30/06/11

Di Mulo come i Sector: no limits! I desaparecidi (a Torino) Donati e Checcucci convocati per la 4x100

Anche oggi mi soffermo sulla Gazzetta dello Sport in edicola. La prima notizia è che Howe (OVE per Arese) dovrà rinunciare alla staffetta 4x100 di La Chaux de Fonds, nel meeting Svizzero che si terrà domenica, a causa di un lieve fastidio (due ematomi) ad un bicipite femorale riscontrato da un'ecografia (davvero fragile il ragazzo, no?). Sarebbe stato il primo esperimento. 
Prima di affrontare l'argomento generale (proprio la 4x100) l'articoletto chiude riportando un tempo ottenuto da Claudio Licciardello in allenamento sui 400 a Catania: 46"76. A parte che se diventassero sempre notizia i tempi in allenamento, la Gazzetta dovrebbe uscire ogni giorno con Sportweek in edizione speciale proprio sulle prestazioni dei nostri maggiori atleti (ma non solo), ma qui siamo di fronte ad un "pupillo". L'anno scorso strappò nelle stesse condizioni (il racconto di un superallenamento nel pre-Barcellona) una frazione della 4x400 maschile in Spagna e sappiamo tutti come andò finite: l'esplosione termonucleare di cui fu vittima ai 300 metri della terza frazione, dopo che gli incredibili Vistalli e Galletti avevano portato in testa il nostro quartetto. Nel giro di pochi secondi perse 5 posizioni. Ora tremo all'idea di come la pubblicazione di questo tempo (ma come l'hanno preso? Con le fotocellule e lo starter o con cronometri "amici" che partono quando parte l'atleta dalla posizione in piedi... quindi un potenziale 47"3/47"4?) possa influire sulle scelte del settore tecnico, visto l'aura di santità che si irradia dall'Area 51 di Catania, dove nulla è quello che sembra.
Poi incredibilmente si manifesta direttamente nel medesimo trafiletto il Mourinho dell'atletica italiana (investitura e paragone Made in Fidal, non certo mio: non ho queste vette di fantasia), Filippo Di Mulo, intervistato da qualche emissario della rosea: "In Svizzera correrà il quartetto di Barcellona; Galvan riposerà per il risentimento al sartorio. Tumi pensa agli Europei u.23". Ok, altro elemento che tornerà utile quando si scriverà la biografia di Di Mulinho: ha doti divinatorie tanto da poter entrare facilmente nella mente di Michael Tumi e carpirgli i più reconditi pensieri. Nel suo ultimo intervento avrebbe compreso che Michael sarebbe un peso perchè sarebbe stato distratto dagli Europei Under 23: lo avrà capito guardandolo negli occhi o ponendogli la mano sulle tempie come Spack? Non oso pensare quale potrebbe essere la prossima marachella di Tumi per non essere convocato in una 4x100. Ha già fatto di tutto per scongiurare la propria convocazione: pensate, ha vinto gli italiani indoor assoluti sui 60, è arrivato terzo agli assoluti outdoor, ha battuto sia Di Gregorio (ad Ancona) che Collio (a Torino... gli altri due Barcelonesi non hanno nemmeno più il coraggio di presentarsi in una gara individuale). Ha corso pure in 10"35 e 10"36 nelle scorse settimane. No, concordo con Di Mulo: non deve essere convocato con queste misere credenziali. Pensi agli Under 23 e non rompa.
Jacques Riparelli ormai entrerà solo nella 4x100 di Federica Sciarelli a Chi l'ha visto? nei top 4 dei più "scomparsi" del mese. Ormai è chiaro: nonostante le immagini, gli sbobinamenti di filmati, i quadratini colorati ad indicare preacambi, movimenti anticipati, e quisquiglie del genere, la colpa del tragico errore di Stoccolma è integralmente sua (vero, vero!) e Di Mulo non tollera (giustamente) chi sbaglia. Avete mai visto Mourinho (quello vero) dare una roncalliana carezza al bambino Kakà quando sbagliava le triangolazioni con Higuain e Cristiano Ronaldo in queste due difficili stagioni? No: così lo ha sbattuto in panca. Stessa cosa dicasi di Di Mulinho: finalmente un pò di coerenza: avrebbe detto (vox populi da Stoccolma) che Riparelli non avrebbe più corso una staffetta e finalmente dà seguito alla propria presa di posizione. E sono due in meno, e qualche posto libero in più per qualcun'altro. 
Così si rivedrà in pista un pezzo di storia atletica italiana: la 4x100 d'argento di Barcellona. Ma scusate: quindi... Roberto Donati e Maurizio Checcucci? Ma da dove sono stati riesumati? Ma... ma... ma io mi perdo qualche cosa... non capisco più niente... quindi non erano infortunati sabato e domenica scorsa, tre giorni fa, allorquando, benchè iscritti, non si sono presentati nella gara dei 100 metri che avrebbe una volta per tutto sancito le gerarchie della velocità italiana? Quindi si sono sentiti superiori agli italiani? Guardate, vi dico la verità: è lo stesso motivo per il quale nemmeno io mi presento da qualche anno agli italiani assoluti: sono superiore dall'alto dei miei over-11" e ho altre cose da fare proprio in quei giorni.
Rimane l'incognita Fabio Cerutti, che nonostante i suoi 10"3x targati 2011 probabilmente sarà la riserva di Donati e Checcucci. Che scena... vi vedete se sul vostro posto di lavoro, dopo esservelo sudato con una costosa Laurea e corsi di formazione di ogni genere, dovesse arrivare il diplomato del liceo a soffiarvelo? E voi a fargli da supplente? Bè i tempi sono opinabili: Cerutti (10"33, 10"34, 10"38...); Donati (10"58 e 10"64), Checcucci (10"59 e 10"65... ma anche 10"73 e 10"80!). Certo, l'anno scorso era un altro paio di maniche: Checcucci arrivava (l'anno prima degli Europei...) da un 10"26 e per la Legge Generale della Fidal nella velocità, gli atleti sono premiati con le nazionali... l'anno dopo le prestazioni, non certo l'anno in cui si sono ottenute. Sarebbe troppo facile, no? Donati invece, si è (si era...) ritagliato uno spazio da 200ista di fama, scavato tra le frotte di atleti italiani che ogni stagione scendono sotto i 21". Quanti sono? 30, 40? Non mi ricordo. Quest'anno non ha nemmeno ottenuto il minimo (per Torino, non per Daegu) per i 200, ma questo è un fastidioso dettaglio. Cancellatelo da queste riflessioni.
Spero solo che voi non la pensiate come me, che purtroppo per natura e deformazione professionale, sono portato a pensare male dei comportamenti umani che si posizionano in queste zone grigie. Se fosse un libro giallo, Di Mulo avrebbe potuto "suggerire" ai due atleti citati di non esporsi nei 100 a Torino, dove la dura realtà dei numeri li avrebbe purtroppo sotterrati e cancellati da qualsiasi discorso staffettistico. Non penso sarebbero arrivati nemmeno in finale (tanto su questa affermazione non ci sarà mai il contraddittorio proprio per la loro assenza). Avrebbe potuto suggerire di riservare ogni risorsa per la settimana successiva, cioè a Le Chaux De Fonds, dove guarda caso, ci sarebbe stata una bella staffettina 4x100. Lì si sarebbero sistemati tutti i fili con un bel tempone: facciamo 38"50? Facciamolo! Poi nessuno potrà mettere becco sulle nostre decisioni. Così dalla funesta Staffetta di Stoccolma dove Uguagliati di imperio avrebbe imposto le proprie scelte, passando per gli italiani e le assenze forzate, arrivando alle convocazioni per Daegu, lui avrebbe potuto aver ragione. Un disegno in tre tappe, in cui a mossa è corrisposta contromossa. Tre settimane per un progetto ambizioso e per dimostrare al mondo che lui avrebbe avuto ragione, anche se il modo per raggiungerlo non avrebbe brillato per equità e rispetto di tutti quelli che vanno più forte (anche se a dire il vero, manco li ha provati). Ribadisco: se tutto ciò fosse un libro giallo... ma non lo è.
Qui permettetemi una piccola critica, seria però: va bene dar voce alle strategie di qualcuno per convincere qualcun'altro che gente che va più piano, in realtà nelle staffette si trasformi in Asafa Powell e Usain Bolt, e meriti le convocazioni. Volendo, un selezionatore fa quello che vuole. 
Ma c'è un problema: dov'erano quei due atleti assenti (ma convocati per la staffetta la settimana successiva) il giorno degli italiani? Ma non sono stipendiati dallo Stato... per correre? E non lo fanno nemmeno nel giorno degli Assoluti, che in teoria dovrebbe essere uno dei giorni dove la loro presenza dovrebbe essere obbligatoria? E allora cosa li si paga a fare? Hanno presentato un regolare certificato medico presso i propri Uffici di Polizia ed Esercito? Non si capisce che proprio questi sono gli atteggiamenti che oggi, da chi non ha un lavoro statale, non sono più tollerabili e tollerati, anche tralasciando l'aspetto prettamente sportivo? 
C'è una dignità connessa al proprio ruolo nello Stato, alla divisa che ognuno di loro ha in un armadio, che non può essere barattata con nessuna strategia o giochetto. Per questo, se qualche tempo fa, costoro li facevo vittime di questo sistema italico di "amicizie" dimentiche delle certezze dei cronometri (italiantipico), ora sono responsabili delle proprie scelte e quindi per questo criticabili. 
Anche se dovessero correre sotto i 38"00, non importa.

