26/06/13

Caro Pietro... del Corridor Cortese

Caro Pietro
ti scrivo per dirti il mio personale grazie.
Scusa il ritardo, non tanto dalla data della tua morte, ma dal momento in cui ti sarebbe stato utile e confortante un qualsiasi gesto di riconoscenza. Meglio sarebbe stato se il riconoscimento, un semplice attestato di vicinanza, ti fosse arrivato dall'interno di quel mondo che è stato la tua vita. Dall'interno di quel mondo che ti ha osservato, utilizzato e promosso finché hai potuto correre ai massimi livelli mondiali. Eviterò commenti da "presidente del club del crisantemo", già esposti ed anche sovraesposti, dopo quella notizia così improvvisa che ha raggiunto noi e che tu da gran velocista hai preceduto. 
Caro Pietro, ti scrivo con un sentimento di prossimità, perché sei stato un riferimento anche importante che ha accompagnato la mia adolescenza e la mia maturità agonistica. Poi ti ho perso di vista, per oltre 20 anni non mi sono più occupato di Atletica in nessun modo. Qualcosa stava cambiando nell'atletica; anche nel modo di proporsi. Alcuni dei tuoi immediati successori (che già gareggiavano con te) non li digerivo granché, così ben disposti e sensibili alle esigenze dell'estetica e dello spettacolo (ma forse la mia era solo invidia). 
Eravamo abituati ad una particolare sobrietà, anche da parte di gente che le Olimpiadi le aveva vinte (già nell'era della TV). Nel mio immaginario, senza chiamarli, compaiono immediatamente Livio Berruti, Abdon Pamich e poi: Sara Simeoni, Pietro Mennea. Ecco, una sobrietà e una misura, che erano marchio distintivo, peculiare e signorile, dell'Atletica. 
In qualche modo, tu hai rappresentato un'epoca che si andava ad esaurire per lasciare spazio ad una nuova Atletica, assolutamente differente: l'inizio dell'Atletica Spettacolo; che si staccava dalla realtà (reale) per rincorrerne una virtuale, disposta al falso e all'illegale pur di affermarsi. 
Quando mi capitava di assistere a qualche importante gara di velocità poi, mi disamoravo ulteriormente vedendo alla partenza, quantità di muscoli così innaturali; ma anche quei miglioramenti così sorprendenti nell'arco di una stagione, erano e ancora sono davvero poco comprensibili. 
Forse dico delle cose, che tu con gran signorilità, non hai mai detto; mi piace pensare che stai sorridendo, togliendoti un sassolino dalla scarpa; un piccolo sfizio, seppur postumo. Oggi la situazione non è migliorata, anzi, nelle finali di ogni competizione importante si vedono velocisti (alcuni veramente dotati di talento, altri meno) che sono gonfi come tacchini ripieni da "Thanksgiving Day". Dalla testa, a scendere, il primo muscolo a sollecitare i miei dubbi, se troppo evidente, è il trapezio. 
Proseguendo l'analisi, ci si domanda spesso come mai uno che corre (con le gambe) possa avere muscoli delle braccia più sviluppati di uno che solleva pesi (con le braccia). Stefano Tilli nelle telecronache, in fase di presentazione degli sprinter in partenza, usa a volte questa definizione: "ben costruito anche nella parte superiore". Non conosco Stefano e non capisco dunque se parla seriamente, ma sono più propenso a credere che faccia esercizio di ironia ai massimi livelli. 
Ma vorrei tornare alla "nascita" dell'Atletica Spettacolo, della quale Sandro Donati (mai abbastanza ringraziato!) ci ha spiegato (e continua a farlo) come doveva essere nutrita e promossa. Prima però, per non diventare troppo serio, provo ad alleggerire il tono con una storiella, vera, che mi torna in mente. 
Si parla di Carmelo Bene, tuo conterraneo. Il Maestro, quando incontrava gli aspiranti attori per tenere una lezione sul Teatro, amava esordire in questo modo: "Voi siete delle merde, il Teatro non ha bisogno di voi, siete voi che avete bisogno del Teatro". Chissà perché mi è venuta in mente, forse perché ci leggo un parallelismo al contrario con il rapporto che tu avevi allora con la Federazione. Una cosa era evidente: era la Federazione ad avere assoluto bisogno di te. Tu Pietro, eri il veicolo principale, seppur non incline, poco propenso e recalcitrante, che consentiva alla Federazione di perseguire quel piano, rivelatosi sciagurato. 
Allora non capivo bene cosa stava succedendo; col tempo ho capito qual'era il prezzo che si stava e ancora oggi si sta pagando. Tutte le false giustificazioni portate a supporto nel tempo hanno insinuato falsi dubbi, cosicché la verità (guarda un po' che birichina) possa apparire sempre inafferrabile; ma solo per chi non la vuol conoscere. Una falsità, spacciata come cosa vera e promossa all'infinito sui "media", rimane una falsità. Una falsità creduta vera dalla maggioranza, rimane una falsità! Il processo di mistificazione, ha la devastante aggravante di insinuare inesistenti dubbi, di corrompere, di rubare pezzi di esistenze, o intere vite; io la considero un crimine grave.
Caro Pietro, con te c'era ancora la possibilità, così importante per un ragazzo, di identificarsi, di andare su una pista e provarsi. 
 Ora tutto è più complicato. Un ragazzino può identificarsi anche in un atleta che assomiglia più a un supereroe piuttosto che a un essere umano. Quando però si avvicina alla pista capisce subito che si tratta di sogni irraggiungibili o comunque troppo distanti per pensare di provare a misurarsi. I supereroi rimangono sui fumetti o si guardano seduti davanti ad uno schermo. Tu eri umano, esteticamente assolutamente simile a noi. 
Ci separava un anno di età e per chi amava l'atletica e magari la velocità, tu eri "Il riferimento". Da ragazzi, le nostre società facevano capo ad una medesima organizzazione; così che sul giornalino che circolava al nostro interno venivano riportati tutti i risultati delle "nostre" gare. Eri già naturalmente forte, il più forte, a 16 anni correvi i 300 in 34"1 ! Ma queste son cose note a tutti. Mi divertiva leggere i componenti della tua staffetta 4x100. 
Caro Pietro, perdona il mio esser un po' fatuo, ma sorrido ancora oggi; ecco la formazione: Acquafredda, Gambatesa, Pallamolla e dopo tre "composti" alla fine c'eri tu, tutto d'un pezzo, che ci facevi tornar subito seri. 
Non facesti mai parte di un gruppo sportivo militare; meno male, altrimenti non saresti potuto andare a Mosca nel 1980, come capitò a Caravani e Lazzer ad esempio. Tu eri là, a Formia. Hai fatto la leva in Aeronautica, come me, ma invece di stare sulle rive del lago di Bracciano, a Vigna di Valle, rimanevi là, praticamente sempre. 
No, quasi sempre; ricordo una volta che ti intimarono di presentarti con urgenza al Centro Sportivo e tu arrivasti, ma... non avevi la divisa, o se mai te la avevano data, chissà dov'era finita. Non potevi presentarti al Tenente Colonnello Picchiottini senza divisa e così giravi per le camere della palazzina chiedendo la cortesia di una divisa in prestito. 
Costanza, continuità, serietà, robustezza fisica hanno permesso anche di utilizzarti come tester perfetto, come soggetto da studio addirittura unico. 
Pietro solo, generoso, tanta fatica, Pietro determinato; Pietro il talento. 
In gara, ti capitava a volte di non partire come un lampo e nelle batterie, a livello italiano, neppure ti serviva sprecare energie nervose o rischiare partenze false. Tutti i giornalisti osservavano Mennea e comunque dovevano scrivere qualcosa, cercando di ripetersi il meno possibile. Poteva capitare allora che per le prime decine di metri, qualche veloce partente potesse fare bella figura, assolutamente effimera e temporanea a tue spese. 
Insomma, grazie Pietro (!) per quel piccolo trafiletto che mi fu dedicato solamente perché mi trovavo al tuo fianco. Devo esserti riconoscente, anche se io carneade, ero poi obbligato ad osservarti le terga per il resto della gara. 
I due ricordi più nitidi che rimangono nella mia mente, chissà poi perché, raccontano della tua solitudine. Nel primo, con pantaloni e giubbotto di jeans sei seduto su una panchina verde di legno, all'Acqua Acetosa, la occupi da solo, seduto sulla spalliera con i piedi sul sedile e i gomiti appoggiati alle gambe. Tutto attorno a te il solito bailamme del tardo pomeriggio infrasettimanale di allenamento, con ragazzi e borse che vanno e vengono dalla pista e dagli spogliatoi; e mentre ti osservo, nessuno si ferma, nessuno ti saluta. 
Nel secondo, all'Arena, in attesa dell'inizio gare, ti eri accaparrato un intero settore appena a fianco della partenza dei 100, tutti eravamo nella zona della tribuna centrale, mentre tu te ne stavi solo e tranquillo a metà di quella gradinata deserta. 
Tu Pietro tra le tante qualità ne avevi una importante: l'inconsapevole capacità di mostrare anche la tua umana fragilità. 
Molto bella l'intervista raccolta dall'abile Andycop, in cui oltre alle parole si ascolta il tuo modo di porti, il desiderio di comunicare, la disponibilità generosa offerta più volte. 
Ciao caro Pietro e se per caso ti capita di incontrare il Presidentissimo Primo, chiedigli di più, e se ti chiede per che cosa, digli che comunque ti saresti meritato di più, molto di più. 
Se poi dovesse capitare di incontrarsi di nuovo avrai ragione di dirmi che ti meritavi qualcosa di meglio, di questi strani e forse un po' sgangherati ricordi. il corridor cortese

