29/08/13

Vizzoni e i 5 record (master) del martello

Foto Fidal.it/G. Colombo
Seguire le gare di Nicola Vizzoni, chiaramente, non vuol dire soltanto seguire le prestazioni di uno dei migliori atleti azzurri di sempre, ma anche, per un piccolo spicchio, di quelle di una grande fetta della storia del martello... master. Infatti Vizzoni, com'era preventivabile, sta riscrivendo i record della categoria: chissà adesso quando verranno abbattuti questi primati. Orbene, dopo aver portato il record da M35 a 80,29 a Firenze nel 2011, quest'anno, all'entrata nella categoria M40 (è infatti del '73), ecco superato il record M40 che apparteneva a Giovanni Sanguin, che non era nemmeno tanto datato (un 72,40 risalente al 2009). Il 23 febbraio Nicola batte il record per la prima volta a Lucca: 72,90 al 6° lancio. Il 3 maggio a Firenze porta il record a 74,87, al primo lancio. In Coppa Campioni, in Portogallo, il record viene ulteriormente incrementato con la vittoria con 75,03. Finita qui? Macchè: il 6 luglio a Livorno nuovo record: 76,06. Poi arrivano i Campionati Mondiali di Mosca, dove un 75,38 gli consente di accedere alla finale. In finale, al secondo lancio il toscano ci piazza il 77,61 che gli consentirà di raggiungere la 7^ piazza, ma anche di conseguire l'ulteriore miglioramento del record M40. Il suo 77,61 in AGC equivarrebbe ad un 96,61%, ovvero un 83,80... 

27/08/13

Moreno Belletti quasi 65 metri di giavellotto a 43 anni

Nella mia ricostruzione dei record italiani master, mi sono ritrovato con un grande risultati di Moreno Belletti (classe 1970, Cus Parma) nel lancio del giavellotto M40, ovvero il 64,90 ottenuto dallo stesso a Castelnovo Monti (RE) il giorno 4 di giugno. Belletti non tirava così lontano dal 2009, quando era all'ultimo anno della categoria M35. Il precedente record era comunque di sua proprietà, ovvero il 64,51 ottenuto proprio nel 2010. Controvalore AGC 78,17%, che commutato equivarrebbe ad un virtuale 76,98. Dalla sua pagina Fidal emerge anche un 70,49 ottenuto nel 2007 all'età di 37 anni, ovvero da M35, quando il record italiano era il 73,23 di Gunter Taschler ottenuto nel 2003. Ricordo che Belletti fu argento mondiale a Riccione '07 tra gli M35. 

25/08/13

Gli italiani Assoluti Meritocratici: rinnovo la proposta

Foto Fidal/G. Colombo
Partiamo da questo assunto: a parte gli atleti top, che non hanno certo problemi nell'ottenere i minimi, per la maggior parte degli atleti delle categorie assolute, diventa una guerra contro il tempo e i tempi (e le misure). La crisi come manifestazione dei Campionati Italiani Assoluti nasce dalla povertà del numero dei partecipanti. Il modello francese secondo me è azzeccato: più che un "minimo" di partecipazione, un "numero chiuso" di partecipanti, con rigide regole per chi non dovesse partecipare (comprese sanzioni, o impossibilità di poter essere convocati ad altre manifestazioni). Il numero chiuso deve permettere l'effettuazione di 3 turni (nella velocità e negli ostacoli), due (o tre) per il mezzofondo veloce, e di una qualificazione nei concorsi. In pratica una simulazione di una grande manifestazione, così da "provare" all'opera gli atleti. Prendiamo i 100: 32 atleti.

Come selezionare quindi i nostri 32 atleti? Sarebbe troppo difficile individuare un minimo ad hoc: direi impossibile. E' da tempo che propongo un sistema di valutazione delle prestazioni come nel tennis, ovvero un ranking che non valuti solo "una prestazione", ma le prestazioni degli atleti in un dato periodo di tempo, mettiamo un anno, come nel tennis. Difficile? Assolutamente no: basta un banalissimo algoritmo inserito in un software, interfecciato col Sigma, e i punteggi sarebbero già tutti a disposizione. Di fatto si premierebbero gli atleti con maggiore spessore tecnico, rispetto a quelli più "fortunati", ovvero che nella giornata di grazia, nel posto giusto e col vento giusto, avessero ottenuto in una sola circostanza il tanto sospirato minimo per gli Assoluti.

Ebbene i magnifici 32 basterebbe estrarli in questo ranking che non premierebbe più la prestazione una-tantum (il minimo è fatto quasi sempre in condizioni ottimali), ma lo spessore dell'atleta nell'ultimo anno di gare. Magari si prendano i primi 28 atleti, e 4 wild-card concediamole al CT in maniera tale da poter inserire, che so, l'infortunato lungodegente o il giovane che meriterebbe come premio dell'annata, il palcoscenico dei Campionati Italiani Assoluti.

Alcuni ranking sono già disponibili in rete, come quello di All-Athletisc, che attribuisce punteggi basandosi sulla prestazione, sulla tipologia di manifestazione in cui è stato ottenuto, sul vento (nel caso di salti e velocità), sulla posizione ottenuta nella manifestazione e pure sul turno in cui si è ottenuta la prestazione. Meglio di così! Qui sotto il semplicissimo calcolatore di All-Athletics, dove basta inserire i dati per ottenere la prestazione.



Poi si potrebbero inserire tutti i parametri di questo mondo, tipo che si possono prendere in considerazioni i 6 migliori punteggi e stilare il ranking sulla media di quei 6 risultati. Poi la durata d'analisi: i ranking potrebbero avere, come dicevo, la durata di un anno, ma i punteggi ottenuti prima di un determinato lasso di tempo rispetto all'attuale (facciamo dai 6 agli 8 mesi e fino al 12° mese), perderebbero una determinata percentuale del loro valore. Mettiamo di aver corso un 10"90 nel settembre del 2012 che al tempo valeva 1000 punti. A 11 mesi di distanza quei 1000 punti, se non ho ottenuto punteggi migliori nei 6 migliori punteggi e visto che sono decorsi i 6 mesi, inizieranno a deprezzarsi "progressivamente", in percentuale, proprio perchè ottenuti in un periodo molto distanti temporalmente rispetto al periodo attuale. Il metodo è quello tennistico, che comunque, bisogna dirlo, determina una classifica che si plasma sulle reali bravure dei tennisti. 

Il metodo potrebbe essere anche utile a formare le batterie nei diversi meeting. Oggi il Sigma è stupido in tal senso: sono andato a Donnas un paio di anni fa, ho corso un tempo nettamente superiore alle mie reali possibilità, e per un anno sono finito immeritatamente nelle prime serie di tutti i meeting cui ho partecipato. Il ranking "limiterebbe" l'impatto di un tale risultato, anche perchè il vento verrebbe "pesato" per quanto era forte. Avrei spostato soltanto la mia posizione generale di qualche rango, ma non di un'intera generazione di sprinter! Qui lo dico e non lo nego: a questo punto erano meglio le iscrizioni "a mano" dove si inserivano i tempi a discrezione. A parte qualche "pazzo" ci si autoregolava meglio che il Sistema del Sigma, che addirittura cancella del tutto chi non ha risultati nell'attuale stagione, relegandoli nelle serie senza tempi. Con una classifica diacronica, anche chi non ha risultati nel presente anno, avrebbe comunque un piazzamento che gli garantirebbe una certa classifica... magari dopo aver perso qualche posizione, ma nel nome di una maggiore meritocrazia. 

E poi a livello organizzativo sarebbe l'optimum, perchè già prima di iniziare i campionati nazionali, si potrebbe conoscere il numero degli iscritti e quindi il planning delle gare.

Io continuo a buttarla lì, nel nome del merito, più che della fortuna. 

24/08/13

I soldi, i tecnici, Quinzi che vince Wimbledon e la religione del vittorismo

L'indizio è un ragazzino (alto 1,89) di nome Gianluigi Quinzi che vince l'edizione 2013 del torneo (giovanile) più importante al mondo di tennis, Wimbledon. Ok, se si parla di tennis, si parla, bene o male, di uno sport semi-elitario, per il quale servono per prima cosa soldi per iscriversi ai corsi di tennis, e che poi aumentano esponenzialmente se i giovani vogliono praticare l'attività agonistica. Quindi, togliamo il "semi": è uno sport d'elite. Non conosco da vicino il mondo e l'organizzazione del tennis, ma lo sintetizzo così: ci sono soldi. Come direbbe il mo amico barista Alberto: "Ghe ne mia banane!". Tutto si riconduce alla fine, al denaro. Ma non solo alla fine, ma anche all'inizio, e anche durante. C'è sempre bisogno di denaro in questa società, è un dannato circolo vizioso. Cinico, ma imprescindibile. Senza denaro (o "altre utilità", come si direbbe con linguaggio giuridico) possiamo stare qui per giorni ad invocare i principi più insindacabili dell'universo, ma rimarremmo ancora qui. Motori immobili, ma nemmeno tanto motori. Immobili, ad aspettare che con la sola forza del pensiero succeda qualcosa che cambi il mondo. Così li vedo i discorsi sul professionismo dei tecnici italiani.