29/06/11

La Gazzetta dello sport martella l'atletica

Finalmente si parla di atletica, dirà qualcuno. Finalmente la Gazzetta dello Sport si dedica all'atletica nostrana, dirà qualcun'altro. E per quattro giorni consecutivi, poi! Non più costretti a scovare piccole news in microscrittura nella sezione "sport vari" dove si viene a conoscenza dei risultati del meeting di Brazzaville, o del fatto che Howe (OVE per Arese) sarà componente della giuria di Miss Italia nel Mondo, ma vere e proprie fette di rosea che descrivano amabilmente il nostro movimento sportivo. Nella Gazzetta di ieri si parlava dell'unica vera nota "nuova" dei campionati italiani, Marzia Caravelli: essenzialmente perchè è un personaggio fuori dalle righe e dagli schemi, che "spacca", anche solo per il fatto di non essere tesserata per un gruppo militare: una mosca bianca insomma. Certo ci sono altri "non militari" di primo piano nell'atletica de noiartri, ma generalmente sono confinati alle gare su strada dove le substantiae circolanti sono moltiplicate-per-mille rispetto alla pista. 
Così ci capita ogni tanto di leggere, sulla strada verso le grandi manifestazioni internazionali di atletica (assaporando sadicamente, lo ammetto, un senso di liberazione: urlassimo solo noi il dolore di un mondo in via d'estinzione, sarebbe un conto. Se lo fa il quotidiano più letto in Italia fa sicuramente un altro effetto) vere e proprie sciabolate alle condizioni attuali dell'atletica italiana, che nella mia perversione leggo come una feroce critica alla politica Aresiana. Anzi, diciamo meglio: nell'articolo non se ne fa esplicito riferimento, ma il tag glielo appongo io senza bisogno del consenso della parte. 
L'ultimo pezzo di Andrea Buongiovanni (sia benedetto) avrà rimbombato come un ordigno termo-nucleare nei corridoi della sede della Fidal: "Solo in otto col minimo mondiale" è il titolo che troneggia a pagina 29. Il sottotitolo è il siluro a supercavitazione che se non fa affondare la nave, di certo la inclina paurosamente a babordo: "a 25 giorni dalla scadenza dei termini, si profila una squadra ridottissima. A oggi partono 22 atleti". Ecco solo un paio di illuminanti stralci dell'articolo "la situazione in casa Italia è allarmante"; "a oggi non sono più di otto gli atleti che hanno tutte le carte in regola per affrontare la trasferta iridata". Poi si fa l'elenco, ormai da tutti noto: Howe (OVE, nei 200), Chesani, Fassinotti e Di Martino (nell'alto), Donato e La Mantia (nel triplo), Vizzoni e Salis (martello). E Buongiovanni cita anche un fatto preoccupante: solo Howe (OVE) a Torino ha ottenuto una prestazione da limite "A" per i mondiali. Non da medaglia, eh: si sta parlando di un minimo di partecipazione. Meravigliosa la chiosa a questa presa d'atto sulla situazione appena fotografata: ... l'unica prestazione "mondiale" di Howe (OVE) "deve stupire (in negativo, naturalmente)". 
Su questo aspetto penso che la Fidal non abbia nulla da eccepire: del resto proprio la Fidal con i campionati italiani assoluti ha dimostrato di adottare una politica di progressiva esclusione degli atleti con minimi senza senso, nonostante a Torino durante i 1000 maschili (ad esempio) mancasse solo di vedere i covoni di fieno rotolare come nel deserto dell'Arizona. 
Un'indecenza certificata. Del resto è il prototipo dell'atletica tascabile: 4 gatti e la manifestazione finisce prima e ci si dimentica prima gare con soli 5 atleti. Con questi presupposti non ci si potrà certo lamentare con i minimi della IAAF, no? 
Naturalmente la IAAF ha introdotto un minimo "B", ragion per cui, secondo i calcoli di Buongiovanni, gli atleti azzurri che partiranno per Daegu dovrebbero aggirarsi attorno alle 22 unità, cui si aggiungono i marciatori e il maratoneta (solo Pertile ad oggi). A Osaka, ai mondiali del 2007, si ricorda sempre nella Gazzetta, la più povera spedizione di italiani fino ad oggi registrata, ammontava a 34 atleti. 
Le conclusioni sono dei macigni: dalla lista dei magnifici otto solo Howe (OVE) sarà impegnato in una gara di corsa in pista, e fino a sabato pomeriggio scorso e il suo 7,68 non ci sarebbe stata neppure questa eventualità. L'idea proposta è quella di cambiare le regole in corso d'opera, ma qui mi sento di venire incontro alle rimostranze della Fidal: per portare chi?
Naturalmente ci sarebbero molti giovani che in un consesso internazionale imparerebbero a parametrarsi non con i soliti 4 gatti con i quali competono in Italia, ma con chi va forte e va forte davvero. Perchè non vado lontano dalla realtà quando ritengo che qui da noi, spesso, ci si crogiola esclusivamente con il titolino italiano. Quello consente di assumere atteggiamenti da Semidio, che francamente sono eccessivi. Questà è purtroppo la massima aspirazione, che, come ben capirete non ha sbocchi per la nostra nazionale. 
Sentire di avere un gap contro chi si vuole davvero competere, non può che stimolare le ambizioni, la ricerca della cura del particolare, la crescita tecnica, i feedback con le persone con le quali si "lavora". Uno solo diventa campione, certo, ma spesso il successo sportivo è direttamente proporzionale al numero di persone che si riescono a coinvolgere nel proprio progetto (tecnici, fisioterapisti, medici, sponsor). Fantascienza da noi.
Quindi, non speriamo di vedere troppi atleti a Daegu: prima di tutto costa parecchio il viaggio per la Corea (nell'ottica di diffondere la trasparenza, dovrebbero anche rendere noti quali consiglieri saranno spediti laggiù e soprattutto cosa dovrebbero fare di tanto utile per la spedizione); poi, più atleti si portano, più il tuffo di pancia dalla piattaforma di 10 metri sarebbe doloroso se... non dovessero arrivare medaglie. E il faccione contrito di Arese ad Elisabetta Caporali nell'intervista post-italiani era un libro aperto... all'ultima pagina.

Queenatletica History Channel: lo sprint a Helsinki 1983

La 1^ edizione dei Campionati Mondiali di Atletica Leggera si disputò nel 1983, ad Helsinki, dove il protagonista più atteso era un atleta, statunitense, destinato a diventare uno dei più grandi di tutti i tempi: Carl Lewis. Considerato già da tutti l’erede sia di Bob Beamon nel Salto in Lungo che, in particolare, di Jesse Owens ai Campionati Americani di Indianapolis Lewis aveva dominato i 100, salto in Lungo e in particolare i 200 (corsi in 19”75 a soli 3 centesimi dal mondiale di Mennea). C’era grande attesa per la sfida tra lui (con un personal best di 9”97 nei 100 metri) e il fresco primatista mondiale Calvin Smith (9”93 realizzato in altura, presso l'Air Force Academy). In Finlandia ottimo esordio in batteria per il vice-campione europeo Pierfrancesco Pavoni, in 10”33, mentre l’emergente giamaicano Ray Stewart mostrò subito la sua classe correndo in scioltezza in 10”22. Nei “quarti di finale” Calvin Smith vinse la sua serie in 10”27 mentre Pavoni, per soli 4 centesimi, rimase fuori dalle semifinali, preceduto dal giovane canadese Ben Johnson (per lui 10”40); il miglior tempo venne realizzato da Lewis in 10”20 davanti a Ray Stewart che sembrò pagare lo sforzo mattutino e che corse in 10”37
Nella prima semifinale Calvin Smith vinse in 10”22 davanti al campione olimpico britannico Alan Wells (10”35) con Ben Johnson eliminato in 10”44; nella seconda semifinale vittoria per Lewis in 10”28 senza forzare con Ray Stewart eliminato (10”40) ma consapevole di poter diventare un protagonista dello sprint mondiale. In “finale”, corsa l’8 Agosto con 0,3 di vento a favore, tre velocisti USA sul podio con Emmit King terzo in 10”24 impegnato fino all’ultimo metro da Alan Wells (10”27) e con Calvin Smith secondo in 10”21. Fino ai settanta metri il primatista mondiale era stato sulla stessa “linea” di Carl Lewis quando, però, gli dovette cedere. Gli esperti rimasero affascinati dalla corsa di Lewis che ormai per tutti era sempre più il figlio del vento e che dai settanta metri sembrò accelerare rispetto agli avversari: titolo in un eccellente 10”07 (con condizioni climatiche non ottimali). 
Nei 200 metri al primatista mondiale Pietro Mennea, a Carlo Simonato, ad Alan Wells e a Calvin Smith il compito di non far rimpiangere Lewis che aveva deciso di non iscriversi nel mezzo giro di pista. Ci riuscirono molto bene. Mennea vinse la propria batteria con un facile (per lui) 20”80, così come Simionato che correndo in 20”76 si lasciò alle spalle lo statunitense Elliot Quow ed il canadese Atlee Mahorn. Nei quarti di finale Calvin Smith correndo una grande curva vinse il suo “quarto” in 20”60, mentre Simionato (20”75) e Mennea (20”68) gli risposero con grande autorevolezza. Nella prima semifinale il primatista mondiale (19”72 nel 1979) corse ancora in 20”68 mentre Simionato tagliò il traguardo in 20”60 nella seconda, alle spalle di Calvin Smith che con 20”29 aveva scoperto le carte candidandosi per la medaglia d’oro. 
Il 14 Agosto il pronostico venne rispettato con Smith campione mondiale in 20”14 davanti al sorprendente Elliot Quow (20”41) ed all’intramontabile Pietro Mennea che, in 20”51, resistendo ad Alan Wells (20”52) aveva fatto tornare alla mente di tutti la splendida rimonta della finale olimpica di Mosca 1980. Carlo Simionato concluse il suo ottimo mondiale arrivando settimo in 20”69
Nella 4x100 gli Stati Uniti schierarono, sin dalle batterie, la formazione titolare con Emmit King, Willie Gault (sul podio nei 110 ostacoli) Calvin Smith e Carl Lewis (vincitore ad Helsinki anche del Salto in Lungo con 8,55). 
Nella seconda batteria USA vincitori in 38”75 davanti all’Italia di Stefano Tilli, Carlo Simionato, Pierfrancesco Pavoni e Pietro Mennea. Dopo una semifinale vinta in 38”50 gli americani trionfarono il 10 agosto in “finale” in 37”86, realizzando il record del Mondo e diventando la prima staffetta veloce nella storia a correre sotto i 38 secondi. Per il quartetto dell’Italia, trascinato da un sempre formidabile Pietro Mennea, medaglia d’argento con l'allora record italiano di 38”37

scritto da MondoEvergreen

28/06/11

Marzia Caravelli, oggi etoile per la stampa: il prototipo dell'atleta fai da te all'italiana