25/06/13

L'immutabilità del Sistema Tolemaico di Vittori

C'è un fantasma che si aggira... per la rete. E' quello del geocentrismo immutabile di un filosofo che vede la terra nella sua immota fissità al centro dell'Universo e gli astri che gli orbitano attorno con orbite perfette nell'iperuranio siderale. Pensate: un Giordano Bruno qualunque nel sostenere che, cribbio!! è la terra che gira attorno a qualcos'altro, e che Copernico, quello sì, ci aveva visto giusto! si guadagnò la sempiterna gloria arso su una pira al Campo de' Fiori di Roma, e quindi, quanto rimaneva di lui, gettato nel Tevere. Abiurò pure Galileo Galilei, che non trovò di meglio, per salvarsi l'esistenza di inventarsi dei dialoghi sui Massimi Sistemi del Mondo per cercar di far capire, con ampie volute retoriche che insomma, quella della terra al centro dell'Universo era una gran cazzata. Di Sistema in Sistema, da astro ad astro, si arriva così negli anni '80 al Charlie Francis Training System, che i tolemaici moderni dell'Italia ecumenica vittoriana, vedono come blasfemia. Come 500 anni fa, naturalmente, le accuse di blasfemia non poggiano su alcun fondamento scientifico, ma esclusivamente sulla riduzione di un'intero sistema d'allenamento di centinaia di pagine ed esperienze ad un solo slogan tradotto pure male, e sul passato burrascoso del blasfemo. Del resto la scienza applicata allo sport in questo Paese è stata abbandonata negli anni '80, quelli in cui le metodologie d'allenamento lasciarono spazio (come sostiene con dovizia di particolari prezzemolino Sandro Donati) a metodologie-scorciatoie. Oggi, invece, si assiste alle uscite dei teorici tolemaici che arrivano a dire testualmente: "quanto a quell'aspetto è stato già detto tutto da tizio vent'anni fa, quindi è inutile approfondirlo". Scienza quantistica applicata, non c'è che dire. L'ultima uscita, spassosissima, è apparsa sulla Gazzetta dell'altro ieri: sembra quasi che Charlie Francis sia diventato l'ossessione vera e propria di Vittori, che non riesce più ad esprimere un concetto su un argomento, senza doverlo tirare in ballo. Che gli avrà fatto? L'unica ipotesi è che probabilmente i metodi vittoriani stanno ormai tramontando sulle piste d'allenamento italiano, anche perchè quei metodi si sono fermati a 25 anni fa, e nessuno ha voluto/potuto evolverli, migliorarli, compensarli, contaminarli... tanto tutto era stato già detto, no? Vabbè, questo lungo preambolo per introdurre Gianluca De Luca, che ha avuto l'onore di essere tirato in ballo proprio da Vittori nel famoso articolo in quanto reo di aver tradotto in italiano il libro di un dopatore. 

Armonia - di Gianluca De Luca

In questi giorni sto rileggendo quello che ritengo - in buona compagnia - il testo cardine per gli allenatori della velocità. Si tratta del celebre “Key concepts” di Charlie Francis, facilmente reperibile in formato e-book sebbene solo in lingua originale. E' un testo imprescindibile, nel quale anche in una seconda e terza lettura si ritrova sempre qualcosa di spettacolare. 
In una pausa dalla lettura mi è giunto da un amico il link ad un pezzo di Carlo Vittori, nel quale si continua, caso unico in tutto il mondo, a bistrattare il grande allenatore canadese relegandolo al ruolo di dopatore. Mentre il resto del mondo saccheggia a mani basse le teorie di Francis, da noi ancora ci si trastulla con teorie di 30 anni fa dure a morire. Ma basta là. Parlavo di qualcosa di spettacolare, e proprio stamani ho ritrovato questo passaggio che spero di non aver violentato con la mia traduzione.

ARMONIA

La sincronia tra ampiezza e frequenza è collegata alla ricerca dell'armonia tra pista ed atleta. Se il ritmo dello sprinter collima con l'armonia della pista, molti problemi svaniscono. Ancora, piuttosto che forzare il processo, “lascia che succeda”. 

Devi afferrare il “pulsare” della pista percependo che cosa ti restituirà. Non puoi essere in anticipo sulla risposta, spenderesti energie senza averne un tornaconto. Tutto ciò implica che lo schema esecutivo sia leggermente differente in ogni gara. 

E' una cosa che “si sente”, e in gara richiede un certo livello di fiducia in sé stessi, essendo immanente una sorta di ”attesa” per il rimbalzo. Sforzarsi ad andare dall'altra parte è il modo migliore per guastare la tecnica. Bisogna concentrarsi ogni volta sulla corretta esecuzione per la determinata circostanza, e l'andare dall'altra parte verrà da sé. 

Immagina di avere il punto A e, dopo 30 metri, il punto B. Devi coprire la distanza il più rapidamente possibile. Ovviamente in 30 metri non riuscirai a raggiungere la massima velocità. Così, piuttosto che sforzarsi con una corsa rigida e forsennata, immagina di raggiungere la velocità massima in un punto C, distante 20 metri dal punto B. Solo così riuscirai a costruire, e percepire, l'agevole incremento di velocità che permetterà di ottenere il risultato migliore. 

Quando parlo di armonia, parlo di un elegante ed artistico modo di descrivere l'energia che la pista ci restituisce. Parlo di come i tempi di contatto diventano vieppiù rapidi mentre acceleri. Parlo di come le gambe diventano vere e proprie molle via via che diventi più veloce. Parlo di come le spinte diventano sempre più ridondanti col costruirsi della quantità di moto. 

Quel termine, costruirsi, quanto è importante! Tutto ciò che si fa dal momento in cui si parte è costruire il punto più alto della corsa, la velocità massima. Se ti guardi indietro al momento del decollo, non raggiungerai mai il cielo. 

Lo sprint è “ritmo e rilassatezza”. La chiave sta nel sapere quando e come eseguire il gesto. Non appena l'atleta afferra come “sentire” il gesto, la maggior parte dei problemi è risolta. Il punto è come traslare il sentire nel gesto. Ad alcuni atleti viene naturale, ad altri bisogna insegnarlo. 

L'arte del coaching sta proprio in questo.


Va da sé che, quanto sopra, senza doping non funziona.

23/06/13

Coppa Europa - l'Italia torna con i piedi per terra

Cerco di scrivere sempre quello che penso, cercando di rispettare le persone che stanno dietro ai "ruoli", ma riservandomi la possibilità di criticare (anche con veemenza talvolta) chi ricopre quegli stessi ruoli. La società migliora non certo per la visione consegnata al mondo dalle maggioranze, ma grazie a chi si permette di mettere in dubbio quelle stesse visioni. E poi... due teste pensano meglio che una, anche se la si pensa in maniera diametralmente opposta. Si cersce, così. Quindi, dopo solo pochi giorni dall'insediamento del Nuovo Mandato della Fidal mi sembrò eccessivo (e lo scrissi) che tutti salissero sui carri dei vincitori azzurri e dei fenomeni esplosi con precisione chirurgica l'indomani delle elezioni federali senza riconoscere minimamente, quanto meno, il lavoro di chi li aveva preceduti a livello dirigenziale e tecnico. Sono arrivato anche a ricevere insulti... ma per cosa? Per aver espresso un'opinione in dissenso? Predicavo solo una cosa logica, non certo pregiudiziale.  

Ora, dopo l'inverno lunare, l'Italia atletica primavero-estiva sta ritornando sulla terra. Ma questo non lo voglio dire con un'accezione negativa. Non me ne frega nulla dirlo e non voglio colpire nessuno. Voglio fare solo alcune considerazioni sullo spessore del nostro sport a livello internazionale.

Ebbene, non è che in pochi mesi Giomi abbia rivoluzionato i percorsi tecnici e esperienziali di centinaia di atleti italiani. Su questo si può concordare, no? L'atletica è uno sport che si struttura nelle stagioni, non nella stagione. I fenomeni che esplodono oggi e dopodomani vincono una medaglia alle Olimpiadi non sono così tanti sulla faccia della terra, mi sembra. I successi invernali azzurri, volenti o nolenti, venivano da percorsi che non nascevano il giorno successivo alle elezioni federali, ma partivano da molto lontano, in qualche caso addirittura precedenti a quelli di Arese (e non son certo io quello che difende Arese, visto che sono stato l'unico a criticarlo per anni nella solitudine della rete). Ha fatto un pò specie vedere arrogarsi quei successi da parte chi non aveva molta voce in capitolo. Ma tant'è: è successo. 

Oggi arriva questa immagine scialba dell'Italia in Coppa Europa. Ma poi... ci saremmo davvero dovuti aspettare di più? Noi non varremo mai come la Russia o la Germania. O come la Francia o l'Inghilterra, facciamocene una ragione. Adesso nemmeno come la Polonia e l'Ucraina, che ci superano nel primo dato fondamentale, ovvero il numero di tesserati (quelli reali). Se dovesse succedere, in una Coppa Europa o in un medagliere di una grande manifestazione, sarà solo per una fortunata successione di fortunati eventi. Ora, sapete perchè ci rimaniamo comunque male? Perchè ci portiamo dietro le tare dell'atletica italiana degli anni '80-'90, dove gli atleti italiani "di grido" erano un esercito e furoreggiavano ad ogni latitudine. Quelle immagini ci hanno irrimediabilmente cambiato la nostra visione dello spessore della nostra atletica e su quelle parametriamo le nostre aspettative.  

