spessore, che la fa non solo la neo campionessa nazionale di categoria, ma anche la prima donna italiana sopra i 40 anni ad esser riuscita a scendere sotto il minuto sui 400 a livello di gare al coperto. Record italiano quindi. Il precedente record tabellato era quello ottenuto dalla discussa Cristina Amigoni nel 2008: 1'00"25 ottenuto ai mondiali master di Clermont Ferrand. Con questo record, per Emanuela, parliamo del 19° record italiano stabilito da quando è master (tra migliorati ed eguagliati), 10 dei quali tutt'ora detenuti. I titoli italiani, nonostante questo ruolino di marcia impressionante, sono in totale "solo" 7, essendosi la Baggiolini "spartita" con l'attività assoluta dove risulta tutt'ora protagonista. Finalmente un titolo anche alla coriacea Gigliola Giorgi tra le F45. Erano infatti passate 8 stagioni dall'ultimo conquistato (dei 4 attualmente nel carnet), ovvero sui 400 outdoor nel 2005. Stavolta con 1'03"58 vince nettamente la categoria, davanti a Vittoriana Gariboldi che ha concluso in 1'06"54
Gianna Lanzini è la nuova campionessa italiana F50: 1'05"80, in una disfida dai contenuti tecnici notevoli, vista la presenza della comasca primatista italiana all'aperto Elena Montini, che terminerà seconda in 1'06"67. Per la Lanzini 9° titolo in 4 stagioni (staffette incluse). L'anno scorso si rese protagonista di un filotto senza precedenti: 6 titoli, con la doppia-doppietta 200-400 indoor ed outdoor e due staffette. Tra le F55 ci troviamo forse di fronte alla "donna nuova" del masterismo italiano al femminile: Angela Pachioli, comparsa agli onori delle cronache con un titolo sugli 800 outdoor nel 2009. L'anno scorso titolo all'aperto, e quest'anno subito replicato con quello al chiuso con 1'08"24, che rappresenta il nuovo record italiano indoor, più di un secondo inferiore a quello che aveva corso Anna Micheletti a Clermont 2008, e che sembrava destinato a durare ancora qualche stagione. Pensate che quel tempo con cui la Pachioli ha vinto, è solo 3 centesimi peggio del record italiano di categoria... all'aperto, attualmente in mano alla Stelori. La citata Anna Micheletti, per consolarsi del record perso tra le F55, si rifa in anticipo migliorando quello delle F60 che già deteneva, dandogli una limata di quasi un secondino. 1'13"25 contro 1'14"10 corso a Jyvaskyla l'anno scorso... nuovo record italiano, il 4° miglioramento da lei ottenuto da quando è entrata in categoria. 26° titolo italiano indoor per la Micheletti, il 10° sui 400, il 7° consecutivo dal 2007.
Liliana DalSass (1'32"99) si prende il titolo F65 (il 5° sui 400 indoor, il primo dei quali risale al 1998), mentre Erminia Furegon quello F70 (1'51"36). Maria Cristina Fragiacomo è la nuova campionessa italiana F75 (1'40"11) ed infine la solita schioppettata (la 41^ indoor) di Emma Mazzenga, per quella che è la sua ennesima impresa: 1'36"84, nuovo record italiano perchè la Mazzenga è la prima donna ottantenne (di fatto li deve ancora compiere, ma per la Fidal vale l'anno di nascita) che corre un 400, sia indoor che outdoor. Mettiamola in un altro modo: la Mazzenga è la donna italiana più "matura" ad aver corso un 400. Ed ogni 400 che correrà, aggiornerà questa impresa di longevità. Vi dico anche una cosa: per soli 5 mesi, la Mazzenga non può fregiarsi del record mondale-europeo di categoria, che appartiene alla elvetica Ruth Helfenstein, che per vincere i mondiali indoor l'anno scorso corse in 1'54"97. Quasi 20" in più della Mazzenga... 

16/03/13

Riflessioni Atletiche: il segreto-mistero del lancio del peso master femminile

Ecco un'altra epica pagina del nostro Corridor Cortese, con le sue riflessioni sul mondo dell'atletica, i suoi momenti, la scansione delle nostre emozioni. Una vista dall'interno di ciò che spesso riteniamo automatico. Oggi un'imperdibile puntata su una fetta molto piccola del mondo Master. Imperdibile.

Quella Misteriosa Enclave 

Di ritorno dalle gare di Ancona: dal frastuono del palazzetto, dalle gioie di ciò che siamo riusciti a far bene, dai rimpianti per ciò che riusciremo a far meglio, dalle pacche sulle spalle, prese e date dagli e agli amici, mi vien da scrivere una cosa. Forse, o sicuramente, è un'attenzione solo mia, chissà, ma dato che la covo da tempo mi par giusto partorire l'uovo entro Pasqua. La sorpresa, se valutata come fatto che cagiona stupore, buona o indigesta, c'è anche quella.
La prendo un po' alla larga: è possibile definire con il solo termine di "Atletica Master" un mondo così vasto, un mondo che ne contiene altri e così differenti? Saranno le specialità dell'atletica, così diverse tra loro, saranno le età che identificano generazioni anche molto distanti. Sarà la fortunata diversità tra l'universo femminile e quello maschile: le differenze "di genere", come si dice oggi, compiacendosi.
Bene, di uno di questi mondi diversi vorrei scrivere, per dire subito che non sono in grado di capire, mi è solo concesso descrivere. Osservo e mi pare si tratti di un'altra galassia; tutto quello che mi è capitato di scrivere sull'agonismo e sulle tensioni legate alla gara mi pare che qui non centri proprio nulla, tranne forse che per il cestino della carta straccia. Chissà se qualcuno potrà aiutarmi; intanto provo a raccontarvi ciò che vedo al di là della rete del getto del peso master femminile.
Un recinto, circondato dal clamore interno del palazzetto e dalle gare di corsa che girano attorno a questa piccola comunità; una comunità a sé stante, dove l'agonismo e la tensione non appaiono pervenuti.
Questa "enclave", assolutamente autonoma, dove pare risieda l'antagonismo dell'agonismo, si ritrova ad Ancona, per un giorno all'anno, alla fine dell'inverno; sempre nello stesso punto, misurabile in precisi gradi di latitudine e longitudine. Io ronzo lì attorno, ogni anno, durante l'ultima parte del riscaldamento, quando i velocisti sbuffano negli ultimi allunghi sul "rettilineo opposto".
Nell'angolo della curva in ingresso al primo rettilineo staziona quest'isola, come contenuta in una palla di vetro di Natale, solo che non scende la neve. Una serie di panche sistemate dietro la pedana accolgono le atlete, tranquille, ben sedute e composte, intente a chiacchierare con le vicine di panca. Ma chiacchierare non è il termine corretto, loro sono davvero interessate alla conversazione, di fatto sembra la cosa più importante per loro. Ogni tanto un giudice si intromette alzando la voce: "si prepari..."; ma ancora nessuno si muove dalle panche. Solo all'ultimo momento un'atleta si alza, dopo essersi scusata con la vicina per aver interrotto la conversazione e va in pedana: getto veloce e ancor più veloce ritorno in panca e in conversazione.
Nel frattempo qualcuno armeggia con la bindella e segnala la misura, ma questa pare una faccenda assolutamente marginale, non così importante da pretendere di interrompere di nuovo la conversazione. Lì, l'Agone è sicuramente e solamente un pesce e caso mai entrasse in conversazione sarebbe solo per definire se rende meglio fatto in umido oppure fritto.
Loro si parlano.. e penso a cosa accade quando qualcuno si azzarda a rivolgermi la parola nella mezz'ora che precede la gara. Ben che vada potrà ottenere in cambio uno sguardo di diffida, al massimo potrei esprimere un grugnito, comunque in monosillabo.
Ma loro, cosa si diranno? Forse frasi terribili del tipo: "oggi ti distruggo anche con le braccia legate" - oppure "non mi sembri in forma mozzarella, è meglio se torni a casa subito" !?
Credo di no, infatti non vedo volti sbranati dall'ansia. Penso che la mia vita non può essere abbastanza estesa per poter pretendere di capire. Mi sento inadeguato, anche ridicolo, sicuramente lontano dal comprendere.
Come potrei spiegar loro che il mio vocabolario fa derivare la parola Atleta da "Athlos": - lotta - in greco. Qualcuno/a dovrebbe aiutarmi a trovare uno spiraglio in questo mistero. Qui, appena oltre quella rete tutto è tranquillo, pacioso, addirittura materno; le forme tondeggianti e prive di spigoli comunicano relax.
La gara per loro è sicuramente un pretesto per incontrarsi; già la definizione di "concorso", per il getto del peso femminile master mi pare troppo agonistica. Forse erano sedute tranquille sui gradoni ad attendere il ritorno di mariti e amici dalle loro lotte infernali. Forse un dirigente della società, sarà comparso davanti a loro, affannato, per supplicarle di aiutarlo: "abbiamo la gara del peso scoperta nella classifica per società, aiutatemi" - e loro, con calma, hanno trasferito la conversazione all'interno della gabbia, forse. Dice il saggio che i misteri non si spiegano; nei misteri ci si inoltra quando la curiosità insorge. Ma intanto il mistero rimane, forse per favorire una sana biodiversità nell'ambiente master.
 Il mistero rimane, a meno che, a meno che dall'interno dell'enclave una master talpa voglia interrompere la conversazione per svelarmi i segreti del master getto del peso al femminile. Ascolterei, "con viva e vibrante curiosità", ma non li rivelerei a nessuno, mai.