Se avessimo avuto dubbi sull'atleta-copertina degli italiani assoluti, oggi i maggiori quotidiani italiani ce li hanno spazzati via. Marzia Caravelli, vincitrice di 100hs e 200 con il 4° tempo di sempre in Italia negli ostacoli e un tempone nei 200, a pochi centesimi dal limite "B" per Daegu. Un attimo, però: io di super-Marzia Caravelli ne sto parlando sin dalle prime uscite sui 200, dal sensazionale 23"1 di Latina al 13"12 di Gorizia, fino all'esplosione di gioia di Torino. Esiste uno Ius primogeniture giornalistico? Se esiste, mi metto in pole. Naturalmente non ho i poteri della Gazzetta dello Sport nè del Corriere dello Sport, che possono vantare mezzi centinaia di volte più potenti del mio piccolo pc e della mia connessione Sitecom. Mezza pagina nella rosea di oggi per Marzia. Altra mezza per il quotidiano romano, due dei tre maggiori quotidiani sportivi nazionali. Per entrambi i giornali un elemento emerge anche se non nella sua nitida evidenza: Marzia Caravelli non fa parte di un gruppo sportivo militare, quindi... quindi la vita se la deve guadagnare, lo stipendio se lo deve sudare, la mente non lavora per essere quella di un'atleta, convogliando quindi tutte le energie psichiche verso un obiettivo fin dal mattino, ma lavora su tutt'altro sino alle 17:00, ora in cui si presenta in pista per allenarsi. Prima di quell'orario l'attività di insegnante supplente ai bambini sordi  nelle scuole, quindi, nel pomeriggio, la presenza presso il Comitato Paralimpico del Coni. Un esempio di professionismo che non ha nulla del professionismo (nemmeno pane e salame nostrano, che si esaurisce nel fornire uno stipendio elargito dallo Stato nel deserto di progetti, strutture, trasparenza, studi, staff tecnici e staff medici...) e lasciando gli atleti liberi di diventare grandi... da soli. Poi metteteci che il tutto avviene nel nepotismo in cui affoga l'atletica italiana, dove nemmeno i cronometri e i metri spesso bastano a determinare la bravura o meno di un atleta. Uno su cento ce la fa, gli altri devono sperare nella sorte lasciando in chi li osserva, che non vi veda uno "statale" con quanto di negativo si attribuisce al termine sulla percezione di uno stipendio "a sbaffo". Molti di quegli atleti, purtroppo, si allenano tanto, troppo, male, per emergere e poter dimostrare che ciò che gli viene dato sia lecito. Ma è un circolo vizioso, in fondo al quale ci sono infortuni, incomprensioni, e la voglia se ne va. 
Il tutto mi fa interrogare comunque su un aspetto: in questo momento, che possiamo allungare anche agli ultimi due anni almeno, chi più della Caravelli dovrebbe avere quel posto in una società militare? Chi meglio di lei, incarna lo spirito dell'atletica italiana non-militare? Abnegazione, passione, ritagli di tempo tolti alla vita personale ed impiegati a cercare di essere professionisti, quando il professionista è tutt'altra cosa.
Non conosco Marzia, ma le sue scelte, note grazie ai giornali, ci raccontano da sole di un grande equilibrio... sereno. Certo che dopo un 13"05 fatto così, due titoli italiani, molta serietà, sarebbe anche il caso che anche lei avesse una chance di andare ai Mondiali e poi alle Olimpiadi percorrendo la stessa strada maestra già consentita a tutti i migliori atleti italiani e... non. 

27/06/11

Italiani Assoluti: salti e lanci - Donato 17,17 - Chesani 2,28 - fenomenale 16enne nel lungo

Non perdetevi i prossimi post di Queenatletica (son ruffiano, lo so) soprattutto per un motivo: i Campionati Italiani Assoluti così come sono non hanno più senso di esistere e c'è bisogno di dirlo. Lo voglio dire e lo dirò nei prossimi giorni. Così come sono, sono mortificanti per l'atletica, per tutto il movimento, per chi vince i titoli predicando nel deserto, per chi assiste, per chi, per sbaglio, guarda da casa la tv (nemmeno con 36 canali la Rai riesce più a darli in diretta), per i propri parenti che vedono gare in silenzio, per gli appassionati, per gli storici dei numeri. Mi stanno arrivando diverse mail di sdegno per come ci si è ridotti, con queste finali quasi sempre dirette, per lo spettacolo sacrificato, per i pochissimi partenti (clamorosi i 5 partenti sui 10000 e i 6 sui 5000) e non sempre qualificati (ma questo è il meno e se vogliamo nemmeno un problema). 
Le critiche naturalmente ricadranno su chi da anni lascia che l'atletica continui a morire lentamente senza intervenire su tutte quelle piccole variabili che vengono considerate secondarie ma che invece potrebbero resuscitare una manifestazione che dovrebbe essere il fiore all'occhiello e l'appuntamento clou della stagione nazionale. Serve un'inversione di rotta e nuove idee. Voglio proporre alcune modifiche, e spero che qualcuno le ascolti e ci rifletta. E se avete le vostre idee per migliorare il campionato italiano individuale assoluto, speditemele pure a gigaben@yahoo.it, vedrò di pubblicarle. Io, ad esempio (è una cosa che si può fare immediatamente) cercherei di far prendere un paio di caffè in più ad Attilio Monetti, prima di iniziare le telecronache: sembra infatti che sui 10000 femminili abbia raccontato di eventi provenienti dall'altra dimensione, in cui Nadia Ejjafini spunterebbe a sorpresa a superare la Dal Ri e la Epis sul rettilineo gabbandole sul più bello... e le due atlete che pazzescamente continuerebbero a correre oltre la linea d'arrivo per un altro giro... nessuno l'aveva avvertito che erano state doppiate e non erano state mai in testa? Vabbè, in attesa delle prossime prolusioni, per il momento torniamo a Torino per dare il giusto riconoscimento a chi ieri si è fregiato del titolo nazionale nei salti e nei lanci.

Alto uomini - Silvano Chesani (1988) continua a martellare il minimo "B" per Daegu a 2,28 e almeno in due circostanze il successivo 2,31 sembra la giusta conseguenza del volo, che diventa... pindarico al termine della parabola. Ok, c'è il limite "B", è del 1988, e se non succedono catastrofi naturali il biglietto per la Corea lui ce l'ha. Marco Fassinotti (1989) si piazza subito dietro a 2,25 così come l'eterno Andrea Bettinelli, (1978) che zitto-zitto, quando davvero conta il saltino ce lo piazza dentro. Gianmarco Tamberi (1992) fenomenale una settimana fa a Bressanone, arriva a sino a 2,22, confermando di avere un book davvero interessante per le prossime passerelle nazionali. Sottotono Lemmi, Campioli e Talotti arenatisi a 2,14 prima di sbarcare in Normandia. Di sicuro una cosa la si può dire del salto in alto: è la specialità italiana con più interpreti ad alto livello internazionale, ma pecca sempre di un piccolo semplice aspetto: manca quello che fa il fenomeno e si elevi oltre i 2,30. Il panorama mondiale è poi assolutamente fluido: le medaglie (almeno... i bronzi) negli ultimi anni si vincono con prestazioni attorno ai 2,31, 2,32. Il cielo è lì ad un dito: chi lo tocca?

Triplo maschile - gara uccisa al primo salto di Fabrizio Donato (1976): gli indizi sparsi sulla scena del delitto da ogni parte fino al 17,17 che gli consegna l'ennesimo titolo nazionale. Sto cercando di contare i titoli nazionali dei singoli atleti, e le maglie azzurre. Di sicuro Donato sta all'atletica come Cabrini sta al calcio. Tre salti e tre nulli per il reatino, che ormai sta lavorando per curare i particolari della macchina da battaglia e per regolare i flaps in vista di Daegu. Al posto d'onore l'inaffondabile Fabrizio Schembri (1981) che ha fatto della regolarità la propria identità sportiva: 16,94. Quasi impossibile non portarlo in Corea col minimo "B", soprattutto dopo la vittoria in Coppa Europa. Se lo si chiama, risponde sempre "comandi!". Un ragazzo che dall'esterno sembra troppo serio per fargli uno scherzetto del genere. Stranamente assente Daniele Greco, che però il minimo "B" ce l'ha ed è nato dopo il 1988 (è del '89). Come funziona nel caso vi siano due minimi "B" (la regola generale ne prescriverebbe uno solo): la regola dell'anno si affianca a quella generale consentendo di portare sia Schembri che Greco? Vedremo. E' giusto alla fine sottolineare la prova di Michele Boni (1981) che se fosse nato 10 anni prima, sarebbe stato titolare fisso della Nazionale, frapponendosi tra le generazioni di Badinelli-Piapan-Chiallancin, a quella stellare di Donato-Camossi-Schembri e... Greco. 16,37 e 28^ volta oltre i 16 metri secondo All-Athletics (ma le stime sono sicuramente per difetto). 

lungo donne - gara clamorosamente intensa, più di quanto abbiano detto le immagini e di quanto siano state raccontate. Ok, vince Tania Vicenzino anche se con una misura ormai non più comprensibile per un titolo italiano assoluto: 6,26. Ma ci sta, in un periodo di vacatio campionis, che qualcuno interpreti il ruolo di primus inter pares. Ne esce una gara livellatissima verso il basso, con 6 atlete oltre i 6 metri con in teoria la possibilità di gettare sul tavolo la matta per tutte e 6 e portarsi a casa il titolo. Poi non so se è il mio schermo a 42 pollici a farla un pò troppo larga in 16:9, ma di sicuro questa atleta con un filetto di atleticità in più arriverebbe a 6,50 facilmente. La ricombinazione statistica però non penalizza la Vicenzino, che però si suda oltre ogni ragionevole dubbio il titolo.  In effetti in pedana c'è una bambina di 16 anni, Anastassia Angioi, classe 1995, categoria "allieve", che inizia a fotocopiare i salti della Vicenzino. 6,26 come la Vicenzino, ad eguagliare il miglior risultato che vale un titolo italiano. Ma anche un 6,25 uguale al secondo salto della Vicenzino. 2-2 e shoot-out che passa al terzo salto. 6,23 per Vicenzino e 6,22 per la Angioi. Incredibile: perdere un titolo per un centimetro sul terzo miglior salto: un caso più unico che raro. Troppo facile

asta donne - dopo un serie di puntate a "chi l'ha visto?" spunta dal nulla Anna Giordano Bruno, che di fatto aveva iniziato a saltare una settimana fa (4,30 a Gorizia). Arriva, tira sù l'asta, fa la rincorsa, imbuca, carica e valica 4,40. Minimo "B" al primo tentativo. Troppo anche per Elena Scarpellini ormai in stallo a 4,20 o giù di lì, e in attesa che qualcuno rompa l'incantesimo e la proietti (così come il talento suggerirebbe) verso i 4,50. Come nell'alto maschile è frustrante da tifoso vedere molti atleti italiani fare la coda al cancello della notorietà e non riuscire a trovare il biglietto per entrare, dopo aver fatto tanta strada per raggiungerlo. 6^ Giorgia Benecchi, in leggera ripresa: 3,95

disco maschile - vittoria al pelo e all'ultimo lancio per Giovanni Faloci che se le gare di atletica si facessero ai punti avrebbe perso con Hannes Kirchler: Faloci per metà gara gigioneggia oltre i 58 (58,48) con Kirchler inceppato sui 55. Poi Hannes sciabola il 58,99 che ribalta la situazione. Poi un 58,82 per consolidarla (e Faloci sceso a sua volta a 55) e prima che lanci per l'ultimo tiro Faloci (che nei canapi poteva entrare per ultimo, stante la miglior misura al terzo lancio) si attesta a 58,98. Non servirà: Faloci bordeggia a 59,05 e per 6 centimetri spunta il titolo italiano. Altra bella gara così raccontata, ma rimango con un attimo di astonishment per il fatto che tutto rimane su un referto del sigma e non possa essere stata vissuta come si sarebbe dovuto (come altre sfide del genere, del resto). Il mio è il racconto dell'archeologo che trova le tracce e i geroglifici su un foglio virtuale e il cui pathos (inteso alla greca) avranno vissuto giusto i due protagonisti, qualche persona vicina alla gabbia del disco e un paio di tecnici. Peccato non la si sia potuta vivere come qualsiasi manifestazione sportiva, nella globalità delle emozioni dei convenuti.