Ma quell'atletica, ora lo sappiamo, non era che un simulacro della realtà. Molti di quegli atleti sono citati nei libri di Donati, e i dubbi ormai sono quasi certezze. L'atletica italiana di quegli anni non rappresentava la forza del nostro movimento a livello internazionale. Molti stavano barando, qualcuno con gli appoggi e i silenzi interni. Mentre l'atletica italiana moderna è quella di Gateshead, con qualche punticina in qualche specialità e tanti buchi neri in altre. Era così negli anni '70 (campionissimi e tanti buchi neri) ed è tornata ad essere così a partire dal XX secolo, quando quell'anomalia statistica si è interrotta. Il bug statistico che esce da questa considerazione generale sono appunto quegli anni '80-'90, quelli di cui parla appunto con dovizia di particolari Sandro Donati. Siam sempre stati così, un pò mediocri ed un pò campioni, e per quanto mi riguarda non ci sono prospettive nell'immediato futuro di vere e proprie rivoluzioni che ci porteranno un giorno a giocarci la Coppa con Russia e Germania. Le scelte operate dalle dirigenze saranno sempre "micro" rispetto ai fenomeni generali e alle vere tendenze sociali che possono modificare gli esiti di uno sport. Si potranno massimizzare magari meglio i profitti sportivi di una schiera di atleti, ma che saranno sempre infinitamente inferiori come numero a quelli degli Stati che ci stanno davanti in Europa. L'unica variabile impazzita saranno gli stranieri di seconda e terza generazione, che, come possiamo già notare (personalmente con grande favore) rappresentano l'unica vera novità del nostro sport nel XXI secolo.

Si esce da questa Coppa quindi in sordina... magari l'anno prossimo chiuderemo al 5°, ma state certi che entro un paio di edizioni torneremo al 7°. Magari all'8°. Per poi risalire. La Coppa Europa rappresenta proprio la cartina di tornasole dei movimenti continentali. Molti Stati non presentano nemmeno i migliori per specialità, mentre da noi, diciamocelo, con le scelte siamo pressochè obbligati, sino a schierare atleti in specialità in cui non eccellono. E nonostante tutto rimaniamo a guardare... Con queste premesse, quando va tutto bene, si sta avanti. Quando invece le cose vanno come statistica impone (qualcuno va meglio, compensato da chi va peggio), ci ritroveremo dove eravamo oggi. Settimi. E non c'è proprio nulla da lamentarsi. 

Perchè la IAAF non organizza i campionati interplanetari?

Un Tuvalu di troppo?
E' chiaramente una provocazione, ma fino ad un certo punto. E' un pò che lo penso, e dopo aver visto gli ultimi Trials di Desmoines, mi sono convinto che sia necessario iniziarne a parlarne... chissà mai che qualcuno un giorno inizi a pensarla come me. Bene, facciamo salve Olimpiadi e iMondiali di Atletica, ma a me 'sta cosa che molti dei migliori atleti al mondo rimangano a casa da un palcoscenico internazionale per le limitazioni "di Stato" (massimo 3 atleti per Nazione!), mi sta sul gozzo. Vi voglio riportare al senso stesso dello sport, ovvero lo scontro-confronto tra uomini, prima ancora che tra Nazioni. Gli sport individuali non mettono Nazioni contro, ma uomini o donne. La variabile "Nazione" di fatto non porta i "migliori" di uno sport a confrontarsi, ma una selezione che toglie spesso grosse fette di coloro che rappresentano le elitè mondiali dell'atletica. 

Chiaramente gli esempi sono noti: basti pensare ai Trials americani, o jamaicani... o keniani ed etiopi. Manciate di atleti da finale olimpica o mondiale, che verranno di fatto superati nella storia dell'atletica da atleti spesso anche nettamente inferiori a loro. Oppure: atleti di immediato rincalzo che possono godersi la finale olimpica grazie alle selezioni... non si sente la necessità a questo punto di organizzare una manifestazione, oltre a Olimpiadi e Mondiali, che metta di fronte davvero i migliori al mondo, senza distinzione di Nazione? 

Ve li immaginate i 100 metri imbottiti di americani e jamaicani? Oppure il mezzofondo con keniani ed etiopi? A quel punto chi non appartiene a quei sistemi che forniscono frotte di talenti, capirebbe davvero a che punto è nella gerarchia mondiale della propria specialità. Non so se avete visto la finale dei 100hs ai Trials americani: tra super atlete sui 100hs come Kellie Wells, Lolo Jones e Kristi Castlin (tutte accreditate di tempi vicini o sotto i 12"50) fuori dai mondiali di Mosca in un solo botto, correndo in questa circostanza tra i 12"54 e i 12"61. Una di loro avrebbe potuto, non dico vincere, ma arrivare a podio a Mosca. Invece non ci sarà, e così in finale in Russia arriveranno atlete sicuramente forti, ma non al loro livello. Stessa cosa dicasi di Sanya Richards sui 400, oppure Johnny Dutch, che con 48"21 sui 400hs è arrivato 4° in una gara fantastica! Come si fa a non avere ad una manifestazione internazionale un atleta con un tempo che spesso ha consegnato anche la medaglia d'oro? Mi sembra davvero un attentato al mio senso di giustizia sportiva. 

Così forse la IAAF dovrebbe prendere in considerazione l'organizzazione di una sorta di campionato interplanetario (chiamatelo come volete) in cui davvero i migliori si sfidino senza limitazioni date dalla provenienza. Se poi la finale dei 100 vedrà solo americani e jamaicani, ben venga! Sarebbero davvero gli uomini più veloci della terra in quel momento. O anche una finale dei 10000 con soli etiopi e keniani... o i 100hs con 8 missili da 12"50... o la gara di salto in alto piena di russi, o i lanci tedeschi... ma vi rendete conto che razza di gare sarebbero? Non ci sarebbero i doppiati che siamo abituati a vederci nelle gare di mezzofondo, i personaggi naif spediti per rappresentare la Nazione, tutti provenienti dai più svariati Stati in cerca di un posto al Sole. 

Naturalmente i minimi di una simile manifestazione dovrebbero scendere notevolmente, per selezionare le vere élite mondiali, magari limitando anche i turni (non ci sarebbe necessità di scremare il Sogelau Tuvalu di turno, il ciccione che corse i 100 in 15"66 a Daegu nel 2011). Si potrebbe inserire la manifestazione nelle annate tra Mondiali ed Olimpiadi, e di sicuro sarebbe garantita una cosa: lo spettacolo. E' necessario dare giustizia non agli esclusi, ma al senso più intimo di uno sport inviduale.

Nicola Sundas: 5 record del martello in un mese

Nicola Sundas, classe 1968, ergo M45, sta portando il record del martello di categoria a livelli stratosferici, tanto che solo un "grandissimo"  della specialità (come Vizzoni, per esempio...) in futuro potrà fare meglio. Nel giro di un solo mese, infatti, dal 12 maggio al 12 giugno, il sardo ha fracassato il record italiano del martello cinque volte, nelle tre gare in cui si è cimentato. Prima il 79,61 del 12 maggio. Quindi il 61,02 del 7 giugno (primo italiano sopra i 45 anni a cannoneggiare oltre i 60 metri nel martello), ed infine i tre record italiani in una sola gara, sino al quarto lancio di 63,12 del 12 giugno, attuale record italiano di categoria. Sundas aveva infatti aperto con 62,07 e 62,16, entrambi superiori ai precedenti record. Tutti i primati di Nicola sono stati ottenuti sulla medesima (presumo) pedana di Cagliari63,12 vuol dire anche 86,20% di AGC, ovvero un controvalore di 74,77 metri. Mica male. La specialità ha così ricevuto una scossa tellurica, visto che dopo 10 anni di relativa calma, Adriano Rodrigo proprio quest'anno, durante una sessione di lanci invernali a Genova, aveva lanciato 55,56, superando di 7 centimetri il decennale record di Massimo Terreni. Poi il triplete di Sundas, che ha spostato la fettuccia del record nazionale di 8 metri. Un viaggio a curvatura... Naturalmente Nicola Sundas non nasce oggi, avendo rappresentato negli anni '90 uno dei migliori lanciatori di martello italiani, arrivando al personale di 75,24 a Tirrenia nel 1996. 10° attualmente nelle liste italiane di sempre proprio con quel lancio "toscano". Segue la cronologia recente del record. 
  • 54,65 - Valter Superina - Villanova - 20/05/2001
  • 55,49 - Massimo Terreni - Livorno - 13/07/2003
  • 55,56 - Adriano Rodrigo - Genova - 26/01/2013
  • 58,29 - Nicola Sundas - Cagliari - 12/05/2013
  • 61,02 - Nicola Sundas - Cagliari - 07/06/2013
  • 62,07 - Nicola Sundas - Cagliari - 12/06/2013
  • 62,16 - Nicola Sundas - Cagliari - 12/06/2013
  • 63,12 - Nicola Sundas - Cagliari - 12/06/2013

Rudolf Frei finalmente nell'Olimpo: record italiano dei 400 M65

A Merano, durante i campionati regionali Master, impresa di Rudolf Frei, della SC Meran Forst Volksbank, che ha corso i 400 M65 in 1'01"44, ovvero il nuovo record italiano di categoria. Primo record italiano per lui, e risultato che premia uno dei più tenaci avversari di Vincenzo Felicetti, e che dal 2009 ha iniziato anche a livello internazionale a vincere medaglie internazionali proprio sui 400. Ricordo l'argento sui 400 M60 agli Europei di Nyraghyaza, ma anche i 4 bronzi tra Mondiali di Lahti '09, Euroindoor di Ancona '09 e Gand '11, e quello degli EMG di Lignano del '11. Alla vigilia degli italiani di Orvieto, una buona dose di fiducia per rintuzzare i suoi 2 titoli già detenuti sui 400 (entrambi indoor). Il tempo ottenuto da Frei cancella la serie del siciliano Antonio Grimaudo, che tra il 2009 e il 2010 abbassò 4 volte il record di categoria, portandolo dal 1'03"39 del leggendario Augusta Radames, all'1'01"61 che rappresentava prima dell'avvento di Frei, il limite nazionale. Grimaudo tra l'altro riuscì ad abbattere un record vecchio di 24 anni. Qui sotto la cronologia recente del record italiano:
  • 1'03"39 - Augusta Radames - Roma . 22/06/1985
  • 1'02"8m - Giuseppe Grimaudo - Palermo - 27/05/2009
  • 1'03"21 - Giuseppe Grimaudo - Alcamo - 04/07/2009
  • 1'01"73 - Giuseppe Grimaudo - Roma - 11/06/2010
  • 1'01"61 - Giuseppe Grimaudo - Siracusa - 26/06/2010
  • 1'01"44 - Rudolf Frei - Merano - 12/06/2013