Il corridor cortese

Italiani Master Indoor: i 200 maschili

Primo titolo in entrata nella categoria per Andrea Marinoni, con 23"34. Tra gli M40 scudetto allo scrivente, mentre tra gli M45 solita disfida ad altissimi livelli. Dopo il titolo della sera prima, la sfida sembra concentrarsi tra Alfonso De Feo e Mauro Graziano, ottimo sui 60 piani, conclusi con un gran 7"23. Entrambi si ritrovano sulle corsie apicali della parabolica, quindi favoriti dalle corte discese rispetto ai propri conmpetitors. Graziano parte a tuono, raggiunge a metà gara De Feo e lo supera sulla salita. Ma De Feo reagisce e sfruttando l'impappinamento di Graziano sulla seconda discesa, si invola sul traguardo vincente. Poi arriva la doccia fredda: squalifica per fallo di piede. E il titolo finisce dritto-dritto sulla testa del meritevole Walter Comper, al suo primo tricolore da quando è tornato a calcare le piste. Meritato, visto che nonostante i tempi giganteschi sciorinati negli ultimi anni con i quali avrebbe vinto manciate di titoli in passato, a causa di un innalzamento del livello sismico senza precedenti della categoria, non era mai riuscito a mettere il petto là davanti per primo. 23"54 contro il 23"58 di Graziano. Grande prestazione di Maurizio Ceola tra gli M50: vittoria nettissima e record italiano avvicinato sino a 3 decimini. 24"80 il crono e 2° titolo sui 200 indoor dopo quello del 2007. 8 titoli totali, staffette comprese (4), e comprensivo di 2 titoli nelle prove multiple.
M55 nel nome del bresciano Ettore Ruggeri, che si vince lo scudetto in 25"32, 21° titolo italiano (che diventeranno 22 con i 400), 20 dei quali individuali. Nemmeno tanto lontano il 25"00 di Vincenzo Felicetti, che rappresenta l'attuale record italiano di categoria. 9 titoli italiani indoor, 5 dei quali sui 200. L'appena citato Vincenzo Felicetti si fa propri i 200 M60 con 26"98, aggiornando la propria sterminata bacheca di titoli. Con beneficio di inventario (ma il dato dovrebbe essere giusto) siamo a quota 75 titoli di campione italiano, due soli dei quali in staffetta. E al conteggio mancano i 400 e la staffetta di Ancona, che mi riservo di guardare come le carte a poker per non togliermi la sorpresa. Curiosità statistica: è dal 1990, ovvero 24 stagioni fa, che Felicetti annualmente vince almeno un titolo italiano. Una striscia senza precedenti, probabilmente. Il giorno che mi metterò a studiare queste chicche, vedremo se c'è qualcuno che potrebbe aver fatto meglio. 35 i propri titoli indoor, e 17° sui 200 indoor. Nel 2011 e nel 2012 non si era però conquistato questo titolo. 
M65: vince Livio Bugiardini con 27"54, di solo 2 decimi sul 400ista Rudolf Frei (27"74), e 3° titolo individuale per il marchigiano, l'ultimo dei quali lo vinse nel 2008. Il cremonese Romano Carniti arriva anche lui al terzo titolo individuale, dopo gli innumerevoli conquistati con le staffette dell'Ambrosiana. 30"46 il suo crono. La pimpante categoria M75 è nel nome (un pò a sorpresa) di Benito Bertaggia che supera nettamente (quasi 2") il quotatissimo Tristano Tamaro. 32"14 a 34"13. 4° titolo individuale per il piemontese, che si assomma ai 2 vinti dal figlio Danilo (fenomenale 400ista degli anni '90, con tanto di migliore prestazione italiani in qualche categoria giovanile). Luciano Mazzetto (M80) fa doppietta con i 60 vincendo in 42"84, mentre Alcide Magarini vince gli M85

14/03/13

Italiani Master Indoor: i 200 femminili - Mazzenga mondiale rimandato

Secondo titolo consecutivo di Chiara Camini (terzo di sempre) sui 200 indoor F35, che l'anno scorso coprì la distanza in 28"38 e quest'anno in 28"87. Nelle F40 ancora un tempone per Denise Neumann, a soli due cent dal crono che le aveva consegnato il titolo iridato l'anno scorso a Jyvaskyla: 26"31 contro il 26"29 lappone. Direi che è in forma la ragazza, e davanti ci sono ancora i campionati europei di San Sebastian. Bella prova anche di Cristina Sanulli, seconda con 26"93, che fino all'avvento della Neumann sarebbe stato record italiano. Il 26"31 è chiaramente il secondo tempo di sempre, che consegna alla milanese il 12° titolo italiano (due solo in questa edizione di campionati italiani), il 9° individuale, il 3° consecutivo nei 200 indoor, ma anche la terza doppietta consecutiva 60-200. Nella gara più partecipata dei 200 femminili, quella F45, la vendetta viene servita fredda da Marta Roccamo a Daniela Sellitto, che il giorno prima l'aveva battuta sui 60. 27"79 a 28"23, e 28° titolo italiano per la Roccamo (ma come dicevo ieri, con beneficio di inventario per quanto riguarda l'attività all'aperto). 16° titolo indoor (e questo dato dovrebbe essere giusto) e 8° titolo in 9 anni sui 200 indoor, titolo che non conseguì solo nel 2009. Tra le F50, dopo il fuoco-e-fiamme di inizio stagione, culminate col il record di 27"62 sempre sulla pista di Ancona, Annalisa Gambelli il titolo l'avrebbe avuto già in tasca sulla carta. Purtroppo per lei, una condizione evidentemente non più "super" come quella di inizio gennaio, e di contro le ottime condizioni di Marinella Signori, hanno reso fino all'ultimo il titolo in bilico: 28"34 a 28"51 comunque, per quello che è il suo primo titolo italiano master indoor. C'è da dire che entrambi i tempi sono inferiori al precedente record italiano di Gianna Lanzini, ovvero il tempo record precedente a quello corso dalla Gambelli prima degli italiani master. Dopo Neumann, doppietta 60-200 anche per Graziella Cermaria, con 31"70 e secondo titolo individuale intascato anche in carriera. Grande impresa tra le F60 di Anna Micheletti, che diventa la prima donna italiana over-60 sotto i 31" nei 200: 30"89 e naturalmente nuovo record italiano, estirpato dai piedi di Umbertina Contini, che nel 2011 a Gand aveva corso in 31"74. Proprio la Contini chiuderà la gara al secondo posto con 32"81. 25° titolo italiano indoor per la romana, che vince per la 9^ volta i 200 indoor, la 7^ consecutiva dal 2007 ad oggi. Anna Di Chiara vince come F65 il suo 7° titolo italiano indoor, con 39"36, ma il primo sui 200, mentre fa proprio il titolo F75 Teresina Tonazzo con 51"63, 3° titolo nazionale indoor per lei. E per finire ancora una volta Emma Mazzenga, che, come ricordavo ieri, è entrata nelle F80 e che di conseguenza riscriverà tutta la storia della categoria. 39"96 il suo tempo, che è il primo 200 corso da una F80 (quindi record nazionale), benchè non sia il primo corso da una donna italiana sopra gli 80 anni, registrando le statistiche la presenza di una F85. Ebbene quel tempo sarebbe anche il record europeo e soprattutto mondiale, visto che l'attuale record di categoria è fissato a 41"34. Prima donna anche sotto i 40? Macchè, purtroppo la Mazzenga è nata in agosto, e i record internazionali per lei varranno solo in seguito a detta data. Comunque 35° record italiano per la Mazzenga di cui ho contezza, che con questo passa a 25 record italiani attualmente attivi. 40° titolo italiano indoor, prima del 41° che arriverà dai 400 (anche se cronologicamente ha vinto prima i 400 che i 200).