Martello uomini - Nicola Vizzoni stavolta ha davvero rischiato di perdere lo scettro all'ultimo lancio. 76,29 a 76,12 conto il mai domo Marco Lingua, e titolo (23°) in saccoccia con qualche patema. Ora, come da lui sostenuto, si torna a lavorare per i mondiali. Secondo me con una misura attorno ai 77 metri, Vizzoni potrebbe raggiungere la finale di Daegu, poi, a quel punto, diventerebbe un terno al lotto. Gli alti e bassi dei migliori martellisti non sembrano seguire logiche particolari, ma sembrano dipendere proprio dalla configurazione degli astri di quel particolare giorno a quella particolare ora. Naturalmente più grandi si è quanto più si riesce a contrastare le variabili indipendenti: a Stoccolma, il grande favorito Zagorniy è riuscito ad arrivare a 10 metri dal personale a causa della pioggia, mentre altri nelle stesse condizioni hanno ottenuto il loro stagionale. Può essere come una gara di formula uno quando arriva la pioggia: le strategie e il rischio potrebbero far pendere l'ago della bilancia in maniera pesante.

peso donne - gara che non presentava sorpresa alcuna. Chiara Rosa, ormai rimasta sola nel consesso nazionale a lanciare a certi livelli, vince per ko tecnico al primo lancio il titolo italiano. Alla fine saranno quasi due metri oltre la seconda arrivata, Julaika Nicoletti. Solo al terzo lancio arriva comunque la misura di 17,64, che però nel consesso internazionale non sembra far paura. Urgono serie di lanci vicini ai 19 metri, anche soprattutto dopo aver visto cosa sono in grado di fare le americani, la neozelandese e le solite lanciatrici dell'est. 

giavellotto donne - gara non disdicevole per Zahra Bani che sfiora il muro dei 60 metri in una competizione ad una sola voce. Sei metri oltre la seconda arrivata (Silvia Carli, con 53,99), la dicono lunga anche sul "fermento" della specialità. Mentre il resto del mondo veleggia oltre i 60, purtroppo in Italia, ad un campionato italiano, solo in tre oltrepassano i 50. Dobbiamo tenerci stretta la trentaduenne torinese, alla stregua della Cusma (che tappa una voragine infinita nel mezzofondo femminile), per non scivolare nell'anonimato internazionale, dove forse siamo già finiti. 

Trials Americani - Risultati pazzeschi

(di Sasuke) Dando un'occhiata alle classifiche non si può non rimanere di stucco davanti alla mole dei risultati di livello mondiale dell'ultima giornata dei Trials americani. Probabilmente grazie alla complicità di condizioni climatiche ottimali non c'è praticamente stata una gara che non abbia visto un risultato davanti al quale togliersi il cappello.

Andando per ordine e partendo dai concorsi. L'asta donne è forse quello meno interessante: vittoria a Kylie Hudson con tanto di primato personale (4.65) davanti alla numero due assoluta della specialità, Jenn Suhr, che pecca di costanza nei risultati (per lei mai più di 3/4 gare all'anno) perchè martoriata da infortuni. Voci di corridoio dicevano che saltasse con antidolorifici per guadagnarsi la qualificazione. Il salto in alto si risolve alla quota di 2.34 che Dusty Jonas sbaglia (per lui comunque 2.31) e che Jesse Williams supera al primo tentativo. Williams riesce poi a valicare anche 2.37 (al terzo, mondiale stagionale alzato di due centimetri) per poi concedersi tre assalti (falliti) a 2.41. Williams aveva 2.34 di primato personale. Stupisce il salto in lungo femminile: su 16 atlete 13 hanno saltato più di 6.30 (misura di eccellenza da noi) ma a stupire è Brittney Reese. La campionessa mondiale regola Funmy Jimoh (6.88) e Janay DeLoach (6.97) con un fenomenale miglior salto di 7.19 (regolare, infilandoci anche  un 7.02 tra i vari nulli). La Reese balza così dalla trentesima posizione all-time alla ventesima, superando, tra le altre, Fiona May. Altrettanto formidabili i risultati del peso maschile: Adam Nelson supera i 22 metri (22.09) regolando un redivivo Christian Cantwell (21.87)  e Reese Hoffa (21.86) entrambi capaci di superare i 21 metri con tutti i lanci a disposizione. Quarto Ryan Whiting (21.34) che guadagna la qualificazione in quanto Cantwell ha un via automatico come campione mondiale.

Altrettanto formidabili i risultati delle gare su pista. Carmelita Jeter è in grande condizione e centra il personale in semifinale (22.24) con Bianca Knight (22.37) e Shalonda Solomon (22.44) ad impersonare le maggiori avversarie. Sanya Richards guadagna la finale con 22.82. Proprio in finale la Solomon beffa la Jeter (22.15 contro 22.23) mentre Jeneba Tarmoh guadagna il terzo posto (22.28). Fuori sia la ex world leader Kimberly Duncan (22.35) che la Knight (22.35) e la Richards (22.68). Al maschile le semifinali sono una sfida a distanza tra un redivivo Darvis Patton (20.25) e un più tranquillo Walter Dix (20.30) con l'eliminazione, scontata, di uno Xavier Carter che non raggiungerà mai più i livelli del passato e, pronostico personale, non avvicinerà mai nuovamente i 20 secondi netti. In finale, aiutati da un vento +2.4, Dix si impone su Patton (19.95 contro 19.98) con il meno conosciuto Jeremy Dodson a guadagnare il terzo posto (20.07).

Negli ostacoli da 84 cm Lolo Jones è la clamorosa prima esclusa delle semifinali. Nell'unica batteria non aiutata dal vento fa 12.81, troppo poco per sperare in una finale in America. La Jones è quindi fuori dai mondiali; non mi aveva mai convinto troppo questa stagione. La migliore è Danielle Carruthers che spinta da un uragano +3.4 riesce a fare 12.37 portandosi dietro Ginnie Powell-Crawford (12.47). Nelle altre batterie, 12.51 ventoso di Kellie Wells e 12.58 regolare di Dawn Harper. Sarà proprio la Wells a vincere la finale con vento regolare, 12.50 il suo crono, davanti alla Carruthers (12.59) e alla Harper (12.65). Bella gara sugli 800 maschili dopo un 1500 vinto al ritmo penoso di 3.46, che vede Nicholas Symmonds vincere con un bel 1.44.17 sul vincitore del Golden Gala e non più giovanissimo Khadevis Robinson (1.44.49) e Charles Jock (1.44.67). Al femminile ben 5 donne sotto i 2 minuti con la forte Alysia Johnson-Montano che vince in 1.58.33 davanti a Maggie Vessey (1.58.86) e Alice Schimidt (1.59.21). Infine, gran 400 ostacoli con i primi tre in un centesimo (!). Vittoria al meno conosciuto Joshua Anderson (47.921) su Bershawn Jackson (47.930) e Angelo Taylor (47.94) tornati comunque su buoni livelli.

In conclusione, grandi campionati americani con ottimi risultati.

26/06/11

Italiani Assoluti: Godot-Howe 200 in 20"52 e barometro che torna sul lungo - super-Caravelli: 23"42

Oggi parlo delle corse. Domani dei salti e dei lanci. Ma la scena più gustosa è stata indubbiamente l'intervista di Elisabetta Caporali ad un più che dimesso Franco Arese. Invecchiato, quasi inerme, incredulo. L'Italia atletica è spuntata e i medagliabili sono tutti incerottati o imbizzarriti. Si prospetta l'ennesimo "zeru tituli" e la cosa può effettivamente provocare eritemi e problemi di digestione. Del resto di solito si raccoglie ciò che si semina. Così ci affideremo ancora alla marcia, specialità meno frequentata a livello mondiale, dove abbiamo una buona tradizione e dove statisticamente le variabili indipendenti influenzano i risultati più della forza intrinseca degli atleti. Diciamo che nei prossimi anni ci aiuteranno i naturalizzati e i ragazzi stranieri di seconda generazione, ma non so se Arese riuscirà a sfruttare la loro onda lunga, anche se i primi epigoni di questa ondata sono già sulle nostre piste: Abdikadar, Bencosme, Derkach, Hooper, Ekeh, Haliti... e tutti gli altri ragazzi stranieri. Il futuro italiano è loro, con buona pace di molti.

Finalmente si parla di Andrew Howe in maniera positiva. Toltisi (fino a prova contraria) di dosso il fardello del lungo, eccolo sui 200 vincere in maniera imperiosa con 20"52. 20"58 in batteria, dove sembrava davvero aver scherzato lasciando intendere di poter correre già oggi vicino ai 20"2. Ma le condizioni meteo invalidanti (per tutti) di Torino, hanno irretito la voglia di esplodere la propria rabbia e di sorprenderci. Non c'è problema: basta che questa sia la sua strada, si è tutti con lui. Di sicuro a parte un paio di atleti al mondo (Bolt e Dix) il resto del panorama internazionale è assolutamente fluido. Lo stesso Lemaitre, che può valere sotto i 20", sembra pagare i turni e a Daegu avrà nelle gambe almeno 4 volate sui 100 (si spera per lui). Al secondo posto si piazza Emanuele Di Gregorio con 20"96, che a forza di collezionare secondi posti (ma qui il primo posto non era preventivabile) si sta rifacendo l'argenteria a casa. Non si è presentato in finale invece Matteo Galvan e ammetto che oltre ad Howe, c'era molta curiosità di vederlo su tempi che dopo i 100 di ieri gli sarebbero appartenuti: tipo in 20"70. Davide Manenti si piazza al terzo posto con 21"11 confermando la propria solidità su quei tempi. Magari aumentare le velocità massimali? Postilla: alle ore 22:46 mi guardo le batterie dei 200 e a Elisabetta Caporali Andrew ha cambiato ancora idea: per le Olimpiadi ha proprio detto che "forse" torna sul lungo. Waiting for Godot. Io mi arrendo.