Ma torniamo a Quinzi. Quinzi è figlio d'arte (la madre ex nazionale di pallamano, mi sembra). Il papà abbiente presidente di un circolo di tennis. Ha talento, e lo scopre il leggendario Nick Bollettieri, super tecnico fondatore della omonima Tennis Academy, colui che ha portato ai vertici del tennis mondiale tizi come Andre Agassi, Boris Becker, Pete Sampras, Monica Seles, Martina Hingis e per arrivare ai giorni nostri Maria Sharapova e le sorelle Williams. Bollettieri fornisce una borsa di studio a Quinzi, che già in età giovanile inizia a mostrare i prodromi della beatitudine sportiva. Poi Quinzi, mi dicono, dopo l'originaria borsa di studio, ha iniziato a versare la quota annuale a Nick... ovvero 100.000 bei dollaroni, più o meno (direi più che meno). Bè, si dirà, un investimento che verrà ammortizzato in breve... siamo nel ricco mondo del tennis! E Bollettieri, con quei 100.000 dollari, ecco che prepara gli atleti ad essere i migliori al mondo, con una selezione che viene fatta anche e soprattutto sui candidati (non basta evidentemente avere un sacco di soldi... ma quanto meno sapere tener molto bene in mano una racchetta), perchè la scuola si alimenta anche dai successi dei propri "scolari". Se iniziassero a fallire, l'Academy non sarebbe così rinomata e non potrebbe chiedere quei piccoli "contributi". Da Bolettieri vai se hai soldi, in primis, e se sei molto ma molto bravo, in secundis. Sarà poi lui a proiettarti nel firmamento delle stelle del tennis.

La scuola di Bollettieri rappresenta naturalmente un esempio in cui lo sport diviene business. Non solo tennis, ma anche tutte le attività collaterali che necessitano ad un ragazzino (quindi la scuola vera e propria in primis). E del resto, anche qui in Italia, le scuole-tennis più rinomate (ricordo la Vavassori), hanno inteso proprio creare percorsi sportivo-didattici in cui chi si iscrive, segue i ragazzi dall'A alla Z. Miniprofessionisti embeddati in un ambiente che per 24 ore al giorno gli ricorda quello per il quale li hanno chiamati a dare il meglio di sè. Quindi all'interno di un'organizzazione con i migliori tecnici (pagati per questo), insegnanti, cuochi, terapisti... Se da un punto di vista etico la cosa fa rabbrividire (alla fine a questi ragazzi viene tolta una parte di giovinezza per un investimento sul futuro del tutto opinabile), dall'altra non posso riflettere che oggi lo sport che si impone a livello internazionale richieda elementi di natura professionistica sempre maggiori e sempre più totalizzanti, che limitano sempre più la "libertà" di disporre liberamente di sè stessi da parte degli atleti. E che il professionista si deve circondare da persone che sono esse stesse professioniste nel loro campo. E tutto questo perchè il fine non è più rappresentato dai valori dell'olimpismo e della sempiterna gloria, ma assume fondamentale importanza il portato di accesso alle risorse (guadagni) che le vittorie portano. Vincere vuol dire guadagnare, appunto. Guadagnare significa alimentare le strutture, i meccanismi, le persone, gli staff che ti aiutano a vincere (spesso anche quelli illeciti). Professionismo, appunto.

E veniamo a noi, passando dal tennis. L'atletica internazionale di vertice si struttura ormai su percorsi professionistici consolidati. Il talento incredibile quanto dura, nello sport moderno, se non supportato da una struttura professionistica? Un anno? Due? Dobbiamo tornare a fare i sempre odierni esempi nei nostri confini e dei nostri supercampioni mai espressi? Cosa, se non l'assenza di circuiti organizzativi professionistici ha impedito a questi talenti di esprimersi al meglio? Cosa, se non la gestione famigliare e all'italiana, ha fatto in modo che si riducessero a carichi per le casse dello Stato? Le imprese a sorpresa fanno parte dello sport, certo, ma sono i professionisti quelli che durano negli anni, ovvero quelli che scrivono la storia dello sport. Se poi il talento diventa professionista, bè siamo di fronte ai perfect one.

Chi vince le medaglie, chi combatte per accedere alle risorse (nella nuova accezione dello sport), lo fa ormai con investimenti pazzeschi (investire per guadagnare... è una legge tanto banale). Negli States la membrana tra sport di squadra e l'atletica non esiste nemmeno, e lo sport professionistico investe nella ricerca. Nei tecnici. E chi è più bravo, emerge e inizia ad avere un mercato. Mercato, guadagno, investimento, successi... e si riparte nel circolo virtuoso. Se tu tecnico non sei bravo, ti devi dar da fare per emergere, perchè è il mercato che determina il tuo successo. In Italia un discorso del genere non è nemmeno affrontabile, perchè nella completa assenza di risorse e del mancato riconoscimento di un pizzico di merito su chiunque (se non per scelta divinizzante dall'alto), tutti si ritengono dei Mourinho, anche se spesso ne sanno meno degli atleti che allenano.

Vi voglio far riflettere sulla limitatezza culturale dei tecnici italiani. Pensate ad esempio solo a come la storia tecnica in Italia abbia di fatto obbligato tutti i tecnici a percorsi vincolati, a-professionistici: Vittori, ancora oggi, tuona contro tutti quelli che propongono modelli diversi dal suo, giustificando il successo di quasi tutto ciò che non è "Vittori" allo squallido doping. I tecnici italiani non hanno mai avuto possibilità di confronto con l'estero se non con il filtro della Fidal (quindi lo stesso establishment), e quelle poche volte che è successo con teorie affini o simili alle sue. Di Vittori, appunto. Chi ha ricoperto cariche organizzative nelle strutture tecniche dopo di lui in Fidal, è stato sempre un suo discepolo. Quindi la religione di Stato si è tramandata di generazione in generazione tra i tecnici responsabili, puntando sulla impossibilità del resto del popolino di avere rapporti con l'esterno. L'impianto generale, la filosofia, è sempre e solo stata la sua. E tutti i tecnici a seguire quella filosofia, con piccole variazioni sul tema. Sempre concesse sub judice. Ora sono arrivati i problemi, perchè con internet e senza particolari investimenti, finalmente la cortina di ferro è finalmente caduta. E naturalmente come tutti coloro che devono conservare lo status quo ante, il buon Vittori ha iniziato da qualche tempo a combattere lo sgretolamento sistematico delle proprie teorie, che, per inciso, si sono fermate ad almeno 25 anni fa. Ora, non sono io a sostenere che Vittori sbagli e che abbiano ragione i jams o gli americani, ma dico che nell'univocità di vedute si commettono gli errori più grossolani, proprio per l'assenza di un contraddittorio, di una crescita collettiva. Non aver consentito un dibattito o una critica per decadi sulle teorie di Vittori, vera e propria religione di stato che non ha mai ammesso eresie, si è consentito di fossilizzare le menti, inebetito coloro che dovevano riflettere. Poi magari uscirà che Vittori aveva pure ragione, ma lo deve stabilire la scienza (cioè le analisi, le comparazioni, gli studi, gli errori) e non certo la sola parola di Vittori, che non è di certo un infallibile demiurgo. Questo è un esempio di aprofessionismo, di religione dello sport, che, moltiplicata per tutte le discipline, ci ha portato ad essere una nazione residuale al consesso internazionale.

L'altro ieri proprio Vittori scriveva sulla Gazzetta che sarebbe un errore convocare tecnici stranieri (che sarebbero uno "schiaffo" ai tenici italiani) e che in Italia ci sono le risposte tecniche. Mi permetto: una visione miope della situazione. E mi rifaccio a quanto sopra scritto. Possiamo avere anche il miglior materiale umano dell'universo, ma senza risorse (vil e maledetto danaro!) le conoscenze rimangono le stesse. Cosa facciamo? Facciamo un rimpasto di conoscenze per presentarle meglio? Se le conoscenza di una società è per dire 100 e non ci sono nè studi, nè interscambio con sistemi esterni, le conoscenze (e i risultati ad esse collegati) rimangono sempre e comunque 100. Questi validissimi tecnici italiani da dove mutueranno le loro conoscenze, se non hanno risorse per nessuna attività di ricerca e in senso esteso, scientifica? Ve lo dico io: dall'esperienza. Esclusivamente dall'esperienza. Cioè continueranno con i loro soliti cavalli di battaglia, e, spesso, con i loro pacchiani errori. E le naturalmente, con le teorie di Vittori, per chi ci ha campato per secoli.