13/03/13

Riflessioni atletiche: i mille risvolti di una gara

Eh sì, con il passare del tempo, sto diventando sempre più unico; roba da collezione, come tutte le cose antiche; capisco però che l'unico collezionista a cui posso interessare sono solo io. Ma, nonostante tutto, provo ancora l'esigenza di confrontarmi e a prevalere è il richiamo della competizione, il confronto con i miei pari età. 
So' di mettere in conto la possibilità di fallire, se accade, soprattutto quando penso di aver corso male o son certo che potevo davvero fare di più, allora mi metto in lutto, assolutamente inconsolabile, mi assale addirittura il dubbio che forse sto invecchiando. Ma poi, trascorsi i tempi della "elaborazione", ritorno ad essere un'entità sociale con cui è possibile anche comunicare.
Comincio a pensare alla gara successiva, al riscatto, alle correzioni da apportare all'allenamento e anche a quelle da apportare alla mia testa. Però, quando capita di raggiungere la meta che mi sono prefissato, anche non nell'Atletica naturalmente, è un po' come poter toccare la perfezione, mi sento gratificato e appagato; è gioia. 
Ad ognuno di noi è capitato di non essere al meglio della forma o di patire qualche particolare fastidio. Se decidiamo di gareggiare mettiamo in conto che c'è una possibilità di vincere, ma anche di non riuscire a raggiungere l'obbiettivo che ci eravamo dati; in questo caso dobbiamo accettare il verdetto della gara, senza accampare scuse che possono solo far male alla nostra dignità. 
Jorge Luis Borges diceva che "c'è una dignità nella sconfitta che difficilmente appartiene alla vittoria". Ce lo ricorderemo tutte le volte che non saremo noi a vincere. Non è vero che l'età diluisce l'emozione o l'agitazione che precede una gara, non è proprio così, almeno per quel che mi riguarda. Cerco di nascondere almeno all'esterno la mia ansia per evitare il ridicolo, ma internamente è un ribollire di pensieri e agitazioni nascoste. 
Naturalmente non tutte le gare hanno la stessa importanza, capita anche di utilizzare le gare come allenamento e dunque la carica nervosa e il dispendio fisico in questi casi risulta ridotto. Le energie migliori posso anche usarle per fare tante altre cose al di fuori della pista. 
Alle gare che reputo importanti però riservo un approccio adeguato. Nei giorni antecedenti la gara decido di indire le giornate del risparmio di energie: le mie. Nel contempo inizia il processo di raccolta di tutte le energie disponibili: fisiche, mentali e, se possibile.. anche cosmiche. 
Ma il giorno della gara, come sempre, ecco i soliti subdoli dubbi: mi sembra di essere stanco; forse la giornata è un po' troppo umida; la pista mi pare un po' troppo dura; le scarpe nuove non le sento ancora mie, è ricomparso quel leggero fastidio all'adduttore, forse ho iniziato il riscaldamento un po' in ritardo... 
I filosofi greci, pare non tenessero in gran considerazione il turbamento dell'emozione, poiché correlata agli organi di evacuazione. Non sono sicuro che il pensiero greco classico si sia espresso anche sul come evitare l'emozione o almeno i suoi effetti secondari; se anche fosse, io ancora non l'ho letto e percepisco uno stimolo conosciuto; forse è meglio che vada in bagno...  - "Non andare a orinare, mi raccomando!!"  -. Così, da ragazzo, mi ammoniva il mio primo allenatore; "la tensione bisogna trattenerla, non scaricarla prima della gara"; e capivo che non si trattava di un consiglio, il tono era quello della minaccia. Naturalmente la mia prostata era molto più giovane! 
Tutto il possibile (ma lecito!) deve essere messo a disposizione per l'ottenimento del miglior risultato; così, la giusta tensione, se non c'è, la si va a cercare. Ricordo un grandissimo velocista italiano che prima della gara, in spogliatoio iniziava a picchiar pugni contro il muro, condendo il movimento con giaculatorie collaudate. 

Tutto serve; ma ecco: il momento topico è arrivato, siamo quasi pronti, abbiamo controllato nervosamente stringhe o velcri da tirare, corroborato di pacche i numeri adesivi, o ci siamo punti con le solite intramontabili spille (che ci sopravviveranno ), verificato anche il posizionamento dei blocchi e la loro tenuta, fatti i tre saltelli di rito; ma ecco che accade quello che in un istante... mi fa scendere le calzette. Capita infatti che qualcuno, partendo nella tua serie dei 100, già dietro i blocchi, in attesa del - "ai vostri posti" - con l'adrenalina che ti spinge le sfere oculari fuori dalle orbite.. pensa che sia bene fare gli auguri a tutti e di insistere per darti "il cinque". Va beh, coraggio, un ultimo rapido sguardo di sfida lungo la mia corsia, fin là, al traguardo. 

Si va, il cuore batte e gli automatismi mi portano a sistemarmi sui blocchi con la solita collaudatissima procedura. Quattro passi per superare di due i blocchi, mani a terra e arretramento della gamba sul secondo blocco con giusta posizione e verifica del carico sullo stesso. Sistemazione del piede sul primo blocco e pulizia delle mani. Posizionamento delle mani a filo della linea bianca, un bel respiro sancisce il collegamento esclusivo con lo starter. 

Pronti: i piedi caricano i blocchi in modo che non possano arretrare nemmeno di un millimetro per cercare ulteriore appoggio al momento della partenza. Sono un filo sottilissimo, teso al massimo, fino al micron precedente la rottura. 

Lo sparo, viaaaa, basso, fulminante, con il giusto assetto mi dileguo come un palloncino gonfiato al massimo a cui di colpo sciolgono il nodo, anche se io non perdo aria, per ora. Ai trenta inizio a sistemare la posizione di massima velocità (si, si dice così al di là della velocità raggiunta), ho la prima sensazione del posizionamento degli avversari. Un rapidissimo, e forse inconscio, controllo di piedi, ginocchia, busto, braccia, tutto composto senza irrigidirmi ma tutto al massimo; mantenere, mantenere senza provare ad esagerare. Infine, la "sofferenza" degli ultimi metri (e qui chiedo scusa ai quattrocentisti) e la coordinazione per la piega del busto, giusto sulla linea del traguardo. 