E anche oggi mi tocca parlar bene di Marzia Caravelli. O meglio: super-Marzia. Non paga di esser entrata dalla porta principale nella storia dei 100hs, eccola che a 30 anni si è inventata 200ista di lusso, quando, per anni, i 200 sembravano essere la sua gara ancillare agli ostacoli. 23"42 che migliora il 23"51 di Orvieto. Le basterebbero un paio di decimi in meno per entrare nella hall of fame nazionale della specialità, dove con questo risultato si è assisa al 14° rango. Dopo il 23"1 manuale di Latina, in molti (io per primo) ci siamo chiesti se i 200 non possano essere qualche cosa di più di un titolo nazionale. Il limite "B" per Daegu è 23"30... Battuta Flavia Arcioni, la specialista degli ultimi anni in assenza della Levorato, con 23"68, e terza Anna Bongiorni con 23"97. Solo quinta Tiziana Grasso, prima frazionista della staffetta azzurra con 24"12. Una buona velocista, questo è indubitabile: ma non certo tra le prime 5/6 italiane. Se l'unico appiglio alla prima frazionista azzurra era il famoso podio di Grosseto 2010, ora non ci saranno più appigli giustificabili per Di Mulo. A meno che convochi in serie un'altra 20ina di ragazze. Vediamo fin dove si spingerà in questo testa-a-testa.


Bencosme De Leon si prende la coccarda del migliore italiano sui 400hs, battendo Giacomo Panizza nella sfida che ormai si aspettava da tempo, visti i messaggi reciproci inviati via Sigma: 50"55 a 50"85. E dire che Panizza aveva il  Bencosme è uno junior e visti i risultati dei campionati americani della stessa categoria, c'è da leccarsi le dita (si è vinto con 51"81 proprio ieri: Jordin Andrade). Naturalmente c'è anche la piccola questione della naturalizzazione di Eusebio Haliti, che quest'anno sarebbe il migliore: 50"46. Sempre Bencosme ottiene la propria seconda prestazione di sempre, dopo il 50"48 di Mondovì, dieci giorni fa. Riflessione del momento: passi per il vincitore, che è giovanissimo (classe '92), ma ci sono stati anni che con quel tempo non si raggiungeva nemmeno la finale. Ogni stagione si avevano 2/3 atleti sotto i 50" (Fabrizio Mori, Laurent Ottoz, Ashraf Saber, Roberto Frinolli, Massimo Radaelli, Paolo Bellino, Patrick Ottoz): oggi si è tornati ai tempi di Cosi-Rucli-Locci (ve li ricordate?) che per un decennio, negli anni '80, ottennero prestazioni tra i 50" e i 51" in maniera periodica. Speriamo nel miglioramento dei 3 ragazzi di cui sopra: è tempo che si scenda sotto i 50" e si torni ad essere protagonisti in una specialità che per l'Italia è come la Coppa Rimet del 1928. Un trofeo senza tempo.

Meravigliosa la finale dei 400 donne. Quattro donne sotto i 53", forse per la prima volta in Italia. L'alloro se lo cinge sul capo Marta Milani che dopo le batterie aveva visto diminuire le proprie chance di vittoria a favore del ritorno veemente di Libania Grenot, che, per inciso, non è quella del 2010, ma che dopo la bruttissima impressione del Golden Gala, si è tirata su di molto. Ma lo scontro titanico finale si risolverà a favore della bergamasca ('sti bergamaschi sono diventati i dominatori del giro di pista), per 3 centesimi: 52"29 a 52"32. Ma mai come in questa occasione, si è avvicinata al duo delle meraviglie Maria Enrica Spacca, che nelle staffette aveva sempre dimostrato di essere molto di più di quello che sul piano effettivamente dava: 52"62, nuovo super primato personale e 11° posto all-time in Italia. Chiara Bazzoni ancora sotto i 53" con 52"95. Elena Bonfanti vince lo scontro diretto per il ruolo di riserva, con 53"75 e poi ancora in grande ascesa Clelia Calcagno, che arriva sesta in 54"05 battendo la più quotata Sirtoli.

Marco Vistalli non ha proprio problemi ad imporsi sui 400: 45"88. Si pensava ad una difesa più strenua di Andrea Barberi, che invece è naufragato al 5° posto con 46"78, in un fazzoletto di atleti racchiusi in 4 decimi. L'altro "bergamasco" di origine cubana Isalbet Juarez arriva secondo con 46"51, che è il miglior tempo elettrico. Terzo il sempre meno sorprendente Michele Tricca che ha iniziato ad inanellare in serie un numero impressionante di 46" e-qualche-cosa. Luca Galletti 46"77. Licciardello veniva dato partente, ma non si è presentato. Le azioni così della 4x400 italiana sono così in picchiata, non trovando un secondo atleta da 46" da affiancare a Vistalli per ottenere risultati internazionalmente consistenti. C'è sempre Galvan, che nelle sue esplorazione nei mondi della velocità ha trovato l'eldorado. Ma è troppo poco a questo punto.

Nei 400hs femminili, netta e imponderabile vittoria di Manuela Gentili. Solo qualche variabile impazzita le avrebbe portato via il titolo: ma archiviata la formalità burocratica, probabilmente la prova è servita per cercare il minimo per Daegu. 56"69, che migliora la propria miglior prestazione nell'album di figurine del 2011 (56"85). Mancato per un nulla il minimo "B" fissato a 56"55. Al secondo posto troviamo Aida Valente, 58"20 e anche lei classe 1978 come la Gentili. Record personale a 33 anni, che migliora un tempo risalente al 2005 a Bressanone (58"82) e 19 posto nelle liste all-time nazionali. Anna Laura Marone 58"85 e Emanuela Baggiolini (1972) quarta con 59"61, che altro non è che il nuovo record italiano F35 corso a 39 anni. 4 ultratrentenni tra le finaliste (e mancava Benedetta Ceccarelli) e una sola ragazza nata dopo il 1990. Anche questa specialità non promette nulla di nuovo per l'immediato futuro.

Gli 800 maschili dimostrano i problemi del nostro mezzofondo veloce: ieri erano partiti in 9 per giocarsi il titolo. Oggi erano in 10. Le batterie sono ormai una chimera: finali dirette in quasi tutte le specialità tanto da farci chiedere se alla Fidal ci stanno capendo qualche cosa coi minimi. Lo ripeto: forse è meglio prendere i primi 30 della stagione, senza questa cavolata dei minimi: un tempo era necessario per limitare la partecipazione. Ora che la partecipazione è quasi azzerata (tipo i 6 atleti nel 5000), è forse il tempo di cambiare prospettive e metodi di partecipazione alla massima competizione nazionale. Comunque sia, Giordano Benedetti bissa il titolo dell'anno scorso con 1'49"26 davanti a quello che poteva essere l'atleta da battere, ovvero Mario Scapini, che proprio a Stoccolma aveva corso in 1'47"17. Invece solo 1'49"51 e secondo posto. Ma diciamo che a parte loro, e Lukas Rifesser, stranamente convogliatosi sui 1500, probabilmente per vincere un titolo più facile, che purtroppo per lui non è stato.

Negli 800 femminili, orfani di Elisa Cusma, il titolo se lo fa proprio Elisabetta Artuso, che si mette dalla parte degli over-35 (formalmente "master") che stanno imperversando a questi campionati italiani. 2'07"11, contro il 2'07"64 di Daniela Reina, che probabilmente partiva con i favori dei pronostici. Terza Cristina Grange, 2'07"69, per quello che deve essere stato un finale "agitato". Non vorrei essere ridondante: le prime tre sono ultratrentenni. Valutate vobis. Fortunatamente dal 5° all'ottavo si contano ragazze delle categorie junior e promesse.

10000 metri incredibili: ma per il numero di partenti: sono solo in 5, è questo è addirittura peggio dei 5000 dove erano in 6. Vince Domenico Ricatti con 29'51"84.

I 5000 femminili vedono alla partenza tutta la schiera di migliori atlete italiane degli ultimi anni e ha la meglio Silvia Weissteiner con 15'48"94. Poi Elena Romagnolo, Rosaria Console, Fatna Maraoui e la nuova Giulia Martinelli, che invece di cimentarsi in un più abbordabile 3000 siepi, affronta la sfida con il gotha del mezzofondista nazionale.

3000siepi ad una Valentina Costanza senza rivali: 10'05"52.

Chiasso: Denise Neumann si prende anche i 100 F40 - Borgonovo sale a 5,72 nel lungo

Nella serata di giovedì scorso, Denise Neumann (1971) finalmente ha messo la parola "fine" alla rincorsa al record italiano dei 100 metri F40. A Chiasso, in una serata magica, piazza un 12"81 da antologia, che cancella tutto ciò che c'era stato prima. Parole, classifiche a mozzo. Non importano più: è il nuovo record italiano che cancella il 12"88 di Paola Melis che aveva appena compiuto 11 anni. E con questo sono 3 i record individuali ottenuti nel 2011 dalla Neumann: 100 e 150 outdoor e 200 indoor. C'è da dire che anche nei 200 ultimamente la milanese si è avvicinata molto alla soglia dei 26", appena sotto la quale è fissato il record nazionale. Nella finalissima di Chiasso, giusto per ribadire il concetto, 12"88 che a questo punto è il secondo tempo di sempre con il già citato crono della Melis. Si rivede in pista anche la ticinese Monica Pellegrinelli (1965) super-specialista degli ostacoli: 13"55 sui 100 piani. 
Nella stessa riunione, nelle gare del salto in lungo, si sono visti fuochi pirotecnici. Gregory Bianchi fa il personale a 7,66 e la ticinese Irene Pusterla salta addirittura 6,81, prestazione da finalissima mondiale. Al secondo posto (come la Neumann) si piazza invece Flavia Borgonovo (1973) con 5,72, nuovo record personale all'età di 38 anni. Serie condita anche da un 5,65 (record personale) e 5,63 (terza prestazione personale di sempre, visto che il precedente personale era fissato a 5,62). Di poco mancato il minimo per i campionati italiani assoluti.
Altri risultati interessanti per gli italiani a Chiasso: 52"19 per Enrico Sarcuno (1974) sui 400. Franco Valsecchi 2'13"17 sugli 800. Qui il link ai risultati di Chiasso.