Che poi questi tecnici, cosa dovrebbero fare? Fare i capipopolo dell'esercito di tecnici e trasmettere le loro conoscenze superiori tramite lo Spirito Santo? Secondo me è un errore sia puntare sui tecnici italiani, perchè non sono professionisti e non certo per colpa loro, e di conseguenza non possono far fare i salti di qualità ai propri atleti. Sia su quelli esteri italianizzati, perchè il loro impatto sarebbe limitato a pochissimi elementi, come si è dimostrato con Petrov (ad uso e consumo del solo Gibilisco), o quelli dei lanci di qualche tempo fa. Figurarsi poi se si son mai visti tecnici esteri dello sprint in Italia dai quali ottenere qualcosa... quindi, il modo migliore attualmente per vincere una medaglia, è quella di spedire gli atleti promettenti all'estero, e sperare che questi, inclusi in percorsi professionistici veri e propri, riescano a massimizzare la loro esperienza. Bene han fatto Grenot e Galvan. Bene farebbero altri. In Italia non c'è alcuna base per creare un'atletica professionistica, leviamocelo dalla testa. Non ci sono le strutture, le basi, gli staff, i medici, i terapisti, per creare dei gruppi professionistici. Perchè non ci sono soldi per irrigare tutte le foglioline della pianta. E gli atleti che di fatto sono stipendiato per farlo, di fatto vivono di uno stipendio che non gli permette di essere ne carne nè pesce. Non hanno e non possono avere autonomia gestionale. Con 1500 euro al mese come si fa a pagare tecnico, massaggiatore, fisioterapista, integratori, viaggi, metodi rigenerativi... magari non solo una volta al mese. E così, l'unica differenza con chi non è nei gruppi sportivi è il tempo a disposizione. Pensate voi che professionisti che abbiamo. Ma dove vogliamo andare?

Quindi, che fare?

L'ingenuità della politica atletica italiana e segnatamente della Fidal di fronte a queste dinamiche internazionali e interne fa quasi tenerezza. I tecnici italiani non potranno mai inventarsi nulla di nuovo, non potranno mai essere professionisti senza avere risorse a disposizione. Il problema del reclutamento è un falso problema, o un problema di riflesso a quanto scritto qui sopra. Tutte le risoluzione collaterali e normative, non sono che piccoli palliativi. E' in definitiva lo spostare le risorse scarse da un comodino all'altro. E' per questo che non si comprende come mai, negli anni, si è sempre più resa l'atletica uno sport elitario (come la quasi inaccessibilità ai campionati italiani assoluti), e non uno sport a disposizione dei più, a dimensione cioè di sport popolare, come il ciclismo. Si sono susseguite una rete di leggi e leggine che invece che diffondere l'atletica, l'hanno resa meno appetibile (come la regola del numero massimo di gare in una specialità per i cadetti e i ragazzi... o le limitazioni per i master). Uno sport che per assenza di risorse dovrebbe necessariamente essere popolare, che viene gestito come se fosse elitario. Qui c'è uno dei più grandi errori. La diffusione dell'atletica, porta, oltre ai tesserati, al crearsi di rete più estese di soggetti che parlano, discutono, vivono... di atletica. E' uno dei pre-requisiti che spingono le aziende ad investire in un campo: se c'è coesione, le informazioni vengono scambiate, e si ritiene appetibile quel mondo. Oggi il tessuto dell'atletica italiana è lacerato e sfilacciato, e non sembra sussistere, in primis, un'organizzazione funzionale, fattiva e votata agli obiettivi.

Comunque, l'ho fatta ancora una volta troppo lunga: mi vien da sorridere guardando ai vani tentativi di ottenere risultati sportivi spremendo le rape qui in Italia, e tutto basandosi sul volontariato. Di quale professionismo parliamo... a gratis?

Invece di lamentarsi, forse, sarebbe giunto il momento di trovare il modo di far confluire risorse in questo sport. Sperare che sia sempre mamma Fidal a trovare le soluzione (e le risorse) è la cosa più illogica di questo mondo, soprattutto per i tecnici. Anche frazionandole fra tutti, queste benedette risorse, ognuno avrebbe giusto un caffè gratis. Con quel lodevole e aromatico caffè si avranno le idee risolutive che risolveranno i problemi dell'atletica italiana?

22/08/13

Hercule Poirot Ponchio contro le Covvietà di Alberto: la guerra degli anchormen ai mondiali

foto Photorun
Perchè sul carroccio dei monatti che portano gli appestati al Lazzaretto dell'Atletica, non ci mettiamo pure i telecronisti che commentano l'atletica sulle diverse tv? Sì, perchè l'atmosfera dell'atletica la creano loro, se non soprattutto loro. Il successo di uno sport passa anche per le ugole di chi lo commenta e ne fa vivere i diversi momenti. Continuo a ricordare l'effimero e sconvolgente successo del wrestling di qualche anno fa, micro fenomeno mediatico di massa favorito dalla contemporanea compenetrazione tra tv rivolta ai più giovani (Italia 1) e cronisti coinvolgenti e sufficientemente ironici. E naturalmente uno pseudo sport al passo con i tempi, ovvero cretino. Ora, l'argomento è sicuramente un campo minato, e non ci si troverà mai d'accordo su nulla, figurarsi sui personaggi televisivi. Argomento opinabile all'ennesima potenza. Qualcuno vuole la telecronaca precisa, qualcuno quella tecnica, qualcuno quella enfatica, qualcuno li preferisce passivi, come le cornici delle nature morte, e chi invece li preferisce attivi, come i telecronisti brasiliani quando debbono esultare per un goooooooooooool; qualcun'altro un pò di questo e un pò di quell'altro, altri solo i rumori dello stadio e tolgono l'audio. C'è anche chi non vuole che il telecronista si arrischi ai commenti tecnici, perchè ogni specialità ha una sua religione, un suo linguaggio, i suoi adepti con tanto di tessera d'iscrizione, e non è bello vedere il profano scimmiottare le Sacre Scrittire. C'è addirittura chi vuole Monetti, e anche questo è un fatto incontrovertibile. Quindi... 

Quindi la domanda da porsi è: cosa voglio da un telecronaca? Benchè sia un polemista di natura, la risposta che mi dò è che vorrei semplicemente divertirmi davanti alla tv. Voglio essere coinvolto dall'evento cui sto seguendo, e distrarmi, evadere. Sono anni che seguo l'atletica, e francamente per principio mi fa prurito che vi sia qualcuno che mi spieghi l'atletica come la si spiegherebbe all'esordiente alle prime armi, come fa, appunto, il nostro amico Attilio: "Ed ecco una gara sicuramente importante (il "sicuramente importante" è il marchio di fabbrica) il lancio del peso, che consiste nel lanciare una palla di ferro di 7,260 kg sopra la spalla, all'interno di un settore...". Daiiiiii, basta!! Voglio qualcuno che mi trascini nell'evento, mi faccia correre gli ultimi 100 metri di un 800 insieme a Duane Solomon che si immola alle divinità acidificate della Via Lattea, o che rispetti il silenzio ecumenico dei preparativi di una partenza dei 100 metri, per poi esplodere con la propria voce in armonia con i meccanismi degli sprinter caraibici; o riesca a farmi volare con Menkov ricordando il volo di Emmian; guardare con gli stessi occhi della telecamera l'imponenza di Harting e celebrarne l'imperiosità. Magari non si troverà nessuno in grado di evocare tutto questo. Nella mia esperienza l'unica telecronaca che mi ha davvero trascinato in questi anni udita da un telecronista italiano, è stata quella di Mazzocchi-Padre in coppia con Enzo Rossi (presumo fosse "quel" Enzo Rossi) sull'allora : come dire, l'appassionato di atletica che si lascia trascinare dagli eventi. Qui sotto la telecronaca della finale degli 800 di Stoccarda '93, con l'argento di D'Urso.


Ma Mazzocchi-Padre (bene distinguere le parentele) penso sia felicemente in pensione e quindi le opportunità per l'utente televisivo italiano si riducono drasticamente a Nonna Rai (o Bisnonna?) e ad Eurosport.