22/06/13

Come organizzare i Trials in Italia... un'ipotesi

Chi guarda all'atletica come spettacolo, non può non guardare al mondo a Stelle e Strisce e trarne delle conclusioni. Negare che lo sport debba fornire spettacolo, vuol dire tagliare a fette il senso stesso dei gesti sportivi... del resto lo spettacolo lo fanno le prestazioni, e noi guardiamo le massime manifestazioni perchè lì sono presenti coloro che riescono ad ottenere le migliori prestazioni dell'essere umano. Agonismo e spettacolo non possono essere due estremi di una stessa dimensione: devono essere due aspetti di una medesima realtà. Del resto lo stiamo notando in tutti gli sport, anche individuali: il proselitismo è dato dalla visibilità di uno sport, non dal fascino atavico che questo ha. O almeno, non più: una volta la gente arrivava all'atletica per costrizione culturale. Oggi i programmi didattici prevedono di tutto e di più, e l'atletica è solo uno dei tanti sport e spesso non tra quelli più desiderati. Vi ricordate il wrestling su Italia 1 di qualche anno fa? Ebbene, è bastato spettacolarizzare quattro maschere in prima serata per vedersi i ragazzini cimentarsi nel 619 sui sacconi del salto con l'asta... 

I trials sono probabilmente la manifestazione di atletica che dal punto di vista spettacolare, ha più da dire. Del resto le politiche sociali negli USA le fanno le grandi Major televisive. Ok, discutibile dal punto di vista etico, ma che ha un portato indubbio di visibilità per chi ne è toccato. Come abbiamo visto, a Desmoines hanno deciso di invertire i rettilinei di arrivo delle gare di sprint. Non sono pazzi, le condizioni agonistiche sono rimaste invariate, e il più forte in quel momento, ha vinto, com'era nella logica delle cose. Però la notizia di Tyson Gay che corre in 9"75 ha girato il mondo (più che se avesse corso in 10"00). Gente che legge, che commenta, che ipotizza, che diffonde il vero dell'atletica come le apine portano il polline sulle zampette per infiorare. Oggi Bolt deve rilasciare interviste per dire che Gay dovrà correre come lui, e giù altro polline sulle zampette, e altri fiori impollinati. E stessa cosa dicasi di Brianna Rollins (12"33 ventoso sui 100hs, a un decimo dalla Donkova), LSM che corre il giro in 44"36 (ma qui il vento c'entra poco, ma la location sicuramente), i ragazzi NCAA che corrono in meno di 10" sui 100, le 6 ragazze sotto gli 11" nei 100 in finale... si sarebbe parlato lo stesso se fossero andati tutti piano con 3 o 4 metri di vento contro... ma regolare? Se la Rollins avesse corso in 13"? O se LSM avesse corso in 45"? No, meno polline, meno atletica. L'hanno capito tutti gli sport che lo spettacolo è il vero volano al proselitismo, tranne l'atletica, evidentemente, che rimane legata a logiche romantiche di fissità sempiterna. L'uomo cambia, non è quello di 2000 anni fa, e nemmeno quello di 100 o di soli 10 anni fa. Perchè non cambiano quindi anche le sue manifestazioni, come lo sport? L'agonismo rimane immutabile, ma le forme... 

Quindi, questo lungo preambolo per introdurre l'idea dei Trials in Italia. Perchè? Perchè contrariamente a quanto si possa pensare, i Trials sono la massima manifestazione agonistica in circolazione. Più dei campionati mondiali o olimpici stessi, perchè rappresentano la porta del sogno. Mors tua vita mea, l'essenza dello sport: i detrattori dei Trials (e dei cambiamenti di rettilinei) dimenticano che l'aspetto agonistico non solo non viene meno, ma addirittura viene accentuato quando le prestazioni iniziano a migliorare e quando gli spazi si accorciano. Ai trials c'è felicità solo per 3: ai mondiali o olimpiadi, la soddisfazione è per quasi tutti anche il solo fatto di partecipare.  

I trials in Italia innanzi tutto costringerebbero tutti i migliori atleti italiani a scendere in pista. La manifestazione in sè finalmente non sarebbe un surrogato morente di un campionato minore. Sarebbe la massima manifestazione nazionale, cui tutti dovrebbero puntare per... Avere dei "personaggi" presenti attira. Non averli, non attira, semplice. Oggi le Tv non trasmettono nemmeno più gli Italiani assoluti, per ovvie ragioni di decenza televisiva: ve li siete visti i 5000 di un paio di stagioni fa con 3 o 4 atleti al via o gli 800 donne con la finale diretta con 7 atlete? Dai, su...

La critica ai trials sarebbe: vabbè, ma come si fa ad organizzare un Trials, se chi consegue un minimo per una grande manifestazione internazionale nel nostro Paese, è davvero sparuto? Vero, ma vi spiego la mia idea, che mutuo dalle regole dei Trials Jam.

L'assunto principale è: i primi tre atleti arrivati, ottengono il diritto di partecipare alla grande manifestazione per cui i Trials (o campionati nazionali) vengono organizzati. Naturalmente tale regola si applicherebbe solo nella circostanza in cui i tre avessero soddisfatto anche la seconda condizione, ovvero aver ottenuto il "minimo" per la manifestazione. Chiaramente risulta pressochè impossibile da Noi avere i primi tre col minimo (forse nel triplo uomini e nei 100hs donne). E' così che subentra una condizione bellissima: chi non ha il minimo, ha un periodo di tempo entro il quale ottenerlo, dopodichè si andrà a ritroso nella classifica finale del Trial, a ripescare chi eventualmente nel frattempo lo avesse già ottenuto (o ottenuto in seguito). Come se il piazzamento tra i tre garantisse il diritto di partecipazione; terminato il periodo di ottenimento, il diritto passerebbe agli altri che quel minimo lo avesse ottenuto. Ricordo a tal proposito (in molte circostanze) i trials jamaicani del 2011 pre-Daegu, dove il miglior quartermiler giallo-verde di allora, Jermaine Gonzalez, steccò proprio i trials per i mondiali a Kingston, giungendo 4°. Poi... di fatto fu l'unico a partecipare nella gara individuale in Corea, perchè nel tempo concesso dalla federazione, nessuno dei primi 3 (Hylton, Green e Spence) riuscì a correre nel minimo "A", perdendo quindi ogni diritto. 

Il sistema "trials" sarebbe anche una modalità di selezione dei "Minimi B". Se le regole si conoscono prima, non ci sarà infatti la ridda di insulti consecutiva. Se nessun atleta dovesse ottenere infatti il minimo "A", come è noto, passerebbe un solo atleta con un minimo "B". I Trials definirebbero tale gerarchia, e avrebbero molto più senso in Italia, visto che veleggiamo più sui minimi B che su quelli A. Poi c'è la questione delle staffette... i diritti si guadagnano sul campo di battaglia, non per "deduzione tecnica", come siamo abituati ormai da troppo tempo. La deduzione tecnica la si potrà fare sulle capacità dei primi 6 al traguardo dei 100, e solo su quella. Non sul 7° o su quello che si è visto un giorno correre una curva pazzesca in allenamento. Diamo all'agonismo lo spazio che merita, e alle deduzioni il loro. 

Chiaramente sarebbe una rivoluzione culturale: in Italia i tecnici vogliono saperne e comprenderne di più di quello che il cronometro e il metro stabiliscono. Un metodo rigido e definito come quello dei Trials da una parte risulta sicuramente rischioso (ma siamo proprio sicuri?), dall'altra eliminerebbe quei meccanismi di discrezionalità talvolta arrogante, che hanno fatto incazzare in lungo e in largo in tutti questi anni. 

20/06/13

A noi interessa Veronica Campbell Brown (e non Schwazer)

Ho voluto fare un esperimento, ovvero postare su facebook la notizia dei cinque indagati (tra i quali esponenti della Fidal) da parte della Procura di Bolzano collegati al Caso Schwazer e il caso di Veronica Campbell Brown, per verificarne le reazioni. Ebbene, un'analisi non statistica quindi non dotata di fondamenti scientifici, ma esclusivamente dedotta dalla quantità e qualità delle reazioni lette ai post comparsi sulla mia bacheca, sembra lasciar trapelare degli strani fenomeni di tendenza, ovvero che VCB interessi più di Alex Schwazer, e che le "cose jamaicane" interessino più di quelle italiane.

Si son lette contro VCB insulti inusitati, sprezzanti, una cattiveria davvero spinta. Nel frattempo mi chiedevo: ma quante medaglie VCB ha portato via alle sprinter italiane con la sua "positiva" presenza per scatenare un tale putiferio? Viste le reazioni, presumo a manciate, anche se francamente ammetto di non ricordarmi i nomi delle nostre atlete defraudate. Del resto è la medesima reazione ad ogni caso di doping: si parte dalla gogna, passando per le impiccagioni pubbliche, agli insulti veri e propri. Per carità, nessuno difende la pratica del Doping, ma ogni tanto mi trovo a pensare che se la stessa verve e partecipazione la si mettesse nelle vicende pubbliche italiane, probabilmente adesso staremmo vivendo un altro periodo storico-politico-sociale magari purificato dalla tossine di illegalità. 