Ecco il primo ampio respiro assieme alle prime immediate sensazioni, i complimenti agli avversari comunque sia andata. Il lento ritorno con gli ultimi sbuffi di tensione e qualche attimo di gara che, senza essere chiamato, ricompare. Il cambio delle scarpe provando a ripassare lo scorrere della gara; e poi quel po' di souplesse che permette più che altro di lasciar defluire le ultime gocce di adrenalina. Questa è la descrizione di ciò che mi accade prima, durante e subito dopo un cento metri. Sarebbe abbastanza diverso se dovessi provare a descrivere un duecento o una frazione di staffetta. Ogni gara o concorso presuppone un diverso e personalizzato approccio. 
Ogni atleta prova sensazioni differenti e mette in campo esperienze e metodi assolutamente personali, anche se esteriormente simili. E' probabile che si tratti di piccole differenze, ma è anche con queste che ci si confronta. Negli allenamenti si gioca a carte scoperte, poiché sono visibili a tutti. 
Tutto ciò che accade nella nostra testa, rimane invece assolutamente personale, quasi mai se ne parla, appartiene solo a noi, alla nostra parte profonda. Quando capita di vincere o perdere per uno o due centesimi, spesso risulta determinante proprio questa componente intima. E' questa che assiste e sorregge ognuno di noi o meglio ognuno dei nostri tendini, dei nostri muscoli, per il raggiungimento della miglior prestazione nella competizione. E' la testa la parte più importante e caratterizzante nella gara e nell'allenamento di ognuno di noi. Tra l'altro studi recenti dicono che al nostro cervello piacciono le sfide. Le gare poi, e i loro risultati, sono brevi e concentratissimi racconti delle fatiche che li hanno preceduti. 

Il corridor cortese

Italiani Master Indoor, i 60 femminili: 3 record italiani

Sciabolata pazzesca tra le F35 di Ami Fabè Dia (2° titolo dopo quello dei 200 dell'anno scorso a Comacchio): infatti clamoroso 7"62, ovvero terza donna di sempre over 35 sulla distaza, dopo Manu Levorato (con il suo recente e ripetuto 7"41) e Elena Sordelli (7"57). Meglio anche della maori Lusia Puleanga, che nel 2009 era stata capace di correre agli italiani assoluti di Torino in 7"73, l'allora record italiano. Impennata qualitativa delle F35 a prescindere dalla partecipazione o meno ai campionati federali master. Tra le F40 ancora una volta e solo Denise Neumann (pronunciato "Noimann" e non "Gnuman", come Paul, detto Pol). Titolo e record, che volete di più? Peccato solo che quei due cent oltre l'8" che sì migliorano di 2 centesimi il tempo ottenuto dalla stessa atleta a Bergamo, ma che ancora non la fanno la prima donna italiana over 40 sotto una barriera "storica". 8° titolo italiano per Denise, il 3° consecutivo sui 60 metri. Per la 18^ volta entra invece nel libro dei record italiani, migliorandoli o pareggiandoli. Attualmente ne detiene 3 (60 e 200 indoor e 150 outdoor). Titolo cum laude (ovvero record italiano) anche per Daniela Sellitto: 8"22 e 5 cent limate al tempo di Marta Roccamo che era fino a quel momento il top-list di sempre (ottenuto nel 2011). Roccamo giunta proprio seconda dietro alla Sellitto con 8"36. E Susanna Tellini terza con 8"44 che fino all'avvento della Roccamo nel 2011 le avrebbe valso il record italiano. Gara quindi dai grandi contenuti tecnici. 9° titolo per Daniela Sellitto, il 4° sui 60 indoor. Marinella Signori fa nettamente suo il titolo del 60 F50 arrivando a 3 cent dal record di Annalisa Gambelli (8"44 contro 8"41). Secondo titolo sui 60 indoor per la bresciana, il cui primo titolo risaliva al 2004. Tra l'altro un tempo, il suo della vittoria, inferiore al record italiano che aveva ottenuto da F45. Grande prestazione quindi.
Sorpresona tra le F55: titolo alla carneade (per me) Graziella Cermaria, che non si limita a coronarsi per la prima volta campionessa italiana (avrebbe all'attivo solo un titolo con la staffetta dell'Atl. Santamonica nel 2011), ma addirittura ad abbassare il record italiano di Umbertina Contini. 9"14 contro il precedente limite di 9"17. Da fuori la sorpresa è grande, perchè solitamente i record delle icone del masterismo, come la Contini, vengono superati esclusivamente da altre icone che seguono nel flusso delle categorie. Siamo di fronte alla nascita di una nuova vedette del masterismo italiano? Assolutamente inaspettato e notevole, quindi, la prestazione della Cermaria. L'appena citata Umbertina Contini si consola del record perso (ma in realtà era una consolazione ante quo), con l'ennesimo titolo italiano: 9"30 con rischiosissimo fotofinish (si dcrive così secondo il correttore automatico) di Anna Micheletti a solo un centesimo. Giusto per... il record di categoria è sempre della Contini con... 9"17! Ovvero l'atleta ha ottenuto lo stesso tempo nelle due categorie successive: chiaramente il tempo ottenuto da F60 è nettamente più difficile da migliorare che quello nelle F55, per ovvie ragioni. 26° titolo indoor per la Contini, 14° sui 60 piani.
Maria Luisa Finazzi fa suo il titolo F65 con 12"15, primo titolo per lei nella velocità visto che la conoscevamo prettamente come lanciatrice. Erminia Furegon si fregia del titolo F70 con 12"69, anche qui c'è uno stravolgimento di specialità, visto che solo l'anno scorso vinceva il titolo outdoor sui 5000... Maria Cristina Fragiacomo F75 vince il suo primo titolo indoor, dopo i numerosi conquistati outdoor: 11"69 il suo crono. E chiaramente non poteva non finire bagnando l'ingresso in categoria Emma  Mazzenga, uno dei totem del nostro movimento over-35, da quest'anno F80. 11"66, ovvero più di un secondo segato al record italiano precedentemente detenuto da Nives Fozzer. 39°, scrivesi trentanovesimo, titolo italiano indoor per lei (ma con quello di 200 e 400 arriverà a 41). Quelli outdoor sono ancora in ballo i lavori in corso. 15° titolo sui 60 piani. Addirittura 34° record italiano migliorato o pareggiato da quando ho iniziato a tenere le cronologie. Attualmente quelli attivi sono ben 24... 

12/03/13

Italiani Master Indoor: i 60 maschili

Alessandro Maniscalco, M35, si guadagna il primo alloro di carriera in entrata nella categoria: 7"25 per lui, per un solo cent su Giovanni Pau. Nei 60 M40 titolo al sottoscritto con 7"24, mentre il vero show l'ha sicuramente fornito Mario Longo tra gli M45: un sontuoso 7"04 che probabilmente è un record mondiale per quella classe di età. Solo tradotto in AGC Mario totalizza l'incredibile percentuale di 101,86%, cioè il suo risultato riparametrato equivarrebbe ad un mostruoso 6"27 sui 60 piani. Più veloce del record di Maurice Greene in pratica. 16° titolo italiano individuale per Mario Longo, l'8° sui 60 indoor, vicinissimo al limite di 7"00. Secondo nell'overall Mauro Graziano con un 7"23 di grande spessore internazionale. 7"32 per Alfonso De Feo. Tra gli M50 è la volta di Giulio Morelli, con 7"63, al secondo titolo italiano individuale nella velocità dopo quello sui 100 di Bressanone '08. Gabriele Carniato si impone tra gli M55 con 8"01: terzo titolo ma primo sui 60 indoor. Super sfida sui 60 M60: Antonio Rossi si impone di un soffio sul rampante Giovanni Mocchi: 8"01 a 8"05 e per un pelo non perde un'imbattibilità iniziata addirittura nel 2000: 14 titoli consecutivi sui 60 piani, ovvero la striscia di vittorie consecutive più lunga a me nota. 16 i titoli complessivi, con quelli conquistati negli anni '90, il primo dei quali nel 1995. Mocchi perde la possibilità di diventare il New Zealand di Dennis Conner che perse la Coppa America dopo 132 anni di vittorie americane. Rossi conquista anche il suo 40° titolo individuale: una festa per lui insomma. Si passa agli M65: vittoria per Vincenzo Barisciano con un tempo all-time: 8"15, ovvero solo 10 cent peggio del crono della running legend Tristano Tamaro ottenuto nel 2003. 4° titolo per Barisciano, che il primo titolo sui 60 piani l'aveva vinto nel 1997. Piero Congia, 8"97, è il campione italiano M70 (7° scudetto azzurro, il secondo consecutivo sui 60 piani M70). Vittoria al fotofinish su Lambertone Boranga, stesso tempo, ma stavolta costretto a rimanere più basso sul podio per una questione di millimetri. Il citato Tristano Tamaro, M75, purtroppo coetaneo del Dragone Guido Muller per quanto riguarda l'attività internazionale, si intasca il 34° titolo italiano di sempre, il 9° sui 60 piani indoor con 9"20. Non lontano da lui però Benito Bertaggia, messosi in luce soprattutto nelle ultime stagioni: 9"32. Primo titolo italiano individuale, nella categoria M80, per Luciano Mazzetto con 10"49. Mario Ferracuti vince i 60 indoor come M85 con 23"34 (4° titolo), e Giuseppe Ottaviani, classe 1916, con 14"90 (31° titolo italiano individuale).