Trials Giamaicani - Doppietta di Kenia Sinclair - Sempre più forte Kaliese Spencer

(di Sasuke) Non che sia un risultato eclatante quello portato a casa da Kenia Sinclair, ma una doppietta è sempre degna di nota. La forte giamaicana (mia personale candidata all'oro mondiale sugli 800 metri di Daegu) vince senza dannarsi l'anima prima i 1500 (4.18.00) con un tempo addirittura peggiore che da noi (il mezzofondo lì, tolta la Sinclair, è peggio di quello italiano senza Cusma) e poi firma la distanza più breve con 2.00.96 battendo Natoya Goule (2.01.45) specialista anche dei 400 metri che affronta il doppio impegno a distanza di una manciata di minuti. La Sinclair quest'anno è imbattuta (per lei due vittorie anche in Diamond League, sia 800 che 1500) e secondo me è destinata ad andare ancora più forte; il tempo sugli 800, stando a ciò che ha dichiarato, è alto perchè non voleva staccare le altre anche per aiutare la Goule a centrare il minimo B per Daegu (che comunque già possiede quello dei 400 metri). Contemporaneamente, sono già stati corsi i primi due turni dei 200 metri maschili (per le donne uno in meno). Qualificati senza problemi tutti i favoriti, con Nesta Carter che fatica (20"88) e rinuncia poi a proseguire. In semifinale scopre le carte Steve Mullings, intenzionato a doppiare a Daegu (20"25 con vento quasi nullo, +0.5) su Mario Forsythe proiettato anche lui sulla doppia distanza (20"40). Nickel Ashmeade tiene ancora nascosto il suo potenziale controllando la seconda serie in 20"41 con vento 0.7. Stupisce l'assenza di Yohan Blake che rinuncia così ai 200 metri dei mondiali (uno in meno per Andrew Howe?), distanza dove era comunque andato lontano dal clamoroso 19.78 dell'anno scorso.
Poco incisive le semifinali dei 400 maschili, con il primatista nazionale Jermaine Gonzales che si qualifica faticando più del previsto giungendo terzo nella sua batteria (45"67), miglior tempo 45"51 di Lansford Spence. Più interessanti le semifinali femminili: a fare la parte del leone ancora Kaliese Spencer. L'ostacolista è in condizione strepitosa e, dopo aver già corso lo stagionale in batteria e vinto gli ostacoli si qualifica da favorita per la finale con 50"71. Sono andate forte anche Novlene Williams-Mills (50"97) seconda dietro Rosemarie Whyte (50"85) mentre migliora Shericka Williams (51"07). Sorvolando su alcune specialità messe decisamente male (2 atleti al via nei 3000 siepi, vinti in 10.57.37 discreta sfida nel salto in lungo che ha visto la vittoria di Tarik Batcherlor (8.17 ventoso e 8.05 regolare) sul più costante Julian Reid (8.08 e tre salti sopra gli 8 metri).

Trials USA: David Oliver mostruoso - Wariner in crisi? -

Il tempo, 13"04 con 1,4 in sé non riscrive la storia dell'ostacolismo mondiale, collocandosi all'85° rango di sempre. Ma vederlo fare, vi assicuro, è stato qualche cosa di mostruoso che dice che David Oliver anche quest'anno vale il miglior tempo mondiale di sempre. Si avvicina la sfida con Dayron Robles e Liu Xiang e Oliver dopo il 12"94 corso sulla stessa pista dell'Università dell'Oregon, Eugene, compie qualche cosa di più clamoroso, nonostante il tempo più alto. Partenza pessima, con 0"181 di RT contro l'abominevole 0"124 di Aries Merrit. Sono già 6 centesimi di differenza, mezzo metro sul primo appoggio. Il distacco sembra già netto. Poi ci si mette la foga di recuperare il gap, anticipando i tempi e martellando la pista con una furia omicida da brividi. Demoliti i primi ostacoli, ma la forza di Oliver è talmente debordante che gli ostacoli gli sono rimasti sulle gambe come le zanzare sui fari delle nostre auto quando viaggiamo di notte. Alla fine chiude in 13"04, pasticciando, diciamo così. The perfect game, chissà, lo porterebbe già vicino ai 12"8. 
Al secondo posto ti trovo quel satanasso di Aries Merrit, che per baciare il mondiale, ha rischiato davvero tanto sullo start. Secondo tempo personale di sempre (ha 13"09), ma che ha corso già per la terza volta (anche ad Oslo un paio di settimane fa) e che lo pone al quarto posto virtuale sul pianeta. Terzo Jason Richardson che in due giorni e tre sciabolate (batterie, semi e finale), ha riscritto la propria carriera, correndo il primo, il secondo e il terzo tempo di sempre (uno di essi ventoso). Fuori per un centesimo il più accreditato Terrence Trammell con 13"16, cioè con un tempo che gli potrebbe valere anche una medaglia mondiale olimpica: ma questi sono i Trials, questi sono gli USA e questa è democrazia sportiva. Mica come l'Italia dove anche i tempi sono un'opinione, e l'opinione dei tecnici federali vale più dei tempi.
Nei 400 è stato firmato ufficialmente davanti ad un notaio il ritorno sulla terra di Jeremy Wariner. Ormai l'ultima volta sotto i 44" risale al meeting di Zurigo del 2008. Era agosto: quasi 3 anni fa. Erano gli anni della conflittualità con LeShawn Merritt, caduto sulla buccia di banana del doping e forse addirittura possibile partecipante a Daegu, visto che è Campione del Mondo uscente e che, incredibilmente, la sanzione inflittagli si è configurata in maniera retroattiva rispetto alla foto che l'ha impresso col sorcio in bocca. Quindi in questi giorni scade il ban della IAAF e Merritt torna elegible. A Eugene secondo posto (a pari merito col terzo) in 44"98: seconda volta sotto i 45" nell'anno (ha anche un 44"88). Ma pensate che tra tutte le volte in cui Wariner è sceso sotto i 45" (sono ormai 68), oltre il 50% di esse è avvenuta sotto i 44"50. Il manzo di giornata è così Tony McQuay, della Florida University, che avevo sbagliato (chiedo venia) a criticare per le sparate nei turni precedenti. Ce ne ha il ragazzo, che per la terza volta scende sotto i 45" (l'anno scorso aveva 45"37), e con 44"68 si issa così in testa alle quotazioni per l'iride coreana, visto che il granadino Rondell Bartholomew dopo il 44"65 dei primi di aprile è andato progressivamente spegnendosi: magari ha studiato un secondo picco di forma per la fine di agosto. Comunque... l'ho detto mille volte quest'anno: i 400 a livello internazionale sono in picchiata tecnica. Davvero si rischierà di vedere una finale a Daegu dove con un tempo appena sotto i 45" si potrà portare a casa la medaglia. 
Non sarà in Corea Brad Walker, essendo incappato nei 3 nulli alla misura di entrata: soprattutto dopo il 5,84 della settimana scorsa sarebbe stato un bell'avversario per Hooker e Lavillenie. 
Il lungo a stelle&strisce non è più una fucina di fenomeni: ai mondiali ci sarà Dwight Phillips, campione del mondo uscente, ma che a risultati quest'anno è da campionato provinciale dell'Iowa. A Eugene si impone con 8,33 ventoso Marquise Goodwin, che senza vento arriva a 8,16. Non è superman, insomma. 8,19 (ventosissimo) per William Claye, e 8,10 (con oltre 3 metri di vento) per Jeremy Hicks. Non penso che tra questi vi siano possibili medaglie mondiali. 
Nel primo turno dei 200 fa scalpore l'uscita dalla porta laterale della sagrestia di Wallace Spearmon, un'autorità in fatto di mezzi giri di pista. 20"82 con 3,5 di vento a favore. In gergo si dice che sia "sotto un treno". Dopo il primo turno sembra riaversi Shawn Crawford, che da omino Michelin, è tornato ad essere meno voluminoso. 20"24 ventoso (come tutti i risultati, del resto). Walter Dix (detto valter il mago), così come nei 100, rimane coperto in 20"52 (saggio), mentre bisogna seguire da vicino la genesi del nuovo fenomeno Rakieem Salaam (20"41). Xavier Carter anche lui sotto le coperte col prete: 20"53
Accesso in finale nei 400hs per Bershawn Jackson e Angelo Taylor, col secondo e il sesto tempo del seeding. Ardua per il veterano Taylor. 
Lashinda Demus domina, come scritto già tra le stelle, i 400hs anche se per poco manda tutto alla malora all'ottavo ostacolo. Approccia male, con l'intento di scavalcarlo con una gamba, ma si accorge che la ritmica non è quella giusta, brusca frenata e valicamento con l'altra gamba. Ripartenza da ferma e 54"21, comunque lontana da possibili insidie. 

Galvan stravolge le gerarchie dei 100 - "storica" Caravelli sui 100hs: 13"05 - Howe naufraga nel lungo