Ebbene, ammetto di aver alzato bandiera bianca sulla rete di Stato. Non ce la faccio più a sopportarli tutti insieme, perdonatemi. Franco Bragagna dall'alto della sua enorme mole di conoscenze, ha infatti ormai scavalcato la membrana che separa il ruolo del telecronista con quello del critico. E' al contempo cronista, critico, telespalla, intervistatore ed intervistato, in un'apoteosi che invade tutto lo spazio uditivo. Memorabili i suoi voli pindarici in mezzo a labirinti di parole, ai quali ci si aggrappa per scavare nei meandri della storia dei singoli personaggi sportivi. Come la canzone di Lucio Battisti: "Le discese ardite e le risalite su nel cielo aperto e poi giù il deserto e poi ancora in alto con un grande salto" e alla via così per ore. E' che questa invasione dell'ultracorpo ha attaccato come un blob anche le immagini, tanto che ormai le gare passano, finiscono, ricominciano, si interrompono, e le parole straripanti del nostro continuano per il loro viaggio nell'iperuranio atletico dimentiche di quello che avviene a pochi centimetri da lui. Un Golem di conoscenze, invero, anche perchè l'atletica la vive ormai da anni. Ma per il sottoscritto, che purtroppo vuole vivere tassativamente quello che sta succedendo lì in quel momento sulla pista e sulle pedane, è troppo. E' troppo, perchè la concentrazione viene deviata su Gotemburgo o Ietebori che dir si voglia (ormai un mantra) e i mille rivoli della vita quotidiana sportiva e i suoi retroscena. Per carità: percepisco un senso di mancanza a non seguirlo, perchè lo si ascolterebbe per ore, ma sorbole, non durante la sacralità degli avvenimenti sportivi!

Che poi il format previsto dalla Rai, ovvero l'intervista sistematica degli atleti (inclusa la totalità degli azzurri) da parte della Caporale, spezza lo scorrere degli eventi, il pathos che si costruisce a poco a poco tra utente televisivo e competizione sportiva: un crescendo ipnotico, che viene ammazzato sul più bello dai lamenti. Considerato l'andazzo generale degli azzurri, a Mosca molte interviste si sono trasformate infatti in una processione funebre. Mah... forse semplicemente non ci stanno, o almeno non così: le interviste post gara danno davvero troppo poco. Banalità. Sembra di assistere alle esternazioni dei calciatori che dicono da tempo immemore le stesse cose. Forse avrebbero più senso recuperarle "prima" della gara, per sapere le aspettative e le speranze: dopo è troppo facile. Come diceva Nanni Moretti: "D'Alema, dica qualcosa di sinistra!". Ecco, atleti, dite qualcosa di diverso! Oppure non dite, o liquidate la Caporale velocemente così da evitare le domande alla Marzullo, perchè il mondiale scorre dietro di voi impietoso, e per noi poveri spettatori doverci obnubilare quando ancora tutto il programma delle gare è là da venire, ci inquieta. Che poi, dopo anni e anni di dirette si è sentito per la prima volta un ringraziamento alla Federazione. Passi il primo, ma già al secondo ringraziamento il sospetto si è inoculato nella mia mente, lasciando percepire la presenza di una regia. Bocciati su tutta la linea i saluti "federali".

"Gutta cavat lapidem": la goccia scava la pietra... e pure la mia pazienza. Le gocce spillate dalle telecronache della Rai comprendono anche la strana e incomprensibile (e reiterata) presenza di Attilio Monetti. Monetti, se posso permettermi, dà l'impressione di ritenere che i telespettatori abbiano ancora le due reti della Rai, e pure in bianco e nero. Sicuramente un serio professionista, ma non c'è proprio con i tempi della tv attuale. Non ci troviamo tutti nel bar della canonica con la tv del parroco, costretti a guardare un solo programma televisivo per volta, perchè i programmi erano unici. L'utente dell'atletica è ormai nel 95% una persona che ne sa, purtroppo. Ce l'hai già spiegato mille volte quanti giri ci sono un 10000!! Comunque non comprendo una cosa: Monetti è del 1943, 70 anni. Possibile che si possa rimanere in un Ente Pubblico (o ad esso assimilato) sino a 70 anni? Fatto sta che il Nostro, non so se per semplice indolenza, egocentrismo, indifferenza o cos'altro, sembra abbia finito il quid di sopportazione al Monettismo, e così ormai come un Edward mani di forbice, rifila certe rasoiate all'Attilio, che le sue frasi rimangono a metà... e il telespettatore ignavo che non saprà mai di quanti giri è composto un 10000, come farà ad orientarsi in uno sport tanto complesso come l'atletica?

E non dimentichiamoci che ha fatto la sua comparizione ai microfoni Rai l'Hercule Poirot dei salti (giusto per la vaga somiglianza), Dino Ponchio, mentre ormai è inamovibile l'Er Piotta dello sprint, Stefano Tilli. Ponchio sicuramente ne sa, ma forse ne sa troppo per un pubblico televisivo anche specializzato come quello dell'atletica. Ascoltandolo per qualche minuto, non ho potuto non pensare che i mali tecnici dell'atletica italiana forse risiedano proprio nella visione fuori asse della realtà: troppa concentrata sul particolare infinitesimo, sul millimetro e l'angolo, da aver dimenticato il disegno generale. Poirot-Ponchio poi, dirà cose pure super tecniche, giuste o non giuste non sta a me dirlo, ma la tv non è certo il simposio seminarile della Fidal: la tv è la tv, ed è uno dei pochi mezzi per diffondere l'atletica. Se trasformiamo la pista nell'ovale del Cern, e il salto in lungo nella ricerca del bosone di Hings, che pubblicità gli faremmo? Che tecnicità si voleva trasmettere?

Tilli invece cerca di fare il Ponchio della situazione, ma con risultati catastrofici. Però almeno è godibile, perchè a certe affermazioni non si può non sorridere. E allora ditelo, no?! Non fatemi andare avanti vi prego sulla Rai... il solo parlarne mi angoscia, fatemi cambiare!!

Giro su Eurosport. Cova e Trezzi. Trezzi e Cova e le Covvietà, neologismo inventato dal sottoscritto all'ennesima affermazione (ovvia) dell'Albertone nazionale. Micidiale. La differenza sostanziale con la Rai sta nel fatto che questi due hanno un atteggiamento sicuramente meno "saccente". Nessuno di loro due vuole spiegarti il salto in lungo e i 100 metri, l'alto e i 400. Nessuno di loro ti considera uno sprovveduto, uno che ti guarda in tv e che non sa. Brutto atteggiamento considerare il pubblico televisivo inferiore culturalmente, soprattutto se è un pubblico specializzato. Di Covvietà in Covvietà, alcune che mi hanno strappato delle grasse risate, altre con il sorriso a denti stretti tipico della Settimana Enigmistica, ci siamo concentrati, io, Cova e Trezzi, sulle gare. Nessuno ci disturbava. Anche perchè loro, fuori dagli eventi televisivi per i quali vengono chiamati a commentare, penso che poco si interessino dell'atletica... non fanno gossip sugli amori e le fughe amorose degli atleti. Guardano le gare come noi, si sorprendono come noi (e non sanno assolutamente se Menkov ha usato il 35% dell'astragalo per saltare 8,56 o se er metro cubbo de aria sia più o meno permeabile nei 100 metri vista l'umidità al 78%). Diciamo che mancano le nozioni sugli atleti, spesso necessarie per introdurre o spiegare le gare. Gli scontri diretti, quanto meno un'infarinatura, dai!

Poi sul profilo facebook si può dialogare con loro in diretta, e un paio di interventi ho potuto pure inoltrarli... tant'è che la loro ironia si è abbattuta su di me dopo la finale dei 110hs vinta da Oliver, dopo che in semifinale avevo definito un "Dio" degli ostacoli Jason Richardson. Trezzi "Jason Richardoson sarà pure un Dio sugli ostacoli, come dice un nostro amico, ma alla fine il più forte è David Oliver". Cova, "eh già, sarà pure un Dio...". Ok, uno a zero e palla al centro... e comunque, il migliore tecnicamente rimane Jason Richardson, senza se e senza ma. In Rai non ci vedo proprio Bragagna rispondere o colloquiare con gli utenti televisivi... men che meno Monetti. Il modello televisivo della Rai è quello lì, un pò imbastito, statico, con davvero poco entusiasmo. Mentre si commentava sulla nostra pagina di facebook, gli amici seguivano lo streaming di altre emittenti estere dove i giornalisti si intrufolavano sulle tribune ad intervistare i tecnici... ecco, perchè i tecnici non vengono mai intervistati? Ma poi... durante! Non stanno mica gareggiando... qualche impressione a caldo potrebbero darla, e verrebbero incontro a molte esigenze.

Chi rimane? L'ormai amico Stefano Mei si era ritagliato uno spazio su Sky con Stefano Baldini alle Olimpiadi di Londra. Era Maurizio Compagnoni la voce portante? Il format era un mix tra quello vintage della Rai e quello stitico di Eurosport, prendendo un pò da uno e un pò dall'altro. Fiona May si era sostituita alla Caporale, con risultati simili. Per fortuna sono mancate le domande alla Marzullo. Comunque, non ci si può allontanare troppo nel narrare un evento sportivo da quello che sta accadendo sulle piste e sulle pedane, e nel contempo acuire la distanza tra il telespettatore e chi racconta l'evento. Al tempo dell'olimpiade Baldini dimostrò una grande umiltà (questo me lo ricordo bene) e con Stefano dimostrò (nonostante gli allora litigi con tutti noi via facebook per le mancate convocazioni aresiane) di avere una certa duttilità con il mezzo televisivo. Purtroppo il fatto che non vi sia più concorrenza (sparita Sky) porta i pochi o l'unico detentore del diritto televisivo a vendere un prodotto non sempre (o quasi mai) all'altezza delle aspettative. 