Ciò che mi sorprende è l'assoluta (quasi) noncuranza generale circa un comportamento che, se provato dagli inquirenti anche in sede dibattimentale, sarebbe la pietra tombale di questo sport. Del resto Sandro Donati fa furore per libri che dovrebbero far tremare i palazzi dello sport, ma invece poi rimane tutto a livello di mandibole cascanti, senza che nessuno dei citati che nel frattempo ha magari fatto una carriera dirigenziale o politica, si degni di nascondersi o dimettersi. Ma come: tu sei arrivato a quel punto grazie allo sport per il quale avevi barato, e nonostante la cosa sia nota, non te ne vai? Incredibile visto Oltralpe, ma in Italia è noto di come si sia alzata l'asticella della tolleranza verso chi delinque. 

I 5 indagati "silenziosi" potrebbero tramutarsi quanto meno in una spallata alla credibilità del Sistema Atletica. Ormai credo pedissequamente al verbo di Sandro Donati (che vorrei un giorno come Presidente della Fidal) dal quale, astraendo un consuntivo dai suoi scritti sull'atletica italiana (e su molti altri sport) degli ultimi anni, si può dedurre che proprio l'atletica italiana, alla fine, sia sempre stata più o meno come quella di oggi. Ovvero è normale produrre uno o due fenomeni ogni decade (che vincono le medaglie), mentre in un certo periodo quei fenomeni sono diventati due o tre... per anno. Il "come" si siano impennate il numero di medaglie è certificato in due libri contro i quali nessuno si è azzardato a dire "ehm...". Non ci sono nemmeno "tesi" complottistiche: ci sono fatti, nomi e cognomi. Un'organizzazione che per autoperpetrarsi ha voluto, o dovuto, ricorrere a delle scorciatoie. Ma nonostante questo, la cosa non indigna come dovrebbe, non causa reazioni a catena che innestino circoli virtuosi per il ritorno alla legalità. Il passato è stato intombato. Vien un pò da ridere, oggi, pensare che la sorte dei Presidenti Federali dipenda sempre proprio dalle medaglie internazionali piuttosto che altri aspetti e valori che lo sport dovrebbe traghettare. Più che il medaglismo, sarebbe da perseguire un proselitismo sano (e non gonfiato in maniera artificiale dai meccanismi di tesseramento); quindi il successivo "contenimento" delle emorragie di tesserati dall'atletica; ancora: l'aumento degli standard con cui vengono organizzate le gare, ovvero il trattamento di tutti i tesserati. I risultati arriveranno alla fine, magari aspettando un pò di più, ma dopo aver costruito una casa dalle fondamenta solide. Oggi tutto traballa, per colpe che si tramandano da mandato a mandato, e che si traducono nella massimizzazione dell'atletica di vertice (con le derive che ormai tutti conosciamo), piuttosto che con una politica educativa e valoriale a 360° gradi. Vabbè, fantascienza: lo sport agonistico come fonte educativa, oggi, sembra più un ossimoro che una speranza. 

Torniamo all'ultimo caso, ovvero l'iscrizione nel registro degli indagati (penso si sia ancora nella fase delle indagini preliminari) di 5 persone, alcune delle quali appartenenti al cuore stesso della Fidal (meglio precisare: non questa di adesso, e non so nemmeno quanto a quella passata). Penso che il Gip non si sia ancora espresso, quindi probabilmente la loro posizione potrebbe essere ancora archiviata. Però la teoria accusatoria della Procura disegna un quadro non certo edificante. Attenzione: non si parla negli articoli comparsi sulla stampa di ruoli attivi nella commissione dei reati contestati, ma apparentemente passivi, omissivi. Qualche occhio chiuso di troppo, controlli e sollecitazioni non eseguite con tempestività. Insomma, il necessario per far ritenere alla Procura che i comportamenti omissivi fossero in realtà "voluti" (l'elemento psicologico sarà stato chiaramente l'elemento investigato). Le difese di solito in questo caso hanno più spazi di manovra. Per cosa tutti questi comportamenti sarebbero stati tenuti è presto detto: far vincere ad Alex una medaglia. Non c'è scritto, ma non si spiegherebbe altrimenti. semplice deduzione. 

Questo lascia lo spazio a successive considerazioni, no? Perchè un medico, o un responsabile di un'area dell'antidoping della Fidal dovrebbe consentire di vincere una medaglia illecitamente? Cosa gliene sarebbe venuto in "tasca"? Il passo è breve, e si arriva ad ipotizzare il "Sistema", che sarebbe la cosa di gran lunga peggiore di tutte. Magari costruito non su una funzione attiva verso la pratica del doping, ma, appunto, omissiva. Omettere è sempre meglio che commettere. Nel ciclismo sembra che le dinamiche siano proprio queste: una tacita conoscenza dei fenomeni di doping da parte dei responsabili dei team ciclistici, in cui si demanderebbero le profilassi ai circuiti informali intessuti dai singoli atleti. Così il team diviene vittima (benchè ne sia consapevole) e il ciclista di turno viene impallinato e messo alla gogna senza sporcare troppo la maglietta che indossa. 

Concludo: ma 'sto doping lo si combatte davvero insultando Veronica Campbell Brown mentre dall'altra parte nulla ci tange di ipotesi gravissime avanzate dalla magistratura? Mi sa che il doping prima di essere una truffa di natura personale, sia una carenza di legalità culturale. Se tutti gli organismi che ruotano attorno agli atleti sono "legali" e votati alla correttezza, che dite? Non sarà più difficile sfuggirgli? 

19/06/13

La Placa cancella Zerbini: nuovo record italiano M45 del peso

Riporto fedelmente quanto giuntomi sulla mail di Queenatletica.

Nino La Placa è il nuovo primatista italiano del getto del peso mm45. L’atleta di Terrasini ha raggiunto questo incredibile risultato grazie alla notevole prestazione realizzata domenica 9 giugno 2013 allo stadio “vito schifani" di Palermo, dove con un poderoso lancio ha raggiunto la misura di 16,27 metri. Con tale misura infatti l’atleta in forza alla Polispotiva APB ha spodestato il precedente detentore del record italiano,  Luciano Zerbini che il 10 febbraio del 2005 a Rovereto aveva scagliato l’attrezzo a 15,78. Nino La Placa, alto 1,92 per 125 kg di peso, è uno dei punti di forza della polisportiva apb bagheria, squadra di serie A1 che grazie anche alle prestazione dell’atleta di Terrasini cercherà di mantenere la categoria.

18/06/13

Misterbianco e il segreto svelato dell'Area 51

L'atletica è prima di tutto sogno. O la "speranza" che si possa andar più forte, o più lontano, o più in alto. Si vive sportivamente tendendo a qualche cosa di meglio, che arriverà prima o poi, se... se... se... E tutti sono convinti di poter un giorno migliorare, o ritrovare le condizioni della miglior gara per migliorarsi ancora. Spesso invano, lo so. Ma quel tendere ci frega tutti irrimediabilmente. Riflettevo su questa cosa dopo esser stato a Misterbianco, sobborgo ai piedi dell'Etna, in quella che il mio amico Valerio Bonsignore considera la città potenzialmente più completa d'Europa, Catania. Avvezzo alle piste "veloci" del nord Italia, ho voluto calcare con piede una delle tappe obbligate del Gambero Rosso dello sprintismo italico. Lo dico subito: fantastica esperienza sportiva. Naturalmente è per chi, come me, di fronte ad un quesito tipo: "preferiresti correre un 10"99 sui 100 ventoso o 11"01 regolare?" sceglierebbe tutta la vita il ventoso. Questione di apparenze effimere. Perchè privarsi di queste piccole ed effimere soddisfazioni che durano il solo lasso di tempo dell'attesa del dato del vento? Preferisco così e non ho voglia di convincere nessuno. Sono considerazioni personali. 

Torniamo a Misterbianco. Nel recente passato molti atleti anche di grido dello sprint azzurro, hanno riportato tempi fotonici su questa pista. Il perchè è presto spiegato, anche se c'è chi, come suggerito dai Servizi Segreti dell'Umana Invidia, come al solito vede piste più corte, rettilinei in discesa, cronometraggi gestiti da loschi figuri, anemometri truccati... la nuda e cruda verità è che a Misterbianco ci sono le condizioni ideali per correre una gara di sprint. A partire da un tasso di umidità che non troverete mai in Pianura Padana, se non qualche minuto dopo un terrifico temporale. Lo sprint passa in primis per il tasso d'umidità, poi, dopo, per la direzione del vento. Quello che Tilli chiama "Er metro cubbo de aria". Gola secca da arsura, umidità assente. Poi il caldo, che chiaramente non ha paragoni al Nord. Il vento viene dal mare al pomeriggio, e la pista è direzionata verso l'Etna, che voi vedrete ingigantirsi mentre correte verso il traguardo. Quindi vento a favore, senza umidità e infine... la pista velocissima. Dura, sportflex di ultima generazione: certo, le righe sono intuibili allo stato attuale, ma chi se ne frega. Correndoci si spinge davvero tanto. E infine l'impianto nuovo... vi dico la verità: non me lo aspettavo proprio. 

Quindi, è presto detto: ben vengano le piste superveloci, se non altro per un aspetto di uno sport che in Italia sembra debba essere necessariamente sacrificato: lo spettacolo. In Italia si corre contro vento quasi sempre, con organizzazioni delle gare super-burocratizzate, giudici che si interessano di aspetti organizzativi anzichè tecnici (possibile che nessuno riesca a togliergli dalle mani queste funzioni, limitandone la funzione al solo ruolo di "giudice" nella gara e non della gara e di tutto quello che gli gira intorno?); bizantinismi sulle formalità di iscrizione, nelle conferme iscrizioni, negli orari... Pensateci bene: le gare di atletica in Italia vengono organizzate non per permettere agli atleti di andar forte, ma per gli organizzatori per poter dire: "ho organizzato una gara". Non ci sono evoluzioni sostanziali, migliorie che le tecnologie odierne consentirebbero... la cosa fondamentale è consentire di consegnare le migliori condizioni di gara per gli atleti. Tra queste naturalmente, è chiaro, c'è la location. 