08/03/13

Italiani Master Indoor ad Ancona: continua l'autarchia

Riprendo i dati forniti dal sito della Fidal, sic et simpliciter perchè non ho voglia di andarmeli a spulciare tutti quando uno ha già fatto il lavoro per tutti: "Gli atleti iscritti sono infatti 1341 in totale, superando così le cifre registrate in passato alla rassegna tricolore “over 35” che va in scena al Banca Marche Palas di Ancona, sede dell’evento per l’ottava volta consecutiva, mentre è l’undicesima nel capoluogo dorico. Da venerdì 8 fino a domenica 10 marzo, ben 2639 atleti-gara si contenderanno 257 titoli italiani individuali, senza contare quelli in palio con le staffette. Le presenze annunciate sono 1020 al maschile e 321 tra le donne, in rappresentanza di 319 diverse società. L’anno scorso 1312 atleti presero parte a una manifestazione rilevante anche per i risultati agonistici, visto che furono stabilite 37 migliori prestazioni italiane e 3 mondiali".

Noi diciamo invece che ci saremo. Peccato che come più volte detto dei master ci si ricordi solo nelle feste comandate, ovvero prima dei campionati italiani e durante le grandi manifestazioni internazionali master. Manca anche solo una pagina dedicata sul sito della Fidal nazionale almeno aggiornata, per un'attività che coinvolge più del 50% dei tesserati, e che sappia periodicamente aggiornare su quelle che sono le attività di questa grande fetta di popolazione atletica. L'Ufficio Stampa della Fidal ha chiaramente già le sue grane nel gestire le informazioni della Nazionale, dei Dirigenti, dell'attività assoluta e di quella giovanile. Il non aver individuato ancora nessun soggetto che possa fare lo strillone su un portale così visitato come quello federale da utilizzare come cassa di risonanza, è, a mio modesto parere, una grave ferita, un torto ed un freno alla diffusione del tesseramento dell'atletica tra gli over-35 in Italia, in una società che comunque che coinvolge maggiormente l'attività fisica in seconda e terza età. Tra l'altro fatto a danno di una fetta consistenti di investitori. Si sta perdendo un treno, l'ennesimo, con i master. Il primo fu perso dopo Riccione '07, il secondo dopo Ancona '09. Ora toccherà Torino '13 (dove non c'entra la Fidal, giusto ricordarlo), dove già una politica dei prezzi assolutamente fuori mercato sta spingendo molti a rinunciare all'appuntamento con le Olimpiadi Master. In Federazione, in questo momento non c'è alcun referente che possa farsi interprete delle esigenze di un'intero mondo di 70.000 persone. Su Atleticanet si vocifera che il possibile eletto potrebbe essere Giacomo Leone... ed è subito sera. Incrociamo le dita: in Belgio l'economia è andata meglio senza governo per due anni...

Concentriamoci comunque su questi 30imi campionati italiani master di cui detengo un database di tutti i vincitori diacronico. Tempo permettendo dopo questo weekend vedremo di dare qualche dato. A chi andrà, buoni campionati! Io ci sarò. 

07/03/13

Da "Campioni Senza Valore" di Sandro Donati: il caso Ben Jonhson

L'estratto che sto per pubblicare fa parte di un testo che gira ormai in rete da anni e lo si può trovare anche in formato pdf ovunque. Basta cercare in google. Lo stesso, prima di pubblicare qualunque cosa sul mio sito ho chiesto tramite interposta persona al Professor Sandro Donati la possibilità di mostrare alcuni brani del libro, che forse per troppo tempo sono stati taciuti. Il libro, Campioni senza valore, fu pubblicato 24 anni fa, nel 1989 e, nonostante i contenuti esplosivi e il fatto che gettasse un'ombra terribile su tutta l'atletica italiana degli anni '80, non partorì (stando alle parole dello stesso Sandro Donati) alcuna querela nei suoi confronti. Ma non partorì nemmeno una reazione "politica" di "pulizia" che permettesse un ricambio completo e generalizzato dei personaggi che popolarono l'atletica italiana di quel tempo. Semplicemente tutto si chetò e oggi molte di quelle persone, al di là delle condanne di natura disciplinare o penale che non vi sono mai state, è giusto dirlo, rimangono in questo mondo sportivo nonostante le macchie indelebili sulla propria coscienza e le ferite mortali arrecate al "nostro" sport. La forza di Donati, che con quel testo andava a rovesciare il vaso di Pandora dell'eldorado dell'atletica italiana degli anni '80, fu quella di approntare un lavoro sotto molteplici aspetti "probatorio", verificando le proprie asserzioni una ad una, senza lasciare quindi il fianco scoperto a qualunque attacco. Non so il motivo per il quale il libro poi sparì dalle librerie, ma quelle conoscenze si persero lasciando furoreggiare persone che probabilmente avrebbero potuto liberamente continuare la loro esistenza in altri ambiti della vita. Qui sotto un pezzo relativo al caso di doping di Ben Johnson a Seul '88, giusto per iniziare a preparare i colpi più duri. Molto di quanto è presente su questo testo con l'evoluzione odierna di quelle vicende, ricordo, è contenuto nel "seguito" pubblicato recentemente "Lo sport del doping" che potete trovare in ogni libreria.

Re Johnson spodestato dal doping

Sabato 24 settembre 1988, dopo alcuni turni eliminatori alquanto incolori, Ben Johnson esplose nella finale dei 100 metri. Carl Lewis, Linford Christie e Calvin Smith, cioè il gotha della velocità mondiale, furono battuti, quasi umiliati. Johnson uscì dai blocchi con la prontezza e la potenza spaventosa di cui era accreditato, ma questa volta conservò integralmente l'abissale vantaggio nella seconda parte della gara. 9"79, vale a dire il nuovo record mondiale, valsero all'impresa i toni della leggenda. Ventiquattro ore dopo, il suo medico, consigliere ed amico Jamie Astaphan spiegò ai giornalisti di tutto il mondo come fosse riuscito a fare di Johnson un imbattibile superman: «Ho seguito quasi più lui dei miei figli... Quando la madre me l'ha portato a quattordici anni, era magro come questo dito... Ben è il primo uomo bionico... L'abbiamo costruito pezzo per pezzo, rendendo potente ogni sua fibra muscolare. Ho speso tanto tempo con Charlie Francis [l'allenatore] per arrivare a questo punto. Adesso mi sento come svuotato, esausto...» Johnson, al contrario, era diventato sempre più pieno e vigoroso.