19/08/13

Mosca '13: Il primo mondiale di Giomi è... Aresiano

Foto G. Colombo/Fidal
Una pagina intera di giustificazioni sulla Gazzetta. Finisce nella povere il primo vero appuntamento di una certa caratura del nuovo mandato federale... Nuovo... ormai sono passati 9 mesi, e gli anni sono solo 4, quando ormai il primo anno agonistico è pressochè concluso (se non vogliamo dare peso agli pseudo c.d.s. di settembre). Sono passati 9 mesi dalle elezioni federali, e il travagliatissimo parto mondiale ha generato un mostriciattolo. E allora finalmente, ieri pomeriggio, ho capito perchè Arese si portasse appresso-appresso solo 15 persone ai grandi eventi internazionali (nel senso di atleti, il codazzo non è stato mai quantificato). Se ne aveva già sentore, ma ogni conferma è ben accetta. Ebbene, tornare a casa con un esercito di persone ingrigite dall'esito delle proprie prestazioni, acuisce la grande difficoltà del movimento. Quando invece andavano quattro gatti, magari il buco passava pure inosservato... o almeno, si sperava. Alla fine Arese o chi per lui, avrà capito che una quindicina di atleti era il numero perfetto: del resto con le 41 presenze-gare di Mosca, la classifica a punti è stata pressochè identica a quella di Daegu '11, dove le presenze-gara erano state 16. Quindi quasi triplicando gli sforzi, il risultato complessivo non è cambiato. Certo, con sostanziali differenze (qualcuna positiva, indubbiamente).

A me francamente è sembrato un pizzico patetico fare un'intervista del genere da parte di Giomi&Magnani, come se non fosse già chiaro prima di partire quale fosse lo Stato dell'Unione. Se Greco avesse fatto il miracolo (magari con la Trost) l'intervista avrebbe avuto lo stesso tenore? Francamente non penso. Anzi, NO sicuramente. E' che poi i dannati media guardano solo ad una cosa: le medaglie. Il Tg de La7 (l'unico che guardo) nei titoli iniziali ha proprio detto una cosa del genere: "solo una medaglia per l'Italia". Mannaggia a loro, che magari in redazione conoscono esclusivamente Bolt per osmosi o induzione. Chi avrebbe potuto vincere medaglie per gli azzurri, siamo sinceri? Forse la 33enne Rigaudo? O il 37enne Donato?  Tutti gli altri non potevano competere per le medaglie e per le finali, e lo si sapeva. Ecco, forse Chesani o Chiara Rosa avrebbero potuto accedere alla finale. Magari la 4x100 improvvisata in barba al "progetto staffetta", che a questo punto va sotto la voce "sperpero di risorse". Punto. Gli altri, è bene essere realisti, avrebbero prima camminato sull'acqua e poi diviso i pani e i pesci prima di arrivare in finale. Quindi: di cosa sorprendersi? L'Italia è questa, lo è da anni, e forse lo è sempre stata. E lo dico senza nemmeno tanta vis polemica. Poi parleremo dei motivi.

Per fortuna che sin dal giorno successivo all'elezione di Giomi avevo suggerito moderazione negli atteggiamenti federali, perchè poi succede che più in alto vai con le ali cerate, e più è clamoroso il tonfo a terra. Non dico che non si debbano portare 50 persone ad un mondiale contro le 15 di Arese, per carità, viste le battaglie virtuali combattute (e che sicuramente alle elezioni hanno giovato al solo Giomi). Dico solo che bisogna avere senso della misura, obiettività, valutazione oggettiva della situazione, perchè eravamo alla canna del gas a novembre, e non possiamo considerarci una gioiosa macchina da guerra nel marzo successivo, unti da chissà quale divinità salvifica. Bisognava approcciarsi con umiltà, sottolineando e marcando le difficoltà, e la fatica a superarle sin dall'inizio. Invece ci si è divertiti a considerarsi i Mourinho della situazione, con tutto il portato di naturali reazioni che una controprestazione sportiva può portare a chi si professa lo Special One e poi perde 6 a 0 con il Recreativo Huelva. Ho letto già qualche De Profundis su qualche quotidiano (magari da quei quotidiani che vaticinavano il nuovo corso)... ok, è eccessivo, visto che ci sono 3 anni davanti e tante opportunità e campioni là da venire, ma almeno quest'anno l'approccio giusto era quello di dire: non aspettiamoci nulla, ragazzi. Lavoriamo tutti insieme al "progetto". L'atletica italiana deve scordarsi il palcoscenico internazionale, e nel frattempo creare delle solide basi in cui tutti debbano riconoscersi. Solo con delle basi solide, domani, forse, si avranno i campioni. Se si continua a dar da bere solo alle foglie, la pianta muore.

Questa incredulità è invece uscita solo all'ultimo giorno dei mondiali, quando i Sioux avevano ormai annientato l'esercito federale a Little Big Horn. Nella conferenza stampa tenuta da Giomi, infatti, è emersa questa cosa, come se non lo si fosse saputo 6 mesi fa, dopo gli euroindoor. L'atletica mondiale è, evidentemente, altro. E se vi ricordate, Arese, a suo tempo, quando probabilmente comprese quale fosse la situazione, iniziò a parlare del leggendario "saio". Che altro voleva dire se non che non c'era rimasto più nulla in fondo al barile, e che fosse giunto il momento di ripartire umilmente da zero? 

Bisogna riconoscere sicuramente a Giomi l'apertura oceanica alla partecipazione: secondo me i diritti conseguiti dagli atleti sono sacrosanti, superiori alla stessa volontà della Federazione, tanto da farmi dire che una volta ottenuto il minimo, l'interlocutore dell'atleta dovrebbe diventare direttamente la federazione internazionale. C'è da dire, e questa è l'atletica, che alcuni minimi sono ottenuti effettivamente in condizioni eccezionali, irripetibili. I paletti alle prestazioni (tipo la location in cui vengono ottenuti) non può essere un fattore secondario. La Federazione Inglese ha prodotto un documento di una decina di pagine sui metodi di selezione, chi e come deve andare. Addirittura esiste la facoltà di ricorrere per chi è stato estromesso (con una Commissione che si riunisce ad hoc) e tutto è codificato millimetro per millimetro, sino allo spazio di discrezionalità del selezionatore. Alcune convocazioni avvengono de jure (vinci i trials, che sono obbligatori, hai il minimo A, amen... sei imbarcato), altre su quello che è indubbiamente un ruolo cui sono ascritte delle conoscenze specifiche. Non posso non rilevare che il CT della Nazionale Italiana appartenga a doppia mandata al mondo della strada, quindi in Inghilterra difficilmente potrebbe ricoprire un ruolo analogo.

Fatto sta che molte uscite pubbliche non hanno tenuto conto della situazione, soprattutto dopo gli Europei indoor di Goteborg. L'atletica indoor, si è dimostrato una volta di più, è melliflua e traditrice. La stragrande maggioranza dei top-player la diserta ormai come la peste... ci sarà un motivo, no? Ma forse era necessario iniziare con una lucidata agli ori di famiglia da esibire, per far vedere che l'atletica italiana c'era. Ok, c'era allora, ma nella competizione tascabile. Che poi... si è dimostrato come molti atleti abbiano raggiunto il top proprio in quella manifestazione, per poi squagliarai all'aperto. Come mai? 

La squadra azzurra rimane aggrappata agli atleti in età master o quasi. Quasi tutti i punti li hanno portati atleti sopra i 30 anni. Molti sulla rete hanno avuto atteggiamenti di ostilità verso la Grenot, che però è l'unica atleta delle corse in pista ad essersi avvicinata con ambizione ad una finale e che ha un minimo di spessore internazionale. 100, 200, 400, 800, 1500, 5000, 3000 siepi, 100hs, 110hs, 400hs... per il futuro magari qualche piccola speranzuccia, ma i vertici sono lontani come viaggi a curvatura sull'Enterprise. I top-player di quasi tutte le specialità sono professionisti che curano maniacalmente ogni particolare, mentre noi non abbiamo nemmeno i semi di questo professionismo. Questo mi fa dire che i Tedeschi sono stati ancora una volta più intelligenti: hanno selezionato le specialità, sono diventati luminari in esse, e in quelle specialità hanno fatto vendemmia di medaglie. 