In Italia chi ottiene tempi degni di nota nello sprint a Donnas, a Rieti, o Misterbianco (ultimamente anche a Gavardo), è comunque tacitamente (o meno) accusato di qualche forma di truffa. Le piste taroccate sono un must, perchè implicherebbe una premeditazione che parte addirittura dai progetti della pista... come se una qualunque azienda che produce piste di atletica possa vedersi bruciare la credibilità sul mercato per aver costruito piste più corte... si brucerebbe la credibilità e la possibilità di venderne in seguito. Rischiare il crac economico per far correre più veloci? E' ridicolo. Chiaramente potrebbero arrivare allora gli "omologatori" della pista corta convinti dell'illecito... ma l'organizzazione criminosa inizierebbe a prendere dimensioni fuori controllo poco credibili. Per cosa? Perchè la gente vada veloce? 

Che poi l'atleta corre e basta, che colpa ha? Stranamente negli Usa, dove evidentemente non se ne intendono di sprint, quelle gare le vanno a cercare e a proporre addirittura per un meeting della Diamond League, come Eugene. In Italia, invece, Donnas (primo esempio "storico") è vista da molti come una sorta di truffa legalizzata... perchè? 

Molti atleti di punta di sicuro non si presentano per non essere tacciati di qualche forma di aiuto o scorciatoia: mi sembra una scemata legalizzata la mancata loro partecipazioni piuttosto che la location che facilita le prestazioni. La pista è di 400 metri esatti, il rettilineo di 100 metri, l'anemometro funziona benissimo... e allora perchè scandalizzarsi se si va veloci anche col vento a favore? 

Se Eugene fosse stata in Italia, invece che dire "Porca Vacca Brianna Rollins 12"39 sui 100hs con 1,7! 9^ all-time! Fantastic!" avremmo detto "Brianna Rollins è andata a farsi il tempo col vento a favore... facile così... avranno taroccato l'anemometro... di sicuro c'erano condizioni ideali...". Una cultura dello spettacolo, contro una cultura da sfigati burocratizzati. L'atletica è quindi antitetica allo spettacolo che una prestazione, benchè viziata da condizioni meteo favorevoli, può dare? E se invece di continuare a gareggiare in quelle condizioni sfavorevoli, gli atleti fossero al centro dell'attenzione, e fossero messi nelle condizioni di "andare veloci"? Le location, i rettilinei rivolti a favore di vento (anche col rischio trascurabile che una maggiore percentuale di gare venga annullata), gli orari con condizioni meteo favorevoli, magari gli orari già definiti ante quo, un programma gara meno intenso (inutile creare un programma con 13 gare col rischio di andare di fretta o sforare... meglio poche, ma ben organizzate). Naturalmente penso alla Lombardia, ma ogni regione ha le sue problematiche... spesso anche di carenza di materia prima. 

Concludo così: inutile incazzarsi e farsi il sangue amaro se un avversario va forte a Misterbianco, Donnas o Rieti. Bisogna andarci. 

12/06/13

L'ubiquità di Hanne: corre contemporaneamente ad Avellino e a Dakar?

Ma allora lo stargate l'hanno davvero inventato! Almeno, qualche cosa dei viaggi quantistici deve sicuramente saperne un certo Mamadou Kasse Hanne, classe 1986, atleta senegalese di ottima levatura (semifinalista olimpico a Londra) che sarebbe riuscito in un'impresa fin'ora riuscita a pochi, ovvero correre contemporaneamente (è successo oggi) in un luogo (Avellino) e contemporaneamente in un altro (in Senegal), ad un meeting della IAAF, come meglio spiegato qui sotto. Fin'ora, nella storia, tale prestazione era riuscita esclusivamente ad un tizio della Giudea o ad un Nazareno, non ricordo, anche se i risultati non sono stati mai omologati e di lui non c'è traccia in all-athletics. Il caso di omonimia è chiaramente la prima ipotesi, anche se lo spessore delle prestazioni (un 46"56 sui 400 corso ad Avellino alle ore 18:05) e soprattutto il 48"99 sui 400hs corso a Dakar, in Senegal, nel meeting IAAF, raccontano di un atleta non certo di serie "B". Vediamo i dati a disposizione:
  1. Il HANNE Mamadou Kasse di Avellino è nato nel 1986, così come quello di Dakar. 
  2. Per All-Athletics esiste un solo HANNE Mamadou Kasse nato il 10 ottobre 1986, ovvero la data di nascita dell'HANNE di Dakar, così come recita il link al nome dell'atleta senegalese sul sito della federazione internazionale. 
  3. Un HANNE Mamadou Kasse ha gareggiato al Golden Gala sui 400hs, finendo con il tempone di 48"56. Di conseguenza è presumibile che quello di Dakar che ha vinto la medesima prova del Challenge IAAF sui 400hs sia proprio lui. 
  4. Ad Avellino il HANNE Mamadou Kasse è senegalese e dell'86 e corre in 46"56. Nelle liste senegalesi dell'anno il migliore, prima di oggi, risultava il "bergamasco" Mamadou Gueye con un risultato ben peggiore di quello di Hanne, ovvero 47"43. L'Hanne sarebbe alla prima prova sui 400, in una lista senegalese (sempre fonte all-athletics) che arriva sino a 49"68. L'anno scorso HANNE corse una sola gara, correndo in 46"64
Quali ipotesi si possono a questo punto per comprendere l'arcano?
  1. caso di omonimia di due atleti nati nello stesso anno e nello stesso Paese, e che sono riusciti per strade diverse a diventar davvero forti;
  2. scarsa fantasia dei genitori HANNE, che avrebbero dato il medesimo doppio nome a due gemelli omozigoti, poi dimostratisi forti entrambi, uno in una disciplina, uno in un'altra; 
  3. istituzione di un nuovo volo Shuttle Roma-Dakar (o Dakar-Roma), con incluso viaggio ad Avellino, con contrazione dei tempi di check-in;
  4. errore materiale dell'inseritore Sigma dei nominativi ad Avellino (stante la "stranierosità" di Hanne); 
  5. molto meno prosaicamente, un errore nelle date dei due appuntamenti da parte di chi li ha inseriti (quindi non si sarebbero tenuti in contemporanea oggi).
  6. varie ed eventuali; 
Fornisco altri dati. Qui il risultato di Avellino (400 di Avellino), quello di Dakar (400hs di Dakar), la pagina in francese di Wikipedia di Hanne (pagina di wikipedia). 

11/06/13

Punto 4,2 di pagina 74 del Vademecum: quando la burocrazia uccide l'atletica

Mi è arrivata questa mail da un mio amico, che mi sento di condividere. Il Presidente Fidal Alfio Giomi si è dimostrato molto sensibile in questo inizio mandato sul tema della "semplificazione", tanto da farmi interrogare se non sia possibile anche affrontare questo tema che mi è sempre stato molto caro: l'integrazione dei ragazzi stranieri residenti, che non siano qui con un permesso di soggiorno per sport... ovvero ragazzi non professionisti, che vanno a scuola con i nostri ragazzi, che vivono le problematiche della nostra società (crisi compresa) ma che alla fine vengono esclusi da percorsi educativi con piccoli ostacoli burocratici insormontabili. Qui sotto la storia di Kossi raccontata da Federico Nettuno.

Mi trovo a scrivere per rendere noto come nel regolamento FIDAL ogni tanto emergano articoli che portano danno a chi pratica con tanta passione e sacrificio questo sport. 

In occasione dei campionati italiani junior e promesse di Rieti 2013 la mia società, la Nuova Atletica Fanfulla Lodigiana, ha iscritto l'atleta KOUDOKPO Kossi Jean Luc nelle staffette 4x100 e 4x400. In mattinata è arrivata però dalla FIDAL la seguente risposta: 

Spett. le Società, siamo spiacenti di comunicarvi che l'atleta in oggetto non può partecipare ai Campionati Italiani Promesse in quanto non è stato "tesserato continuamente sin da allievo per una qualsiasi Società affiliata alla Fidal" come da punto 4.2 di pagina 74 del Vademecum Attività 2013. 

Il ragazzo è nato in Togo e si è trasferito in Italia all'età di 16 anni con i fratelli e la madre per ricongiungersi con il padre che lavorava in Italia da diversi anni. Come molti ragazzi, per integrarsi meglio, ha scelto il calcio nella squadra dell'oratorio come attività sportiva. Dopo un paio di anni, grazie ad un suo compagno di classe che praticava atletica leggera, ha deciso di iniziare a correre. Passione, sacrifici ma anche tanto divertimento lo hanno portato a correre i 60m in 7"28, i 100m in 11"46, i 200m in 23"00 ed i 400m in 52" e moneta, ma cosa più importante il ragazzo si è integrato crescendo e maturando nuove amicizie sul campo.

Ora per lui, come per tanti, i campionati italiani di Rieti raprresentavano un obiettivo, non solo sportivo ma anche di crescita ed integrazione: la prima trasferta con i coetanei, il vedere una città nuova, incontrare tanti ragazzi e ragazze provenienti da tutta Italia, vedere dal vivo gare di alto livello... tutti stimoli che devono portare i ragazzi di questa fascia d'età a continuare a praticare sport.

Purtroppo la regola creata dalla FIDAL per evitare episodi successi in passato, dove venivano tesserati atleti provenienti dall'estero solo per vincere campionati (un atleta della mia società ha perso anni fa a livello junior un titolo nel salto in lungo andato ad un atleta mi pare lettone tesserato solo per l'occasione!) o partecipare ai CDS, non permette a ragazzi come Jean di partecipare ai campionati italiani perchè arrivati in Italia troppo tardi!!!

Quindi nessun ragazzo straniero arrivato in Italia dopo i 16 anni potrà mai partecipare ai diversi campionati italiani! Credo che mettere questo vincolo nel regolamento abbia escluso e discriminato molti ragazzi stranieri che si trovano nella stessa condizione di Jean la cui unica "colpa", secondo la FIDAL, è quella di essere arrivato in Italia troppo da grande!