Mamma mia, non saprei da dove cominciare. Un turbinio di pensieri: davvero peccato non essere stati lì a Torino per vedere in diretta le sorprese che solo lo sport può dare. Quindi partiamo dallo tsunami che ha devastato le gerarchie dei 100 metri maschili nazionali: spazzate via in una sola ondata tutte le certezze della velocità azzurra. Anzi, a dire il vero una certezza si è palesata: lo sprint italiano ha fatto davvero grossi passi all'indietro. Almeno cronometricamente, anche se l'umidità torinese può aver reso grossolani e lenti i muscoli serici degli atleti. Non quelli di Matteo Galvan, che si erge come un Golem sulla finale dei 100. Personale spostato a 10"38 laddove tutti i competitors hanno peggiorato (anche di molto) le loro migliori prestazioni annuali. 
E ora, qualcuno mi dica che dopo la prova di oggi non dovrebbe far parte della 4x100 italiana! Dopo la debacle nel lungo, Howe ora è quasi certo si sposterà nella velocità: almeno, stando alle sue parole disfattistiche sul salto in lungo. Si giocherà la frazione con Galvan, anche se il motore dello Space Shuttle azzurro sembra inceppato. "Houston, abbiamo un problema": Emanuele Di Gregorio che parte da favorito, soffre terribilmente questo ruolo nella scena finale. Così dopo le prove generali, nella rappresentazione finale stecca sistematicamente: ci aveva già pensato Michael Tumi agli italiani indoor. Ora il secondo argento... con sorriso a denti stretti. Obiettivamente: dopo il 10"22 di Hengelo, Di Gregorio ha palesato un vistoso calo che ha fatto tappa prima a Stoccolma poi qui a Torino. Che è successo? Michael Tumi si piazza terzo con 10"44, e quanto meno dimostra di avere una certa solidità a questi livelli (per ora non eccelsi) che gli altri hanno iniziato a perdere progressivamente. Proprio con lui Fabio Cerutti ha perso lo scontro diretto per una prima frazione in ottica Daegu (vorrei proprio vedere se adesso hanno il coraggio di rispolverare gli assenti): 10"45 per il piemontese. Dopo le batterie poteva davvero essere il suo giorno: ora che si è palesata una certa insofferenza di Di Gregorio per le finali, avrebbe potuto giocarsi lo scudetto. Non è stata così. Quinto con 10"47 Simone Collio: quanto avrà influito la polemica sulla staffetta di Stoccolma lo saprà solo lui. Certo che le gare di sprint si preparano mentalmente a mesi di distanza: tutto quello che c'è in mezzo, prosciuga le risorse convogliate e indirizzate a quel fine. Preoccupante che il vettore-due della quadriga azzurra versi in queste condizioni, lontane anni luce dal 10"2 che riusciva a tenere in maniera sistematica nel 2010. E infine, solo sesto Jacques Riparelli con 10"50, che con questa prestazione purtroppo perde molti punti anche in ottica-staffetta. Ora per riguadagnarli dovrà cercare di battere i sopracitati in scontri diretti: dovrà stanarli a casa loro. 
La gara al femminile attesa da giorni erano invece i 100hs: e super-Marzia Caravelli ha tirato letteralmente una legnata alla storia della specialità. 13"05, personale abbattuto di 5 centesimi, una posizione scalata nel ranking nazionale di sempre a spese di Patrizia Lombardo che la sopravanzava solo "cronologicamente" avendo stabilito il medesimo tempo di 13"10 ma con 23 anni di anticipo. E ora ci sono solo 2 centesimi tra lei e Margaret Macchiut, 7 dalla miglior Micol Cattaneo e 8 dalla storia assoluta fin'ora vergata da Carla Tuzzi. Dalla gara del secolo spunta al secondo posto e a grande sorpresa proprio Micol Cattaneo, cioè la quarta per gli allibratori limitatamente a questa gara. Migliora il proprio SB fino a 13"28 e anticipa di un solo centesimo Giulia Pennella, che eguaglia il proprio personale a 13"29. Grande delusione per Veronica Borsi, che per qualcuno partiva pure come favorita, vista la grande vitalità di questi primi mesi, culminati con il 13"17 di Firenze. Solo quarta, appunto, con 13"32
Nei 100 femminili il livellamento generalizzato verso il basso e l'assenza di Manuela Levorato porta la fresca campionessa italiana promesse Ilenia Draisci, a cingersi del secondo alloro in meno di due settimane con 11"65. Tre centesimi meglio di Audrey Alloh titolare a Stoccolma. Onore al merito per la Draisci, anche se probabilmente i suoi successi non verranno premiati a breve con una staffetta (non penso vi saranno più opportunità fino all'anno prossimo per i quartetti femminili veloci). Però una riflessione va fatta: oltre la cordigliera delle Alpi questi tempi non riescono a spaventare nessuno. Le ucraine veleggiano sotto gli 11"20, le tedesche a 11"30. Le francesi manco a parlarne. Dobbiamo aspettare Gloria Hooper e Judy Ekeh? Un buon movimento di velociste richiede un manipolo di atlete che veleggino attorno agli 11"50/11"55. 
Dal lungo arriva invece l'ennesima grande delusione di Andrew Howe. Un 7,68 inguardabile per lui, che solo qualche anno saltava laddove nessun italiano era mai giunto prima. 7,68 ha sapore di desolante normalità,  bagnata pure dal secondo posto, castigato dal redivivo Stefano Decastello che arriva sino a 7,82. Alla debacle sono seguite le dichiarazioni dell'Andrew nazionale in cui ha deciso di non "uccidere più il cavallo morto" lasciando intendere che si dedicherà esclusivamente allo sprint. Finalmente? Nessuno ha più nulla da dire, penso. Tutti hanno fatto le loro deduzioni e le loro considerazioni in tutti questi anni. Io l'ultima cosa che mi sento di affermare è che paradossalmente l'ecletticità di Howe si è dimostrata a lungo andare il vero tallone d'Achille di uno dei più grandi fenomeni che abbia calcato le nostre piste. Ecletticità che ha portato a ridisegnare di volta in volta gli obiettivi in un panorama internazionale dove ormai vige l'assoluta specializzazione. Specializzazione vuol dire convogliare tutte le energie (mentali, tecniche, motivazionali) su un solo obiettivo. Particolari curati maniacalmente. Troppi obiettivi e ripensamenti, invece, si portano invece via troppo tempo e il gap con il resto del mondo si acuisce e dopo un pò il treno passa. Dai Andrew, prendi una strada e seguila. Deciso stavolta, però. 
Il mezzofondo maschile è invece vicino all'anno zero. O qualche giorno dopo... Quanto meno stando ai numeri. In 9 sui 1500: quindi finale diretta e vittoria a sorpresa di Merihun Crespi in 3'47"53, in volata sul territorio di caccia Lukas Rifesser che nei finali tirati sembrava essere l'uomo da battere. 4° lo junior Abdikadar a pochi giorni dall'italianizzazione. Lui è il futuro, senza ombra di dubbio: in questa occasione si è giocato pure il titolo perdendo nella ressa finale. Ritirato uno dei favoriti: Marco Najibe Salami
Assolutamente desolanti invece i 5000: ma per un solo motivo, cioè i 6 atleti alla partenza. Mai raggiunto un punto così basso nella storia dell'atletica nazionale. Poi la gara c'è stata, com'è giusto che sia, con Stefano La Rosa che castiga Daniele Meucci, che era letteralmente sparito da un paio di mesi, falcidiato da qualche malanno e problemi personali. 14'02"29 contro 14'03"19. Ma qui a questo punto servirebbe rivedere tutta l'architettura dei campionati italiani, perchè vedere quest penuria ad un Campionato Italiano non può che essere devastante per tutto il movimento. Noi abbiamo le nostre idee per ridisegnare questa manifestazione e le esporremo prossimamente. 
Passiamo alla vittoria scontata di Emanuele Abate sui 110hs. Dico la verità: dopo aver visto tutti questi risultati glamour, pensavo di trovarmi di fronte all'ennesima sorpresa. Non è stato così. Abate conclude in 13"71 a soli 3 centesimi dal suo SB. Qualcuno tiene conto dei titoli nazionali? A che quota è Abate? Chi impressione è invece il secondo, che non è stavolta quello che nel post precedente avevo definito il suo alter-ego, Stefano Tedesco ("solo" quarto) ma la promessa Michele Calvi: 13"81 e primo sub 14" (stando alle mie fonti) della carriera. E che "sub"! Finalmente John Nalocca tira fuori gli attributi e si piazza terzo in 14"03, e il già evocato Tedesco quarto in 14"21. Probabilmente anche qui si nota un livellamento verso il basso, nonostante il panorama sia ora costituito da facce nuove. Non si sono visti quest'anno veterani del calibro di Andrea Alterio.
Sergio D'Orio vince l'asta con 5,30, davanti al futuro della specialità: Claudio Michel Stecchi (5,20). Gibilisco non c'era: chissà perchè... Ma dietro a Stecchi e all'unico atleta con un pedigree internazionale, Gibilisco, non si vede un movimento. Anzi, encefalogramma piatto. 
Nei lanci succedono cose strane. Come la vittoria nel peso che va a Paolo Dal Soglio, classe 1970, con 18,58. Come dire: il nuovo che avanza, no? Una carriera incredibile quella del veneto, che risalta ancor di più dall'assenza di validi successori e interlocutori. Il seeding di Torino era stato sconvolto nel pre-italiani da una gara disputata da un trio di italiani a Brazzaville, in Congo, in cui si erano visti risultati letteralmente dell'altro mondo. Marco Dodoni addirittura era andato vicino ai 19 metri e mezzo, mentre a Torino è tornato ad un più confacente 17,41. Al secondo posto (a Torino, non a Brazzaville) si è visto invece Marco Di Maggio con 18,33. Nel giavellotto si dimostra più forte Leonardo Gottardo: un "normale" per lui 75,15 (quest'anno è arrivato oltre i 77) e un metrino abbondante in più di Norbert Bonvecchio (74,04). 
E infine la marcia con Jean Jacque Nkoloukidi campione nazionale con annesso PB: 39'44"70
Nei 1500 femminili vince l'ennesimo titolo nazionale Elisa Cusma, l'unica vera mezzofondista veloce italiana. 4'13"38 è anche un risultato incoraggiante in prospettiva internazionale, ma traslitterandolo agli 800, dove obiettivamente vi sono più opportunità per la parmense. Singolari le sue dichiarazioni presenti sul sito della Fidal "volevo riprendermi la leadership nazionale sui 1500". Evidentemente lo sgarro in coppa Italia da parte della Fontanesi non era stato ben digerito. Maria Vittoria Fontanesi che dopo le vicissitudini delle scorse settimane (culminate con una perquisizione nell'ambito dell'indagine condotta dai Carabinieri di Rimini) si è regolarmente presentata ed è giunta terza in 4'17"20. Del resto non è stata inibita all'attività. Davanti a lei si è infatti piazzata una "colomba", ovvero qualche cosa di nuovo dal fronte: Giulia Alessandra Viola, classe 1990. 4'17"14 e 3" limati al PB. Scorrendo la lista della finale (diretta) dei 1500 ci si rende conto che il mondo sportivo si è fermato: la prima ha 31 anni, la terza 37, la quarta 29, la quinta e la settima 35, la decima 34. Solo in 3 oltre il 1990.  
Nadia Ejjafini (tanto per cambiare... 34enne) intasca i 10000 in 32'28"80, anche se il mezzofondo prolungato è prerogativa degli atleti evoluti e una tappa di passaggio verso la strada (o un ripiego momentaneo). E l'età media, se possibile, si innalza ancor di più: unica nota positiva, nella battaglia delle età, la prestazione della 23enne Giovanna Epis, quarta con 33'44"78
Simona La Mantia domina il salto triplo (14,40) e per la Fidal si conquista la foto-copertina della giornata. In realtà la gara vinta più facilmente di tutta la ventina che si sono viste, stante lo strapotere messo in campo. Servono ancora una ventina di centimetri per essere considerata una con ambizioni di medaglie a Daegu. Da profano... sembra che la fase di volo dei salti (e la successiva battuta) sia arretrata rispetto al baricentro. Come se nel continuum tra potenza di battuta (che richiede più verticalità sugli appoggi) e velocità di battuta (con spinte più orizzontali), ci si fosse spostati tutto verso quest'ultima opzione: un rapporto 90% a 10%, quando magari un 80% - 20% potrebbe portare a salti un pò più lenti, ma più lunghi. Del resto le si provano tutte quando le moto scendono in pista per limare i centesimi, no? Sorpresa al secondo posto con Silvia Cucchi (1978) a 13,36 e terza l'eterna Barbara Lah (1972) con 13,23. E' andata così male a Eleonora D'Elicio, che se ci fosse un campionato a punti stagionale, sarebbe senza ombra di dubbio la seconda italiana d'annata (ho scritto "italiana" proprio a causa di Darya Derkach). Ma le gare importanti si fanno alla mors tua vita mea, e nonostante abbia sopravanzato la propria nemesi di Bressanone, Cecilia Pacchetti (retrocessa di 50 centimetri rispetto ai salti altoatesini), ha portato a casa solo un 4° posto con un non certo soddisfacente 13,07
Raffaella Lamera vince per distacco il salto in alto, dopo l'1,80 svedese. 1,88 e 3 nulli a 1,95 con due prove nette oltre la misura ma con l'asticella inopinatamente caduta a terra. Poi uno strano ricorso avverso i "ritti", rei di non aver tenuto su l'asticella dopo il valicamento (fonte Fidal... la storia del ricorso, non del valicamento). Assente la Di Martino, la Trost e la Vallortigara. Il presente e il futuro: e la gara presenta così con solo 7 atlete. Brutto spot per l'atletica. 
Infine nei lanci vittorie scontatissime (qui puntando un euro se ne vinceva uno) di Laura Bordignon nel disco con 55,47 e Silvia Salis nel martello con 69,57.
Mesta la kermesse delle staffette: le squadre militari, pagate con i soldi dei contribuenti, non si sono presentate al via. Ma qui forse è proprio l'organizzazione dei campionati italiani ad aver fallito (sistematicamente) la collocazione di un titolo per staffette durante il campionato italiano. O si allungano i tempi di programmazione della manifestazione (su 4/5 giorni) mettendo le staffette all'ultimo giorno, o è del tutto inutile veder mancare tutti i migliori sprinter nazionali, riducendo il tasso tecnico dell'intera gara. 