Il dottor Astaphan parlò, in quella occasione, di una parte soltanto delle sue fatiche «scientifiche». Non fece infatti alcun accenno alle contemporanee costruzioni, pezzo per pezzo come un meccano, della velocista Angella Issajenko, dell'altro sprinter Desai Williams e dell'ostacolista Mark Me Koy. Per modestia, probabilmente. Erano passate poche ore dalle dichiarazioni di Astaphan quando, dal laboratorio antidoping, filtrarono le prime voci relative a Johnson che furono raccolte da un'agenzia di stampa francese: «Le urine dell'atleta canadese conterrebbero tracce di uno steroide anabolizzante del tipo stanozolol che figura nella lista dei prodotti proibiti.» L'Olimpiade ne fu sconvolta. Le voci divennero in poche ore una serie di spietate conferme: squalifica del velocista, annullamento del record mondiale appena conseguito e revoca della medaglia d'oro dei 100 metri. La decisione fu presa all'unanimità dai membri del ciò. L'Olimpiade di Seul divenne l'Olimpiade del doping, o meglio, l'Olimpiade della lotta al doping. Una lotta ingaggiata, per la verità, senza esclusione di colpi, solo contro gli sconosciuti e poco sponsorizzati campioni del sollevamento pesi e soffocata, invece, da forze superiori nei confronti dei divi dell'atletica.

Alle spalle di Johnson, fu trovato prima positivo e poi un po' positivo e un po' negativo, Linford Christie, medaglia di bronzo e neoprimatista d'Europa. Alla fine se la cavò con un'ininfluente tirata d'orecchi. Della soave Florence Griffith non ci si limitò a descrivere la corsa travolgente, le lacrime e i sorrisi. Ai suoi sistemi «integrati» accennarono variamente alcune sue avversarie, come ad esempio Evelyn Ashford, ed alcuni atleti di specialità diverse, come il campione olimpico degli 800 metri a Los Angeles Joachim Cruz. Delle strane fattezze di Florence Griffìth scrisse persino Giorgio Bocca sulla prima pagina di «Repubblica». Tecnici qualificati, come Vittori, sottolinearono l'inverosimiglianza di una carriera consumata interamente ai margini dell'eccellenza e poi improvvisamente proiettatasi, una volta oltrepassata la soglia, non più verdissima, dei ventinove anni, oltre l'orbita del genere femminile. Florence Griffìth, a dispetto delle impressionanti fasce muscolari accumulate in un solo anno, uscì indenne dall'antidoping coreano. Un asso del decathlon, il tedesco dell'Ovest Jurgen Hingsen, si fece estromettere fin dalla prima gara, i 100 metri, per false partenze (tre nel dectathlon). Qualcun altro imboccò anzitempo la via di casa, rinunciando a gareggiare. In questo modo l'atletica poté limitare i danni, in verità già disastrosi per effetto dell'unica positività punita, quella di Johnson.

Le caratteristiche della positività di Johnson a Seul consentirono agli esperti di affermare che l'assunzione di anabolizzanti era avvenuta in un arco di tempo piuttosto esteso. Si sospettò immediatamente sulla efficacia del controllo antidoping a cui era stato sottoposto Johnson, poco più di un mese prima, in occasione del meeting internazionale di Zurigo. Lo staff di Johnson cercò di accreditare la tesi di una macchinazione ordita dalla mano sconosciuta che aveva premurosamente offerto una bevanda al campione prima della gara. L'aneddoto della bibita drogata era stato recitato, negli anni settanta, un'infinità di volte dai faticatori della bicicletta, lungo le strade infuocate del Tour de France o del Giro d'Italia. Ogni volta che erano incappati nell'antidoping, si erano aggrappati al salvagente di una borraccia galeotta, offerta da uno sconosciuto lungo i tornanti del Tourmalet o dello Stelvio, proprio quando più acute erano la fatica e la sete. La storia della borraccia, riferita al clan presuntuoso e superefficiente che circondava Johnson, apparve goffa.

Quattro mesi dopo, in un Canada scosso dalla disavventura coreana di Johnson, il governo deciderà di fare chiarezza ed aprirà una indagine. Ma già nel paese erano circolate nuove circostanziate accuse su Johnson e sul suo clan. La fonte dei definitivi elementi di accusa fu il cuore dello stesso staff di Johnson: il suo allenatore Francis e la sua compagna di allenamento e di iniezioni Angella Issajenko. Francis, chiamato a deporre dalla commissione di indagine parlamentare, si trovò nell'impossibilità di continuare a negare e scelse di vuotare il sacco: illuminò un angolo del doping, quello abitato per anni dagli sprinter canadesi. Per chi, come me, ha frequentato a lungo l'ambiente dell'atletica internazionale, l'angolo messo a soqquadro fu solo una parte, scontata ed infinitesimale, dell'universo del doping sportivo, ma per i non addetti ai lavori le rivelazioni furono sconvolgenti.

Francis, incalzato da circostanze obiettive come le tracce di stanozolol riscontrate a Seul sul suo «fenomeno», le rivelazioni di Angella Issajenko, la fuga precipitosa di altri atleti del suo gruppo, le accuse di medici e tecnici canadesi, si arrese o, forse, cinicamente pensò che non fosse più conveniente negare. Giorno dopo giorno, le sue deposizioni riempirono le pagine dei verbali della commissione d'indagine e i taccuini dei giornalisti di tutto il mondo. Francis rivelò che Johnson si era drogato fin dall'inizio della sua carriera. Che lui stesso lo aveva drogato. Ricostruì l'evoluzione delle terapie, a base di steroidi anabolizzanti e di ormone somatotropo, da una prima fase artigianale e quasi familiare, a quella «scientifica» del dottor Astaphan. Ben Johnson, imparando progressivamente a destreggiarsi fra ormoni, farmaci di copertura, curve di scomparsa dalle urine e antidoping compiacenti, aveva potuto sfrecciare trionfalmente sulle piste di tutto il mondo nelle più importanti manifestazioni internazionali. Era drogato anche in occasione dei campionati del Mondo di Roma. I 9"83, impiegati dal giamaicano-canadese nello stadio Olimpico di Roma, erano stati il frutto non di una pista più corta o di un trucco nel cronometraggio elettronico, come pure aveva sospettato qualcuno, ma degli steroidi anabolizzanti. È mia convinzione che il valore reale di Johnson, senza doping, sia calcolabile intorno ai 10"20. Le rivelazioni di Francis non mi sorpresero minimamente. Era tutto quello che mi aveva confidato Pierfrancesco Pavoni un anno prima.