Secondo il mio modesto punto di vista, i campionati italiani allievi, junior e promesse, oltre agli obiettivi agonistici dovrebbero anche avere obiettivi educativi! Ritengo lo sport un mezzo fondamentale per l'integrazione dei ragazzi stranieri e questa norma creata dalla FIDAL per colpa di qualche furbetto del passato fa si che escluda molti ragazzi la cui unica "colpa" è quella di essere venuti tardi in Italia.

Concludo questo mio sfogo con la speranza che la FIDAL inizi a pensare di più agli atleti tesserati sia che essi siano esordienti o master, sia che essi siano italiani o stranieri. E' giusto tutelare i campioni che, forse, portano le medaglie... ma non è giusto continuare a dimenticarsi di tutti gli altri che pagano il tesseramento. Spero tanto che l'atletica di questi ultimi anni non faccia morire la passione che è dentro di me fin da quando ero bambino.

 FEDERICO NETTUNO

10/06/13

Campionati italiani 10000, staffette e prove multiple: i 10000

Parto subito senza tanti preamboli, non c'è tempo. Nei 10000 M35 vittoria a Felice Dell'Acquila, che conquista il suo primo titolo italiano con praticamente lo stesso tempo del vincitore dell'anno scorso: 33'12"87. Altro primo titolo nei 40 con Luca Riu, con 36'00". Decimo titolo italiano su pista per Adriano Pinamonti, con 34'32"38, il terzo consecutivo sui 10000, il 6° in tre stagioni, il 5° totale sui 10000. Altra "prima volta" col titolo per Gianluca Grassi tra gli M50: 35'28"50. 3° titolo italiano e tutti nei 10000 per Antonio Di Luca (M55): 36'15"29. Rolando Di Marco, M60, conquista il 9 titolo italiano in carriera con 38'08"75 (su pista), il 3° sui 10000, a 16 stagioni di distanza dal primo titolo, vinto nel 1998. Tra gli M65 ancora una volta, questa stagione, riflettori sullo scatenato Dario Rappo, al 28° titolo italiano personale, il 4° solo del 2013 (6 nel 2012), e dopo i fasti continentali e i diversi record italici sparsi qua e là per le specialità del mezzofondo. Per lui 38'34"02. Secondo titolo italiano invece per Sauro Ballardini tra gli M75 (56'28"74), mentre tra gli M80 coglie il suo 32° titolo Giovanni Guerini, che, pensate un pò, il primo titolo lo vinse addirittura nel 1981, ovvero 32 anni fa. 32, 32... 11 titolo sui 10000 con 54'13"42.

Tra le F35 invece vince Sonia Marongiu con 37'52"66, che rappresenta il suo 4° titolo italiano in pista (giusto Sonia?) il secondo consecutivo sui 10000, e il secondo titolo italiano (sempre su pista) del 2013 dopo i 1500 indoor. Primo titolo per Elena Cinca, F40 (40'41"40), e per Marilena Dall'Anese tra le F45 (41'43"48). Secondo titolo italiano individuale su pista per Elsa Mardegan (F50), dopo il lontano 1500 del 2004: 42'51"68. Naturalmente non poteva sfuggire il titolo a Maria Lorenzoni, tra le F55, lei che negli ultimi anni ha dominato il mezzofondo delle proprie categorie in lungo e largo. 40'29"83 per il suo 26° titolo italiano su pista (non ho il dato di strada e cross), anche se solo il 2° sui 10000 che vinse per la prima volta l'anno scorso. Rosa Pattis fa sua la categoria F60 con 45'16"13, ovvero quello che rappresenta il suo 17° titolo italiano su pista, il primo sui 10000. Angela Pin conquista la categoria F65 con 51'47"00, primo titolo italiano. Jole Sellan vince invece il 3° titolo italiano siglando il tempo di 54'38"67: 3 titoli e tutti nel corso di questo 2013. E infine, titolo e record italiano per la F75 Maria Cristina Fragiacomo, che diventa la più "matura" atleta italiana ad aver corso un 10000. 58'26"68 il suo crono. 

08/06/13

Cosa manca a Benedetti per... un pò di storia degli 800 azzurri

Giordano Benedetti, trentino, è stata una di quelle cose da salvare del Golden Gala, forse annichilito dall'umidità, o meglio, "dar mettro cubbo de aria" impregnata di molecole bagnate, e che quindi ha bagnato le polveri di uno dei meeting che solitamente risultano nei punteggi tabellari della IAAF tra quelli con il più alto tasso tecnico legato ai risultati. A quasi metà stagione, in quel famoso ranking, Roma è terza dopo Eugene (meeting stellare!) e Doha, ma davanti a Shangai (tenutosi comunque ad inizio stagione) e New York, quest'ultimo ucciso da condizioni meteo quasi proibitive. Benedetti, dicevo: una di quelle cose da salvare in chiave azzurra, naturalmente, anche se poi in definitiva, quasi tutti gli italiani esibitisi allo Stadio Olimpico, sono tornati negli spogliatoi con i calzettoni sporchi di fango e la maglietta sudata. Buona prestazione collettiva. Benedetti però ha fatto gol, cioè ha corso la sua Dram Race, correndo un rettilineo finale di quelli che gli 800isti si sognano per un'intera carriera. Il rettilineo del salmone, come lo chiamo, dove si riesce a risalire la corrente costituita di atleti obnubilati dall'acido latico, come se fossero scogli immoti del flusso fluviale. 1'44"67, un tempo che promuove nell'elite mondiale, quanto meno sulla carta d'identità. 

Naturalmente il passaggio nella "storia" si ottiene solo con una medaglia, e oggi come oggi, il panorama internazionale non sembra avere delle offerte di lavoro. Intasato come una casa-dormitorio di Tokyo. Rimane il panorama europeo in cui, proprio al Golden Gala, Giordano ha dimostrato di poter dire la sua. Uno dei migliori del ranking continentale, Adam Kszczot battuto di un decimetto, anche se non dobbiamo dimenticare che mentre si consumava la personale salmonata di Benedetti, si concretizzava la prestazione-monstre del francesino Pierre Ambroise Bosse: 1'43"91, dietro all'1'43"61 di Mohamed Aman

A Benedetti cosa manca adesso? Come molti hanno sostenuto, anche sui media, la "pallonara" continuità, ovvero il riproporre un target di risultati se non inferiori, quanto meno "simili" a quello ottenuto al Golden Gala. L'Italia degli anni '90, primo-lustro del XXI secolo, ha concretizzato una "tradizione", come è ben noto. E buona parte di quegli atleti è arrivata a vincere "qualcosa" o comunque è entrato in una finale mondiale o olimpica. Ad oggi non saprei stilare un ranking all-time azzurro, nonostante gli argenti olimpici di Lunghi e Lanzi rispettivamente nella preistoria e nell'Impero Romano dell'atletica azzurra. 

Andrea Benvenuti arrivò in finale a Barcellona '92 (5° con 1'45"23) e fu il primo successore dell'epopea di Donato Sabia, che, unico italiano nella storia, riuscì ad andare due volte in una finale degli 800 (Los Angeles e Seul). Oh, Donato Sabia nel mio immaginario ha sempre rappresentato il meglio in quanto a classe... un campione alla Bertoli (il ciclista), cioè classe pura ma cui è mancato in carriera il "perfect day" in cui entrare nella leggenda dello sport. Aspettammo fino all'estate del 2000 per rivedere la 7^ finale corsa da un italiano sugli 800: fu quella di Andrea Longo, a Sydney, quella degli autoscontri con l'evetico Andrè Bucher (mi sembra) che portarono alla sua squalifica. Ai mondiali all'aperto, vantiamo Giuseppe D'Urso, argento a Stoccarda '93 (1'44"86), e il doppio finalista Andrea Longo, in finale sia a Parigi 2003 (5°), che a Siviglia '99 (6°). Andrea Giocondi raggiunse la finale mondiale di Goteborg '95. Tra mondiali ed olimpiadi, quindi, 11 finalisti, e Longo, benchè mai medagliato, piazza 3 caps in questa classifica avulsa dei finalisti mondiali-olimpici azzurri sugli 800:
  1. 3 - Andrea Longo (2 mondiali, 1 olimpiade)
  2. 2 - Donato Sabia (2 olimpiadi)
  3. 1 - Emilio Lunghi, Mario Lanzi, Andrea Benvenuti, Carlo Grippo (1 olimpiade); Giuseppe D'Urso, Andrea Giocondi (1 mondiale).
Se allarghiamo lo sguardo alle manifestazioni più abbordabili, ovvero europei, europei indoor, e mondiali indoor, riusciamo a dare anche più profondità alle classifiche di cui sopra. Chiaramente, prima degli anni '70 non c'erano gli europei indoor; degli anni '80 i mondiali outdoor e quelli indoor...