E poi, nelle dichiarazioni di Giomi sorprende, davvero, l'aver preso sottogamba tutto quanto riguardava gli aspetti tecnici. Sembrava che fossero il fulcro della nuova gestione, ma che di fatto si è tradotto in una convocazione urbi et orbi dei tecnici degli atleti convocati di volta in volta in Nazionale. Ok, ci vuole. Ma il lavoro alla base? E i famosi Centri di Sviluppo Tecnico, così articolati e capillari, che fine hanno fatto? Oggi si scopre che verranno reclutati tecnici dall'estero... ma come, tutto quel ben di Dio articolato e complesso, crolla così su due piedi, rifugiandosi all'estero? Anzi sarà l'estero a venire in Italia... Ma non lo si diceva da secoli che i modelli di allenamento italiani fossero ormai obsoleti e resistenti al cambiamento, perchè sistematicamente filtrati da oltre 30 anni da personaggi che osteggiano ogni forma di evoluzione scientifica per mantenere una supremazia che di fatto è solo intellettuale, ma che di fatto rappresenta il freno all'intero sistema di conoscenze? In Italia le conoscenze divulgate sono quelle di 30 anni fa, e tutto ciò che è nuovo, è indistintamente ritenuto essere figlio del doping. E intanto il Sole continua a girare intorno alla terra...

Concludo perchè ci sarebbe da scrivere per ore: il modello organizzativo "studiato" a tavolino per la nuova Fidal, è evidente, è quello "manageriale", come ha sostenuto Magnani in un'intervista dopo 100 giorni di insediamento. Del resto questo è il bagaglio di esperienze che gli appartiene e che vorrebbe traslare. Gli atleti, i tecnici, le società al centro della ruota, e la Federazione lì in disparte come una benevola chioccia. Anzi, come un manager. E sottolineo queste stesse parole di Magnani, presenti nella già citata intervista: "Succede anche nel mondo dell’impresa: laddove le risorse umane vengono valorizzate e diventano “centrali”, i risultati sono sempre positivi. Ripeto, è stata una precisa scelta strategica e non il frutto del caso o della fortuna come qualcuno si era affrettato a dire, dopo i primi buoni risultati". Verrebbe da dire oggi: anche i risultati dei mondiali sono stati il frutto di precise scelte strategiche? Come dicevo: forse bisognava aspettare qualche mese, predicare moderazione e sobrietà, e stare con i piedi per terra in attesa che i progetti finalmente partissero (si spera almeno di vederlo a breve). Si evitano figuracce e conferenze stampa funerarie.

18/08/13

Mosca '13: Day VIII - Waiting for Grenot

foto G. Colombo/Fidal
Alto femminile - Alessia non ci fa il miracolo: 7^ con 1,93 - ad un certo punto ho avuto una folgorazione come San Paolo ebbe sulla Via per Damasco. Ma una spedizione di 50 persone può poi arrivare alla fine di una settimana di prestazioni "aresiane" per sperare nel miracolo di una ragazzina di 19 anni? No, evidentemente. Nelle competizioni di atletica all'interno dello stadio l'Italia esce con le ossa polverizzate, 4 finalisti su 40 finali previste paiono un pò pochini, e chiaramente non è che tutti i 50 atleti avessero possibilità di medaglia. Anzi: si sapeva chi e quanti sarebbero stati i medagliabili, ovvero non più di due o tre. Ma quando poi le prestazioni complessive non danno modo di compiacersi minimamente, ci si attacca ai miracoli. E ci può stare a quel punto che i miracoli non si avverino, benchè nello sport siano avvengano con molta maggior frequenza che nella vita quotidiana. Alessia salta 1,89 con "luce", sembrava esserci. 1,93 ancora alla prima e poi... fine a 1,97. Tra parentesi: una gara di alto bruttissima, con una progressione che è un insulto agli aspetti agonistici dell'atletica: partire da 1,89 è tagliare di netto un-terzo di gara. A quel punto si parta da 1,97 direttamente, così rimangono subito in 3 e amen, gara archiviata. Poi, probabilmente proprio a causa della scarsa durata della gara, a 2,00 metri si sono ritrovate solo la Shkolina e la Barrett e gara finita a 2,03. Delusione. La Trost avrà, come è noto, mille altre opportunità. Per ora piazza la 6^ finale nella storia del salto in alto azzurro ai mondiali di atletica (3 Di Martino, 2 Bevilacqua e una lei). Non ci riuscì la Simeoni a Helsinki '83. 

100hs femminili - Marzia Caravelli si ferma in semifinale: 13"06 - La Caravelli corre due prove sui propri standard (13"07 e 13"06), anche se probabilmente in batteria, nonostante un tempo di reazione molto alto (0"236), avrebbe avvicinato il 13"00. Che dire? Finale impossibile, ma fino ad un certo punto. Se notate i risultati complessivi, ai mondiali (quasi) tutte le decine di atlete viste saettare durante la stagione sugli ostacoli, si "normalizzano", e la finale poi si raggiunge sul piede del 12"80 (12"78 quest'anno). Cioè sui limiti di Caravelli e Borsi. La difficoltà, evidentemente, non è ottenere il tempo una-tantum, ma saperlo correre un paio di volte, nel giro di poche ore. In semifinale la Caravelli, ormai monumentale per quanto abbia cambiato la specialità in pochi anni, ha palesato quella che sembra la differenza con le altre atlete di spessore internazionale. L'accelerazione. Visivamente sembra che vi sia un pattern d'accelerazione che penalizza l'atleta, che magari nei confronti con altre atlete in Italia non è visibile, ma che al fianco di top-hurdlers si manifesta abbastanza palesemente. Non che si debba partire come la Rollins o la Pearson, che hanno caratteristiche fisiche completamente diverse dalla Caravelli, ma l'idea è quella. Una reattività diversa, non saprei come esporlo meglio. Comunque, era la seconda volta nella storia che un'italiana corresse le semifinali mondiali, dopo Roma '87 e Patrizia Lombardo. Il 13"06 (e il 13"07) rappresentano i due tempi azzurri più veloci ai mondiali. 

4x400 femminile - finale - Italia squalificata - incredibile l'epilogo della 4x400 femminile. Libania Grenot a metri 1 dal traguardo viene urtata dall'atleta Ucraina Pygyda, che ormai sta all'atletica azzurra come Pak Doo Ik della Corea del Nord sta alla nazionale di Edmondo Fabbri. Ebbene, il testimone prende il volo e l'italo-cubana taglia il traguardo priva della necessaria "attestazione testimoniale" che avrebbe dato regolarità alla fatica divisa per quattro. Volenti o nolenti, Libania Grenot diventa il vero personaggio azzurro di questa trasferta. C'è chi non la può sopportare, ma è un fatto che senza Grenot non esisterebbe nemmeno una 4x400 competitiva. Diciamo che l'irritazione di molti nasce sul modo in cui l'indubbia classe venga dispensata, ovvero sperperata. Televisivamente parlando è meglio arrivare sesti con una rimonta d'antologia non concretizzatasi sulla linea del traguardo per un centesimo, che sesti a causa del medesimo maledetto centesimo, rimontati per un rallentamento doloso ai 390 metri. E che dire del "sorpasso" al cambio della nigeriana, non visto? "Fortunatamente" è finita così, per colpa "di nessuno", altrimenti chissà che putiferio. Così, nonostante le sue frazioni siano quelle più veloci, rimane sempre quel retrogusto amaro di ciò che sarebbe potuto essere e non è stato, che colora tutto di colori grigiastri la prestazione. Aspettiamo Grenot insomma. Però, insomma, il valore di Libania è quello di una delle migliori al mondo nei 400, cioè di fatto l'unica atleta italiana che in pista, tra tutte le prove, abbia una certa caratura internazionale. Nel resto siamo davvero all'anno zero. Il 3'27"39 sarebbe stato il quinto tempo italiano di sempre, vanificato comunque da una situazione incolpevole da parte delle protagoniste. L'eliminazione tra l'altro, cancella la prestazione monstre della Bazzoni in prima frazione (51"75 sul 400), quello più che convincente della Milani in seconda (51"6), e comunque di una Spacca volitiva. Non mi spiego comunque l'inserimento della Spacca: tradizione? Affidabilità? La Chigbolu ha corso in batteria "piano" a causa di una situazione contingente, ovvero il trenino creatosi alle spalle degli USA. Però se il criterio di scelta è stato il "tempo" (motivo per il quale evidentemente era stata scelta la Chigbolu), perchè a quel punto non è stata scelta la Bonfanti? Sia Chigbolu che Bonfanti hanno corso due volte sotto il miglior tempo della Spacca, che quest'anno non è mai scesa sotto i 53". Vabbè, scelte del Ct. 