Francis dichiarò, fra l'altro, che al largo di Seul i sovietici avevano ormeggiato una nave appositamente attrezzata per effettuare controlli antidoping preventivi sui propri atleti e verificare, minuto per minuto, che il mascheramento delle positività non mostrasse crepe. Per gli atleti trovati positivi dal laboratorio navigante, erano state prefabbricate la diagnosi e la prognosi sufficienti a far loro disertare le gare olimpiche. La rivelazione di Francis fu interpretata da qualcuno come il tentativo di colpire alla cieca nel mucchio, per screditare l'intero sistema e riuscire così a mimetizzare le proprie responsabilità, ma anche questa affermazione sarebbe poi stata clamorosamente confermata direttamente dall'URSS. La rivista giovanile sovietica «Smena» avrebbe infatti rivelato che la nave Mikhail Sholokhov era rimasta ormeggiata al largo di Seul per tutta la durata dei Giochi. Attrezzata non per lo spionaggio, ma con un laboratorio antidoping da due milioni e mezzo di dollari: «Sveliamo tutto questo per dare un contributo alla denuncia ed alla soluzione del problema doping; abbiamo raggirato il controllo antidoping di Seul.» Un altro angolo della caverna, sensibilmente più grande di quello canadese, era stato inquadrato, seppure solo di sfuggita. Vi si intravedevano donne mascolinizzate e rese sterili dai trattamenti ormonali, uomini divenuti impotenti o colpiti da gravi patologie al rene e alla prostata, atleti costretti a drogarsi per non essere estromessi dalla squadra nazionale. Tanti altri angoli della caverna restavano ancora nascosti nel buio. Eppure Kerr a Los Angeles aveva fornito la chiave e gli strumenti per esplorare l'antro. Eppure David Jenkins, che con gli sferoidi anabolizzanti si era arricchito e si era autodefinito, al cospetto di un tribunale statunitense, un criminale, aveva chiaramente detto che i due terzi dei campioni di atletica leggera presenti a Seul erano drogati. Eppure il dottor Astaphan aveva affermato che lontano dal doping a Seul erano rimasti solo i rappresentanti di qualche sperduto paesino del terzo mondo. Da anni, chi avesse voluto, avrebbe potuto aprire la caverna del doping nella sua estensione mondiale. Ma chi ne aveva interesse? Non certo i dirigenti della federazione mondiale di atletica, dediti in quegli stessi anni a montare un'impalcatura, via via più complessa, di sponsorizzazioni, diritti televisivi, relazioni diplomatiche, fondazioni fantomatiche e di comodo. La soluzione poteva arrivare da fuori delle organizzazioni sportive, dalla società civile: dalle indagini governative, dalle leggi speciali, dagli organismi sanitari extrasportivi nazionali ed internazionali, dal sistema educativo scolastico, dai politici e dagli intellettuali, nell'eventualità che questi ultimi si fossero accorti che lo sport è un fenomeno sociale e non solo il grande baraccone dove la domenica si esibiscono i moderni gladiatori.

Per tornare a Johnson, Francis ha dichiarato: «Non utilizzavamo più lo stanozolol da molto tempo, lo avevamo sostituito con altri tipi di steroidi anabolizzanti, per cui non capisco come Ben possa essere risultato positivo al controllo per questa sostanza.» Una volta rotti gli argini della confessione, Francis non aveva alcun interesse a mentire su questo punto specifico. Due ipotesi possono spiegare il mistero. La prima è che Johnson, accuratamente «svuotato» di qualsiasi traccia di steroidi, sia rimasto effettivamente vittima dell'iniziativa dolosa di qualcuno che voleva incastrarlo. L'altra ipotesi, più banale, è che i «movimenti» farmacologici intorno a Ben Johnson fossero divenuti così vorticosi e incrociati da sfuggire al controllo dello stesso Francis. Il prescrittore e l'iniettore di steroidi erano stati una volta Francis, una volta Astaphan, una volta Matuszewski; e in qualche sporadica occasione Johnson aveva accettato i consigli di personaggi estranei al suo staff. Verosimilmente, quindi, Johnson scontò a Seul le difficoltà che Astaphan progressivamente incontrava nella sua attività di coordinatore farmacologico. L'organico dell'equipe sanitaria era diventato estremamente flessibile. Qualcuno, che si era infiltrato approfittando della confusione dei ruoli, avrebbe potuto provocare, deliberatamente o accidentalmente, la positività di Johnson. Per una coincidenza che potrebbe non essere fortuita, Astaphan si era formato professionalmente alla scuola bulgara, che si era trovata particolarmente a mal partito con i sistemi antidoping attuati a Seul. Per una volta, i maghi del doping sarebbero stati anticipati dai controllori. Qualunque delle ipotesi dovesse risultare veritiera, è certo che si trattò di un incidente di percorso assolutamente casuale, in alcun modo collegabile a un piano coordinato di lotta al doping che avrebbe presupposto l'organizzazione di un sistema di controlli, incrociati e a sorpresa, da attuare nei periodi più sospettabili dell'anno.

05/03/13

Riflessioni: l'agonismo... dei non vincenti


E poi c'è l'agonismo, la malattia della competizione, una malattia da cui difficilmente si guarisce con il tempo; più facilmente continua ad accompagnarci e la adattiamo alle mutate situazioni.
La definizione di Agonismo ci rimanda ad Agone, che oltre ad essere un pesce commestibile che frequenta i laghi subalpini italiani, significa letteralmente "gara - competizione", derivando dal greco "Agon".
Alla voce Agonismo il dizionario sentenzia: "particolare o deciso impegno di un atleta nella competizione sportiva", o ancora: "strenuo impegno, volontà di vincere una competizione".
E' vero e ne sono assolutamente convinto che lo sport debba essere prima di tutto partecipazione, così come non mi convince chi avverte come "politicamente scorretto" l'agonismo nell'attività fisica. Siamo tutti d'accordo che l'agonismo non è obbligatorio.
Ma, non riesco a pensare ad una realtà meno agonistica della nostra società contemporanea; qui sì che mi vien da riflettere se l'agonismo contribuisca al bene comune. 
Si è agonisti dichiarati in tutto, tranne che nello sport, dove spesso ci si vergogna di confessarsi agonisti, soprattutto se non siamo "nati per vincere".
Ma nello sport l'agonismo è una legittima attrazione e l'esperienza diventa davvero tale solo se la si è praticata e la si pratica da agonisti.
D'altra parte è un fatto che a vincere una competizione sia solo uno.  
E gli altri che si sono allenati ma non hanno vinto?
Naturalmente non tutti i partecipanti possono aspirare a vincere (qui la mia esperienza è consolidata), non per questo motivo bisogna smettere le velleità agonistiche, anzi: se così fosse la gloria di un vincitore in una competizione con pochissimi partecipanti sarebbe davvero poca cosa.
Bisogna immaginare un motivo per competere che sia diverso dalla sola aspirazione di vittoria.
Così, spesso accade che oltre alla definizione della categoria correlata all'età, data dalla Federazione, ci creiamo altre e infinite sottocategorie, solo mentali, solo nostre, assolutamente personali, che rinfocolano la nostra motivazione e aiutano ad accettare volentieri la costanza negli allenamenti.
E se qualche dolorino dovesse importunarci, pronti ad aiutarci avremo i nostri solerti Dottor Sportivi, prodighi di consigli e terapie disinfiammanti. Tecar, Laser.. magari un bel plantare; e via, come nuovi e più leggeri di prima! Però, nella rilettura dell'ultimo periodo, mi par di cogliere un'ironia neanche tanto sottile; forse è meglio eliminarlo.
Come? Andrea mi dice che l'ha già mandato "in stampa", va beh pazienza, mi tengo la responsabilità di ciò che ho scritto. 
E' comunque sicuro che ancora rappresentiamo un target appetibile, non solo per quanto riguarda indumenti, scarpe, riviste di settore, integratori, etc.
Per ognuno la misura raggiunta o il tempo realizzato costituiscono inevitabilmente il riferimento primo con cui confrontarsi nelle successive gare o addirittura provare a migliorarle l'anno successivo, innescando di fatto un agonismo virtuoso, del tutto personale, solo nostro, che ci porta ad affermare: "mi batterò"!
A volte stabiliamo un personale rapporto agonistico con un amico, che al momento della gara diventa l'avversario assoluto, come è giusto che sia; se davvero ci si rispetta, si deve sempre dare il massimo, vincerà il migliore in quel momento.
Ma ancora, ulteriori stimoli potremmo riuscire a trarli leggendo graduatorie e statistiche, valutando le condizioni ambientali del tal risultato: "c'era vento contro" (di bolina, direbbe Giovanni Soldini); oppure: "pioveva", (non nelle indoor, per carità); dandoci nuovi giustificati obbiettivi di miglioramento.
Oppure potremmo ricavare soddisfazioni verificando dettagli che solo noi possiamo cogliere.  
Ricordo un anno in cui, con un po' di fortuna, vinsi all'ultimo anno di categoria e, dopo un'immersione completa nei risultati di tutta la mia fascia d'età, un po' rimbambito, mi accorsi che nessun altro, anche nelle altre gare, era riuscito a salire sul podio.
Tutte cose che forse appaiono un po' come "carezze mentali", ma direi che possiamo non vergognarci di gioire delle piccole gratificazioni personali, soprattutto se rappresentano nuova benzina da mettere nelle gambe e benefici massaggi per la mente.