Classifica dei finalisti azzurri delle 5 più grandi manifestazioni internazionali sugli 800 (31 presenze: Ol: olimpiadi; Mo: mondiali; Eu: Europei; EuI: Europei Indoor; MoI: Mondiali Indoor);
  1. 06 - Andrea Longo (1 Ol - 2 Mo - 2 Eu - 1 EuI)
  2. 05 - Giuseppe D'Urso (1 Mo - 2 Eu - 2 EuI); 
  3. 04 - Tonino Viali (1 Eu - 2 MoI - 1 EuI); 
  4. 03 - Mario Lanzi (1 Ol - 2 Eu); Donato Sabia (2 Ol - 1 EuI);
  5. 02 - Andrea Benvenuti (1 Ol - 1 Eu); Carlo Grippo (1 Ol - 1  EuI); 
  6. 01 - Maurizio Bobbato (1 EuI);  Marco Chiavarini (1 EuI); Gabriele Ferrero (1 EuI); Marcello Fiasconaro (1 Eu); Andrea Giocondi (1 Mo); Lunghi Emilio (1 Ol); 
Quindi 13 atleti azzurri sono arrivati ad una finale internazionale nella ultracentennale storia dell'atletica. Questo per dire... non è proprio una passeggiata. Le medaglie sono state invece 11, e gli unici che hanno vinto una gara tra le 5 più importanti della panorama, risultano Andrea Benvenuto (oro agli Europei di Helsinki '94) e Donato Sabia agli Euroindoor di Goteborg '84. Qui nel dettaglio le medaglie in ordine per numero di metalli conquistati.
  1. 03 - Mario Lanzi (arg-Ol; arg-Eu; bro-Eu)
  2. 02 - Giuseppe D'Urso (arg-Mo; arg-EuI); Tonino Viali (bro-EuI; bro-MoI);
  3. 01 - Andrea Benvenuti (oro-Eu); Maurizio Bobbato (bro-EuI); Emilio Lunghi (arg-Ol); Donato Sabia (oro-EuI); 
Mi sto dilungando troppo con queste elucubrazioni statistiche? Me ne rendo conto, mi lascio prendere la mano. Un attimo! Forse può interessare quali sono stati i tempi sugli 800 più veloce mai corso durante una di quelle 5 manifestazioni sotto gli '145".
  1. 1'44"49 - Andrea Longo - III semifinale (2°) Sydney '00 (Olimpiadi)
  2. 1'44"53 - Donato Sabia - finale (5°) Los Angeles '84 (Olimpiade)
  3. 1'44"83 - Giuseppe D'Urso - II semifinale (1°) Stoccarda '93 (Mondiali)
  4. 1'44"86 - Giuseppe D'Urso - finale (2°) Stoccarda '93 (Mondiali)
  5. 1'44"90 - Donato Sabia - I semifinale (3°) Seul '88 (Olimpiadi)
  6. 1'44"90 - Donato Sabia - I quarto di finale (2°) - Los Angeles '84 (Olimpiadi)
E' un caso che ci siano solo Olimpiadi e Mondiali? Evidentemente no. Qui si vede la solidità degli atleti, ovvero la capacità di non essere atleti una-tantum, ma professionisti in grado di correre attorno agli 1'45" (o magari sotto) non una, ma almeno due volte nel giro di 48 ore. 

Infine vediamo dove si colloca Giordano Benedetti nella lista all-time italiana di sempre. Il trentino diventa il italiano della storia a scendere sotto gli 1'45", ed è anche attualmente l'unico con Andrea Giocondi, a vantare un personale collocato tra i 1'44" e 1"45, in quanto i primi 5 della lista sono riusciti tutti a scendere sotto gli 1'44". Dal 13° rango all-time con 1'45"34, passa quindi al , in una classifica da far tremare i polsi:
  1. 1'43"7  - Marcello Fiasconaro - Milano 27/06/1973
  2. 1'43"74 - Andrea Longo - Rieti 03/09/2000
  3. 1'43"88 - Donato Sabia - Firenze 13/06/1984
  4. 1'43"92 - Andrea Benvenuti - Montecarlo 11/08/1992
  5. 1'43"95 - Giuseppe D'Urso - Roma 05/06/1996
  6. 1'44"67 - Giordano Benedetti - Roma 06/06/2013
  7. 1'44"78 - Andrea Giocondi - Zurigo 13/08/1996
  8. 1'45"05 - Marco Chiavarini - Roma 08/06/1995
  9. 1'45"24 - Davide Cadoni - Roma 08/06/1994
Il tempo di Benedetti si colloca invece al 21° rango di sempre (più o meno, per "induzione" visto che i primi 20 disponibili arrivano a 1'44"62... qualcuno si è inserito tra quel tempo e l'1'44"67? Forse che sì, forse che no. Ma al limite ci sarà un risultato, non penso di più. Ok, basta per oggi: forse ho fornito troppo dati, ma serviranno per comprendere quanta strada ci sarà da fare per entrare nella leggenda degli 800. 

05/06/13

Chesani contro la maledizione del salto in alto italiano: un solo bronzo in 120 anni

Bello il giochino di alimentare il calderone degli over-2,30 della storia del Salto in Alto azzurro. Come è ormai arcinoto, Silvano Chesani ha saltato a Modena lo scorso 1 giungo la misura di 2,31 al terzo tentativo, con (per la cronaca) un successivo tentativo di saltare 2,34, purtroppo (evidentemente) fallito. La serie conta anche un 2,26 saltato prima del 2,31. Purtroppo la storia del salto in alto maschile italiano è una vicenda purtroppo quasi esclusivamente autoctona, nel senso che le grandi prestazioni di altisti azzurri sono state generalmente "una tantum", ovvero eventi (o qualche evento) quasi mai coincidenti con le grandi manifestazioni. Naturalmente il 2,31 o meglio ancora, il 2,33 (saltato durante la stagione indoor) che Silvano Chesani ha nelle caviglie, se saltati al posto giusto, nel momento giusto, potrebbero fargli togliere qualche soddisfazione. Ovvietà... direte. Me lo dico anch'io. 

Comunque, i dati sono impietosi per i maschietti nel salto in alto: l'unica medaglia azzurra conquistata tra Olimpiadi, Mondiali, Europei, Mondiali Indoor e Europei Indoor, risulta il bronzo (a questo punto un macigno statistico) di Erminio Azzaro ai Campionati Europei di Atene 1969, con la misura di 2,17. Una medaglia in 120 anni di storia dell'atletica (togliendo i Giochi del Mediterraneo e la Coppa Europa se me lo consentite, dove comunque Andrea Bettinelli vinse l'edizione del 2007 a Milano con 2,30). Non molto, diciamocelo. Volete vedere? Alle Olimpiadi il miglior risultato è stato il posto di Giacomo Crosa (proprio il giornalista...) a Città del Messico '76 e di Rodolfo Bergamo a Montreal '76 (12 finalisti totali). Ai mondiali il di Nicola Ciotti a Helsinki '05 (e solo 3 finalisti). Agli Europei il citato bronzo di Azzaro e poi viene il posto di Talotti a Monaco '02. Ai mondiali indoor il rango di Giulio Ciotti a Mosca '06. Infine 3 quarti posti nella manifestazione più abbordabile, ovvero i campionati europei indoor: Massimo Di Giorgio a Budapest '83, Fabrizio Borellini a Budapest '88 e Filippo Campioli a Torino '09. 
E questo nonostante si siano comunque succedute nidiate di ottimi e fenomenali atleti che, arrivati vicini alle porte del paradiso, si sono visti tutti, irrimediabilmente, sciogliersi le ali e precipitare a terra. Eppure si è assistito a stagioni con diversi atleti italiani sopra i 2,20 ma che nonostante questo, non hanno mai prodotto l'eccezione "statistica", visto l'altissimo livellamento verso il basso (ma a quote elevate). Vista in maniera diversa: va da sè che i campioni è più facile trovarli se la base statistica è ampia: il salto in alto maschile italiano ha trovato l'ampia base statistica, ma non ha mai trovato il super-atleta. Chissà perchè. 

Torniamo a Chesani, uno di coloro che potrebbe interrompere questa maledizione, e al suo 2,31. E' implicito che detto quanto trovate qui sopra, la "storia" del salto in alto maschile italiano la scrivano i primatisti e i vincitori di titoli italiani. Oppure chi ha superato i 2,30. Dopo il 2,33 indoor Chesani aveva raggiunto quella specie di salto tabù di Marcello Benvenuti saltato a Verona il 12 settembre del 1989. Salto che rimane ancora quale record italiano outdoor. Chesani, stranamente, all'aperto non aveva ancora saltato, prima di questo 1 giugno, un risultato superiore ai 2,30, essendosi in precedenza fermato a 2,28 ad Orvieto e Torino nel 2011. Aggiorno quindi la lista all-time dei salti di Silvano Chesani, che già avevo proposto qualche mese fa in seguito al record italiano indoor. La lista comprende anche i salti ancillari:
  • 2,33 - Ancona - 17/02/2013 (indoor)
  • 2,31 - Ancona - 26/02/2012 (indoor)
  • 2,31 - Modena - 01/06/2013 (outdoor)
  • 2,29 - Ancona - 17/02/2013 (indoor-ancillare)
  • 2,29 - Ancona - 26/02/2013 (indoor-ancillare)
  • 2,28 - Orvieto - 22/05/2011 (outdoor)
  • 2,28 - Torino - 26/06/2011 (outdoor)
  • 2,28 - Banska - 06702/2013 (indoor)
Salgono invece a 23 le salti di italiani sopra i 2,30 all'aperto, per un totale (contando le indoor) di 40 gare in cui un italiano è riuscito a saltare oltre la soglia di eccellenza. Questa la classifica delle gare oltre i 2,30 (sia all'aperto che indoor) da parte degli italiani. Silvano Chesani scala una posizione, pareggiando Fillipo Campioli a quota 3. :
  1. 9 volte - Andrea Bettinelli
  2. 8 volte - Nicola Ciotti
  3. 6 volte - Alessandro Talotti
  4. 4 volte - Giulio Ciotti
  5. 3 volte - Filippo Campioli - Silvano Chesani
  6. 2 volte - Gianmarco Tamberi
  7. 1 volta - Marcello Benvenuti - Luca Toso - Massimo Di Giorgio - Roberto Ferrari - Fabrizio Borellini
Se contiamo invece anche i salti ancillari, Marcello Benvenuti nella famosa progressione di Verona saltò 2,30 alla prima. Quel 2,30 dovrebbe essere l'unico salto ancillare saltato da un italiano sopra i 2,30 (poi saltò, com'è arcinoto, 2,33). Di conseguenza i salti sopra i 2,30 in realtà sarebbero 41. Se qualcuno sa altro delle progressioni (ovvero se sono noti altri salti ancillari oltre i 2,30) o vuole correggere, mi dica. Sono curioso.