17/08/13

Mosca '13: Day VII - chi piange e chi ride - Donato e la maledizione mondiale

Foto G. Colombo/Fidal
100 hs femminili - Marzia ride, Veronica piange - Si comincia subito con Marzia Caravelli, che dopo un cappuccio e una brioche in partenza (0"232 la sua reazione mattutina allo sparo... ovvero circa 6/7 da una partenza "buona") imprime nella storia un bel 13"07 con 0,5 contro di vento. Partendo "normalmente" avrebbe corso uno dei suoi tempi periodici dell'anno (un 13"00 o 13"01). Non sarebbe cambiato molto, visto che passavano ben in 4 e lei era seconda. Male invece Veronica Borsi, che nonostante un infortunio aveva voluto esserci lo stesso: 13"35, e fuori, quando sarebbe bastato un molto più che abbordabile (per lei) 13"23. Marzia prosegue, e adesso si fa davvero dura: probabilmente nemmeno correndo su tempi da record italiano si potrà andare in finale... certo, partendo "reattivamente" qualcosa dovrebbe venir molto meglio. Marzia è la seconda italiana di sempre ad arrivare ad una sermifinale mondiale: la prima e unica fu Patrizia Lombardo a Roma '87. Si fermarono in batteria sia la Tuzzi (per ben 3 volte: Goteborg '95, Stoccarda '93 e Atene '97), la stessa Caravelli a Daegu '11, e naturalmente la Borsi. Solo 4 atlete italiane in 30 anni di mondiali, e solo due di esse in semifinale. La Caravelli, col suo 13"07, stabilisce anche il miglior tempo azzurro di sempre ad un mondiale (precedente il 13"10 di Carla Tuzzi ad Atene '97).

200 maschili - Demonte fugace apparizione - non ha particolarmente inciso la presente di Enrco Demonte nei 200 maschili. Troppo lontana la condizione di quel 20"45 per poter ambire a correre quanto meno la semifinale che si raggiungeva col minimo B, ovvero 20"60. E' comunque difficile correre così veloce con soli 2 risultati all'attivo sub 21". 

Triplo maschile - dalla Caporetto si salva la vedetta lombarda - che mattinata pazzesca. Daniele Greco che si infortuna ancor prima di entrare in trincea, quando ancora è nelle retrovie in attesa di passare alla prima linea. Clamoroso: una delle poche nostre carte da giocare sul tavolo del consesso internazionale, scartata subito. Per fortuna c'è Fabrizio Donato, no? Macchè, Fabrizio incappa in una giornataccia, di quelle che statisticamente posso accadere (dopo parecchi mesi di astinenza agonistica) e il risultato è quello che può succedere a qualunque atleta che non ha seguito i pattern necessari per rendere il massimo. 16,53, 10 centimetri dalla qualificazione, e l'addio ai sogni di medaglia del bronzo olimpico. Ma che vogliamo? Che sia sempre festa? C'è da dire che nella impareggiabile carriera di Donato, nonostante le 5 partecipazioni ai mondiali, il laziale non è mai riuscito ad arrivare in finale. Così dall'ecatombe di sogni, dalla gragnuola di raffiche di mitra del nemico, esce indenne e a sorpresa la vedetta lombarda, Fabrizio Schembri. 16,83 e qualificazione diretta. Uno dei momenti più elevati della sua carriera, nella quale ha avuto la "sfortuna" di coabitare con due mostri sacri come Donato e Greco. Fino al suo salto di 16,83, in finale ad un mondiale c'erano andati solo Dario Badinelli a Roma '87 (11°), e Paolo Camossi due volte, a Siviglia '99 (dove fu 5° con 17,29) e ad Edmonton '01 (11°). 15 le presenze azzurre, e per Schembri si tratta del terzo mondiale. Greco partecipò alla sfortunata spedizione di Berlino, dove tutti e tre gli azzurri uscirono malamente. Nelle 15 partecipazioni mondiali, solo Camossi è riuscito a superare i 17 metri (il già ricordato 17,29). 

4x400 femminile - finalmente una sorpresa positiva - nel bollettino di guerra, finalmente arrivano le notizie positive. Dopo Schembri, che lenisce un minimo le ferite azzurre triplistiche, arriva una bella prova di coraggio della 4x400 femminile, che si guadagna una storica finale della 4x400. Era dal 1999 (Siviglia) che non si correva una finale con il quartetto del miglio femminile. Nel '97 ad Atene si era invece verificata la prima finale italiana della 4x400. Gli split presi elettricamente dicono Bazzoni 52"46, Milani 52"60, Chigbolu 53"68 e Grenot 50"88 (tempi presi sulla linea del traguardo con apposito software di cronometraggio sportivo). C'è da dire che il cambio tra Chigbolu e Grenot è avvenuto 5 metri prima del traguardo, giusto per la precisione. E ora? Ora la finale sarà impresa ardua: si parte dalla 6^ posizione, e il miglior risultato ad un mondiale sono stati due ottavi posti... 

Considerazione dell'ottava giornata - Ma che belli questi mondiali... peccato che nelle gare all'interno dello stadio l'azzurro non vada proprio di moda.

15/08/13

Mosca '13: Day V e VI - il mistero della 4x400

Foto Fidal/G. Colombo
200 femminili - Gloria Hooper a 5 centesimi dalla semifinale... oppure 3 - Gloria Hooper sembra sicuramente più in palla rispetto agli italiani, dove fu fulminata dalla Caravelli. Ottimo il suo 23"10, che pecca sempre di un accelerazione ancora non all'altezza delle migliori al mondo (altrimenti, logicamente, sarebbe tra le migliori al mondo), e che pare più costruita muscolarmente rispetto alla scorsa stagione. Alla fine 3 centesimi dal terzo posto in batteria, che le avrebbe garantito il passaggio diretto. E 5 centesimi dall'ultimo tempo che invece le avrebbe consentito l'accesso con i tempi ripescati. Rabbia che si accentua se si considerano le 4 atlete che hanno accesso alle semifinali con tempi superiori al suo. Amen. Io me l'aspettavo già quest'anno un paio di decimi sotto i 23", ma chiaramente l'atletica non è una scienza perfetta. Era la 4^ italiana ad essere schierata ai mondiali sui 200, con 6 presenze-gara: 2 Marisa Masullo e Manuela Levorato, una a testa Danielle Perpoli e appunto la Hooper. Sia la Levorato (a Siviglia '99) che la Masullo (Helsinki '83) giunsero in semifinale (quando però i turni erano 4 e non 3 come questa edizione). La Levorato si corse anche la semifinale di Edmonton '01, mentre la Masullo superò le batteria di Tokyo '91, giungendo ai quarti. Le uniche uscite al primo turno sono così la Perpoli ad Atene '97, e la Hooper, purtroppo, in questa edizione. C'è da dire che il 23"10 della Hooper è il miglior tempo corso da un'italiana dopo la meravigliosa cavalcata della Levorato a Siviglia, che inanellò un 22"91 (0,5) in batteria, un pazzesco 22"60 (record italiano, con 1,1 di vento) nei quarti e un 22"70 (1,8) in semifinale (3° tempo italiano di sempre). 

800 femminili - Marta Milani: e se adesso tornasse ai 400? - Marta Milani passa per essere una bergamasca tutta di un pezzo. Però, e non ne ho mai fatto mistero, il passaggio agli 800 l'ho sempre visto con sospetto, nel senso che, benchè senta dire che lei sia entusiasta della specialità, ho come l'impressione che il suo ambiente naturale erano e rimangono i 400. Sui 400 appariva un drago, sugli 800 sembra un pulcino. Oggi possiamo dire che è andata pure bene (2'02"41), che rappresenta la sua 5^ prestazione di sempre, ma presumo che il 27° rango totale su 32 non sia il valore del suo spessore internazionale. Soprattutto, da profano della specialità, pare che anche se dovesse trovare la gara della vita da sub-2', sarà sempre una gara votata all'estrema regolarità, ovvero non certo la tipologia di gara da grandi manifestazioni sugli 800, dove le variabili e i cambi sono continui (Rudisha a parte...). Facevo questa riflessione nel momento in cui la sua batteria ha cambiato intensità e lei purtroppo non ha potuto seguire le proprie avversarie. La sua gara sembrano più i 400. Bisognerebbe capire qual'è il sogno... una finale mondiale? Una finale olimpica? Ci sono più spazi sui 400 o sugli 800? Estremamente difficile in entrambi i casi, anche se, probabilmente, a tavolino, gli 800 sembrano un sogno più ravvicinato. La mia impressione? Che negli 800 non infonde cattiveria (agonistica) come invece trasuda quando corre i 400. Sembra perennemente in difesa, mentre nei 400 è donna d'attacco. Questa la mia semplice riflessione da esterno. E così l'unica finalista rimane Elisa Cusma, che giunse all'atto finale di Berlino '09 (ed in semifinale a Osaka '07 ma con 1'58"63). E' anche l'unica atleta italiana ad aver superato un turno ai mondiali sugli 800. 