Prof. Plantarino                            

Goteborg '13: la mai sopita necessità di interpretare i numeri

Pensate solo per un istante a Giulia Viola, la vera sorpresa in chiave azzurra di questi Campionati Europei Indoor. Ma davvero pensate che nelle mille precedenti edizioni dei Campionati Europei Indoor di Atletica non ci sarebbe stata un'altra Giulia Viola in Italia capace di sorprendere, e che invece, a causa di politiche restrittive, rimase a casa? Quanti atleti non sono stati convocati nel passato per principi più di immagine o di opportunità mediatica, che di "premio" sportivo? Centinaia, lo sappiamo tutti. E statisticamente, scusatemi, è improbabile che tra quelle centinaia di atleti non ci sarebbe stato l'atleta che si sarebbe esaltato, passato il turno di qualificazione, andato in finale, fatto il personale e magari vinta una medaglia. Non lo sapremo mai perchè Slinding Doors, purtroppo, era solo un film (per cui mi innamorai, non corrisposto, di Gwineth Paltrow...). Grande plauso alla politica di allargamento alla partecipazione, quindi, ma occhio a quel punto a dare interpretazioni estasiate dei risultati. Le sorprese positive in ogni spedizione ci stanno, come ci stanno quelle negative (solitamente si equilibrano, e quelle negative, com'è noto, se ne sono avute una manciata anche in questa spedizione). Tutto però viene riportato ai numeri, ai giudizi sulle classifiche delle medaglie e dei punti. Si sono lette dichiarazioni e articoli che sono andati a spulciare le risultanze degli ultimi 20 anni di atletica indoor, con voli pindarici forse un pò troppo arditi. "Se consideriamo... togliendo... mettendo... aggiungendo... ma quelli erano in Italia... ma meno podi... con più medaglie... siamo andati meglio". Ecco, volevano dirci semplicemente e sostanzialmente che sono andati meglio, al netto delle edizioni in cui si è andati meglio, naturalmente, e al lordo di una (taciuta) normalità dei risultati. 

Il senso del mio discorso è sostanzialmente quello che se anche questo mandato si intrufola nei perversi meccanismi di trovare forzatamente e in alcuni casi, illogicamente, aspetti positivi, poi, non può lamentarsi se vengono trovate le falle delle proprie argomentazioni. La coperta è troppo corta e si rischia di trovarsi con i piedi scoperti. Non sarebbe forse il caso di fare i gioiosi elfi di un modo di interpretare lo sport come un'opportunità per molti ragazzi che finalmente avrebbero il loro momento più scintillante nella propria carriera? Una convocazione? E quello che potrebbe derivarne sia sulla carriera dello stesso atleta, che l'effetto domino su chi gli gira attorno. E chi se ne frega se si è arrivati ultimi o a metà classifica nei punti conquistati o delle medaglie vinte: basterebbe che la Federazione si facesse finalmente interprete dei principi per i quali esisterebbe: la partecipazione. Favorire l'atletica, piuttosto che farne schiava delle logiche politiche di "apparenza". Poi, forse questo non l'ha ancora capito nessuno, è proprio questa "apertura" il vero investimento sul futuro, che porterebbe ad avere un ritorno di immagine migliore di qualunque altro, e che avrebbe una ricaduta positiva su tutto il movimento. Ammettere i propri limiti, votarsi verso il movimento piuttosto che verso quello che dicono gli "altri". Il giustificazionismo, le scuse, l'estrapolazione forzata di dati, mi sa tanto di campagna elettorale che, mi sembra, sia già finita da tempo. Proprio alle ultime elezioni e nel corso della campagna elettorale, ho osservato l'elencazione sterminata di migliaia di numeri in cui tutti, ma proprio tutti, di una parte e dell'altra, sono riusciti a dire tutto e il contrario di tutto sulla medesima cosa.   

Pensate questi ultimi campionati Europei. Allora, tutti si sono sperticati a sottolineare la grandezza della spedizione, che io, proprio alla luce dei risultati, ho ritenuto e scritto, essere stata normale. Normale per una nazione come l'Italia, in un contesto comunque più modesto di quello outdoor, e comunque meno partecipato qualitativamente, e con questo senza nulla togliere nulla a nessuno, visto che in alcune specialità (vedi l'asta) c'erano i migliori al mondo. Partiamo da una considerazione: perchè serve pavoneggiare dati? Per verificare la forza di un movimento all'interno di un contesto, in questo caso quello Europeo e poi poter, con questi dati, valutare la propria consistenza qualitativa e quantitativa e comprendere così che strategie intraprendere per aumentare o mantenere gli sforzi per diffondere questo sport. Questo dovrebbe essere in linea di principio.

Detto questo, sentivo dire, non so da chi di questa gestione federale (ovvero, lo so, l'ho letto, me l'hanno riferito, ma non trovo lo scritto e quindi lo metto in forma dubitativa) che l'Italia atletica pagherebbe lo scotto nelle specialità sull'anello, per il semplice fatto che mancherebbero gli impianti indoor e che, di contro, la presenza di strutture per specialità tecniche e corte porterebbe ai risultati che si sono visti. A parte che, se sin dall'inizio si fosse fatta professione di obiettività, si sarebbe potuto semplicemente dire che in due mesi sarebbe stato impossibile per chiunque organizzare e pianificare una spedizione per una grande manifestazione internazionale. Chi avrebbe detto nulla? L'aver invece, sin dal giorno successivo all'insediamento, voluto brandire questa cosa dell'Aria Nuova, della corte dei Miracoli, gli ha esposto il fianco a doversi giustificare del disastro delle specialità più lunghe di 60 metri. A voler essere proprio cattivi-cattivi, si potrebbe dire: ma come mai quest'aria nuova non ha funzionato con qualcuno dei presenti agli Europei, e in più in odore di exploit? Capite? Se si è obiettivi, trasparenti, chiari, nessuno può dire nulla. Se si vuole invece complicare il quadro con mistificazioni o interpretazioni della realtà, scusate, ma io mi ci infilo. 

Torniamo agli impianti indoor come giustificazione dei mancati risultati sull'anello di Goteborg. Come logica non farebbe una grinza, se... Negli anni '80, '90, '00, nell'arco di oltre tre decadi di atletica italiana, quando si vincevano i mondiali indoor con Jenny Di Napoli e si portavano a casa le medaglie internazionali indoor con Giuseppe D'Urso, Tonino Viali, recentemente con Maurizio Bobbato, la stessa Cusma, la Possamai e la Dorio di un tempo, secondo voi, quante decine di impianti indoor sparsi per il territorio possedevamo? 
Nuti, Malinverni, Licciardello, Erica Rossi, Ashy Saber che hanno vinto medaglie sui 400 indoor, quante volte, secondo voi, si sono allenati in un impianto indoor in quei tempi? 
Facciamoci questo interrogativo, diamoci una risposta (secondo me, messi tutti insieme quegli atleti, si saranno allenati o avranno gareggiato nell'arco di 30 anni, meno delle dita della mia mano, escluse le partecipazioni internazionali) e comprenderemo che la "mancanza di impianti" non sembra proprio una giustificazione alla debacle di velocità prolungata-mezzofondo veloce-mezzofondo. I problemi, e lo sa anche l'ultimo tesserato della categoria esordienti, sono strutturali e radicati ormai da tempo in quelle specialità: non è che all'aperto nelle medesime specialità, si sia dei fenomeni a livello internazionale. No, valiamo uguali-uguali a quello che si è visto a Goteborg. Ma ripeto: sarebbe bastato dire: non potevano in due mesi sollevare le sorti di quei settori che obiettivamente sono all'anno zero... li stiamo riorganizzando ma ci serve tempo e non è questa certo l'occasione giusta. Giusto. Lo sottoscrivevo, ma non l'ha detto nessuno.