25/06/11

Italiani assoluti - Batterie: non si presentano nè Donati, nè Checcucci, nè la Grasso. Collio in difficoltà - sfida stellare nei 100hs

E adesso ditemi con che presupposti si può ammettere che Roberto Donati, Maurizio Checcucci e Tiziana Grasso possano ancora e legittimamente avanzare pretese per le 4x100 azzurre? O meglio: non penso vadano direttamente a Canossa in saio e a piedi nudi a chiedere di entrare nel maniero dei sogni della 4x100: ci sarà evidentemente chi li sponsorizzerà e che li avrà portati a ritenersi indispensabili nonostante la nuda e cruda realtà del cronometro. Un vulnus, una ferita, ad uno sport che deve fare delle certezze delle prestazioni cronometriche e metriche l'unica religione ammessa. Il politeismo non è ammissibile, soprattutto quando potrebbero essere ammessi culti amicali e nepotistici. 
A mio modo di vedere, a meno che vi siano degli infortuni alle spalle (motivo che farebbe decadere nel nulla tutto questo pamphlet: ma tre infortuni così mirati sembrano francamente un 6 al superenalotto), la mancata presentazione dei tre staffettisti designati dal settore tecnico e regolarmente e sistematicamente convocati per i raduni nazionali, sancisce la loro sconfitta personale ma soprattutto quella di chi li ha scelti e che non ha avuto la flessibilità e il buon senso del "padre di famiglia" di dare spazio a chi in passato ha combattuto in prima linea, in trincea, cogliendo più successi di loro o di altri che sistematicamente venivano convocati in barba ai dogmi dell'atletica. I soldati hanno bisogno di generali che combattano la stessa guerra sugli stessi scenari e con le stesse motivazioni. 
Non voglio assolutamente pensare che per non doversi difendere dal giudizio della comunità sportiva, si siano semplicemente astenuti dalla lotta sui 100 stamattina, magari consigliati per opportunità. Penso sia pacifico a questo punto ritenere che sia ufficiale la loro autoesclusione dai meccanismi delle staffette. E se così non fosse, come potrebbero criticarci se definissimo le prossime convocazioni forme di scilipotizzazione dell'atletica italiana? 
Meglio allora il drammatico meccanismo dei trials, cui tutti sottostanno senza proferir parola, ma che toglie quelle fette di potere discrezionale che qui in Italia stanno sfociando nel nonsenso. Pensate che Donati non ha nemmeno ottenuto il minimo per i 200, gara per cui si cercavano le ragioni della sua convocazione: mi dite voi un solo motivo per cui dovrebbe essere portato in Nazionale? A questo punto diventiamo tutti convocabili e mi ci metto pure io: Coach Di Mulo, negli anni '90 correvo forte, ci faccia un pensierino. Soprattutto ho una media del 100% nella riuscita dei cambi in 25 anni di attività: saremmo andati piano, ma almeno arrivavamo in fondo. 
E Tiziana Grasso? Perchè non ha dimostrato davanti a tutti il proprio reale spessore?
Quindi, stanti le auto-defezioni di Donati-Checcucci, rientreranno a questo punto nel "progetto" maschile Riparelli, Cerutti, Tumi e chi andrà forte oggi pomeriggio, nella finale dei 100. Tra le donne ci sono schiere di ragazze (a partire da Gloria Hooper) di cui si dovrà tener conto. Si chiama "sport", qualcuno dovrebbe spiegarglielo. Simone Collio e Emanuele Di Gregorio, l'ho sempre detto, rappresentano l'ossatura necessaria per essere catapultati su risultati importanti nella staffetta, a meno di clamorose debacle. Di Gregorio sembra essere in buone condizioni, Collio invece, stando alle batterie, è un pò in affanno: del resto come sostiene anche il buon Ferrari, hanno dovuto sostenere in prima persona lo stress post-Stoccolma, con gli attacchi dei media e gli scontri fratricidi (assolutamente leciti e necessari: solo con le critiche si migliora e migliora la società... con i silenzi si alimentano le ingiustizie). Qualcuno mi ha addirittura sussurrato che vi sia in atto una spaccatura all'interno del gruppo della 4x100: e come non credergli vedendo quello che sta succedendo. Quindi mi appello ancora al CT Francesco Uguagliati, che secondo me è intervenuto per dare un pò di merito alla staffetta: intervenga con polso sugli aspetti meno trasparenti della gestione tecnica. La maglia azzurra la indossano loro, certo, ma dietro ci siamo tutti noi che spasimiamo per questo sport e vorremmo che tutto fosse limpido e che non vi fossero questi giochetti di vedo/non vedo.
Veniamo all'aspetto sportivo: stamattina si presentano in 16 sui 100. Di Gregorio e Cerutti sembrano in buone condizioni: 10"33 e 10"34. Diciamo che hanno lasciato molto spazio tra loro e chi li segue. Jacques Riparelli stabilisce il terzo tempo con 10"44, mentre Rosario La Mastra arriva a 10"49, battendo sia Michael Tumi che Simone Collio, che entra in finale come lucky looser, primo tra i due ripescati con 10"52, contro il 10"51 di Tumi. Sorprende ancora Matteo Galvan, intelligentemente proiettato sui 100 in prospettiva 200-400: 10"54 e ultimo dei finalisti. Fuori dalla finale Gianni Tomasicchio, con 10"73. Ma è già un bene rivederlo all'opera a questi livelli, dopo che si erano rincorse voci su una sua possibile dimissione di impegno. 
Nelle batterie dei 110hs Emanuele Abate si dimostra ancora una volta l'uomo da battere: 13"83 e unico ad essere sceso sotto la barriera dei 14". Michele Calvi sposta ancora il proprio personale fino a 14"00 e si colloca in prima fila per il Grand Prix di Torino. Terzo Stefano Tedesco, l'alter ego di Abate con 14"11, che si è probabilmente risparmiato per la finale. Dentro in finale anche John Nalocca e il campione nonchè freschissimo primatista nazionale junior Hassane Fofana, con 14"46
Nei 400hs maschili batterie che si mettono in luce i 3 predestinati: Leonardo Capotosti (51"88), Giacomo Panizza (51"94) e Bencosme de Leon (52"16). Ma anche Andrea Gallina teniamolo d'occhio: 52"36 nel primo turno.
Nei 100 femminili si parte con la clamorosa assenza di Manuela Leovrato: infortunio nella settimana pre-italiani. Disdetta. Si entrava così in finale con 11"96: un pò altino ma nonostante questo non si è vista Tiziana Grasso che è stata comunque iscritta, chissà perchè. Gravissimo, come già spiegato qui sopra. Ilenia Draisci, dopo il titolo promesse, piazza la pole con 11"59 ventoso. Proprio con 11"96 entra per il rotto della cuffia una frazionista azzurra come Aurora Salvagno. Giulia Arcioni 11"68 ventoso, ha il secondo tempo. Poi Chiara Gervasi 11"79 e il duo Paoletta-Alloh 11"83 e 11"84. Situazione fluida senza una vera dominatrice all'orizzonte. Vedremo.
Quindi la gara tecnicamente più attesa tra le donne: i 100hs. Zitta-Zitta ha piazzato il 13"37 Micol Cattaneo che ha significato eminentemente perchè precede di un centesimo Giulia Pennella. Poi la sforbiciata della Caravelli a 13"27 e la risposta della Borsi a 13"36. E ora una finale come probabilmente non se ne saranno mai viste in questa specialità in Italia. Non cadrà il record italiano, ma la somma dei quattro addendi è da fantacalcio.
Nei 400hs si aspetta la volata di Manuela Gentili, che a meno della detonazione di un meteorite sul Palavela e in concomitanza con la mancata presentazione della Ceccarelli, non ha proprio avversarie al proprio livello. Sorprende che il terzo tempo l'abbia fatto Super-Baggiolini (1972): 1'00"03. ad un solo decimo dal duo Gentili-Valente che hanno chiuso le proprie batterie vittoriose in 59"91 e 59"94.
Foto di Cerutti e Riparelli tratta dal sito Fidal.it