Alto femminile - Alessia Trost, la formalità prima della tempesta - Che dire? Fin troppo facile questa qualificazione: 1,92 incalzamagliata, e si ritorna in albergo per il contest, quello che ci potrà dire se Alessia dovrà aspettare per iniziare a volare, o se invece, è giunta finalmente l'ora di dimostrare che l'anticamera è finita, e al banchetto si abbufferà anche lei. Quindi non c'è molto da dire fino al giorno della finale. Era la 5^ azzurra a presentarsi ai mondiali in questa specialità dove ad Osaka Antonietta Di Martino si inerpicò sul K2 dell'argento, dopo una scalata clamorosa. 9 le partecipazioni azzurre (con le citate 5 atlete), con 3 partecipazioni e 2 finali per Antonella Bevilacqua, 3 partecipazioni e 3 finali per la Di Martino, e una partecipazione a testa per Sara Simeoni, Alessandra Bonfiglioli e Alessia Trost (4 atlete con il nome che inizia con "A"). Clamorosamente la Simeoni a Helsinki '83 non superò lo scoglio delle qualificazioni (saltò 1,84), così come la Bonfiglioli a Roma '87. Su 9 partecipazioni 6 finali, il 66%. Non male. Miglior risultato di un'italiana, il 2,03 di Antonietta Di Martino ad Osaka '07, poi il suo 1,99 che a Berlino '09 le regalò il 4° posto. La Bevilacqua giunse invece 6^ e 7^ alle due finali cui partecipò.

4x400 maschile - 7+ alla squadra, 3- al selezionatore - che poi la quadriga abbia fatto una buona prestazione è indubbio, visto il tempo finale (3'03"88), che la colloca al 36° rango di sempre nelle liste all-time italiane. Ma più che altro, a parte la posizione nella storia, è uno degli sporadici tentativi di uscire dalla glassa della specialità che l'ha irretita negli ultimi 15 anni. Si pensi che dal 2000 in poi, si ricorda solo un 3'01"96 del '05 a Firenze, un 3'03"66 ad Annecy nel '08, il 3'03"79 della Nazionale Promesse a Kaunas '09. Negli ultimi 13 anni, è il 4° tempo vergato nella storia. Però... però, cavolo, chi ha messo giù la squadra? Proprio in mattinata mi ero espresso con molti dubbi sulla disposizione della staffetta che vedeva Lorenzi in prima e Galvan in ultima. Perchè? Perchè non siamo gli USA, e se la gara si allontana dalle nostre possibilità, si allontano anche le opportunità di far bene. Cambiare dietro, o molto dietro, "carica" la staffetta (come in effetti puntualmente è successo) di variabili come il dover cambiare (com'è successo e come avevo previsto e scritto) in sesta corsia, con atleti in deficit organico costretti a spostarsi per la pista a cercare i propri compagni. E cambiare dietro vuol dire anche dover fare slalom tra staffettisti delle altre nazionali che avevano già cambiato; vuol dire cambiare nella confusione generale; vuol dire non accelerare come si dovrebbe per almeno 20/25 metri, prima di uscire dalla zona di campi elettromagnetici del Triangolo delle Bermuda. E poi vuol dire essersi portati in giro per la gara quel gap, e aver perso il treno di nazionali che poi si sono giocate il 3° posto. Mettendo un Galvan tra prima e seconda frazione (cioè quello più forte del lotto) di sicuro non si sarebbe corso in 3'00" (...record italiano), ma un 3'02" sarebbe stato alla portata. L'occasione era quella giusta. Bocciato colui che ha deciso le frazioni. 

50 km di marcia (ieri) - azzurri rincalzanti - La marcia maschile azzurra è attualmente in fase di deframmentazione come un disco rigido, per eliminare tutti i salti del file system. Ed è lungo il processo: bisogna aspettare tutta la notte... Marco De Luca chiude al 15° con 3h48'; Nkouloukidi 24° con 3h54' e Caporaso 42° con 4h05'. Prestazioni che non possono essere nel complesso essere considerate come sufficienti, considerato il pregresso. I dati sono inclementi: ci sono 24 risultati azzurri conclamati nella storia dei mondiali (e 10 tra squalifiche e ritiri). Totale 35 presenze-gara. Dei 24 risultati, in ben 17 circostanze un atleta azzurro è giunto in una posizione migliore del 15° di De Luca. 20 del 24° di Nkouloukidi, e nessuno peggio di Caporaso. Il peggior piazzamento era infatti stato un 28° rango. Questo naturalmente riportano le statistiche, non dico nulla di non noto. La morale è che la marcia italiana maschile sta molto male, ed è necessario una riorganizzazione strutturale. 

14/08/13

Mosca '13: l'insostenibile pausa del 5° giorno - divagazioni pericolose sulla Fidal

Foto G. Colombo/Fidal
Volevo provare a dare un giudizio sulla nazionale a metà mondiale, poi ho degenerato come al solito. Allora, i detrattori diranno che ci sono state secchiate di risultati di molti atleti di molto inferiori ai loro standard. Altri diranno che di contro ci sono risultati soddisfacenti, nell'alveo del "nuovo Corso". Dopo attenta riflessione, sono giunto a questa conclusione: la Gestione Giomi&C. non ha assolutamente sovvertito il passato. Questi sono i risultati, con i soliti alti e bassi, che vale l'atletica italiana da ormai 15 anni. Purtroppo molti di noi sono ancora abbagliati dell'eldorado dell'atletica azzurra degli anni '80/'90, quella che per intenderci Sandro Donati ci ha chiuso in un sepolcro. Al netto dei Libelli di Savonar-donati, diciamo che l'atletica italiana negli ultimi 100 anni è sempre stata  sempre ed inequivocabilmente quella che vediamo passarci sotto gli occhi oggi anno. Ogni tanto spunta il campione e arriva la medaglietta. Altre volte siam fortunati e ne arrivano due. Poi ci si attacca come cozze al campione del momento, mentre gli altri passano, nel fiume strabordante del panta rei; qualcuno mette fuori la testolina nel consesso internazionale per un paio stagioni, e poi ritorna inevitabilmente nella propria dimensione nazionale, dove si può fare gli sboroni e tirarsela autoctonamente. E' sempre stata così e non cambierà nei prossimi anni. 

Il mandato di Giormi non è che ha fatto i miracoli, parliamoci chiaro. Ha semplicemente osservato le proteste di massa contro Arese, ne ha valutato gli aspetti, e ne ha tratto le proprie considerazioni. Quindi ha prodotto una forma di navigazione a vista. Al momento (finalmente) il cavallo di battaglia sono le partecipazioni oceaniche. E chi potrebbe criticare una cosa del genere? Del resto lo stiamo dicendo sulla rete da secoli, si sono consumati milioni di kilobyte di post (fino agli insulti... durante il conclave pre Olimpiadi di Londra: purtroppo si è esagerato in qualche uscita, ma la rabbia era tanta). Che poi Vittori (da qualche parte, non so dove l'ho letto) dice in materia una cosa logica, nel criticare il nuovo sospettissimo e assolutamente innaturale "ringraziamento" alla Federazione ai microfoni della Caporale, che è una novità mai vista (voglio dire: metà intervista già se ne va in ringraziamenti al Gruppo Sportivo di turno che permette di stare a casa ad allenarsi, all'allenatore che li allena, alla mamma, alla fidanzata, al moroso, alla moglie e alle amanti, e ora 'sta trovata del Saluto alla Federazione? Indiziario...). Ebbene Vittori sostiene (e sono d'accordo con lui in questa circostanza) che le convocazioni sono assolutamente dovute, ovvero un diritto acquisito dagli atleti, una norma statutaria, non certo un regalo della Federazione! Perchè dunque questa necessità di inserire questa nuova voce nella lista dei ringraziamenti (che se poi si va male, verrebbe da dire che il "regalo" non è stato meritato, no?). 

Bè, l'immagine è tutto, e non prevede offuscamenti esterni. A mio modestissimo modo di vedere, si sta assistendo (questo è ciò che percepisco... voi eventualmente smentitemi) ad una sorta di "deresponsabilizzazione tecnica guidata", ovvero tutti gli atleti di una certa caratura vengono semplicemente resi autonomi nelle scelte tecniche (non so con che strumenti di supporto), e con la libertà di gestirsi, limitando a "0" gli interventi tecnici dall'alto. Questo naturalmente da una parte è una gran cosa (tutti i tecnici degli atleti finalmente felici di non doversi vedere "suggerire" l'arte da chi l'arte avrebbe dovuta impararla... almeno così verrà pensata), dall'altra riduce la Federazione ad una gigantesca organizzazione manageriale, che svende gli assets e il knowhow (come le conoscenze tecniche) per massimizzare la soddisfazione dei prodotti (gli atleti). Ovvero la Federazione rinuncia ad una delle sue prerogative statuarie (la diffusione del knowhow ai tesserati) per trasformarsi in una società di Servizi a supporto degli atleti. Piace, non piace, non è questo il problema. Politica che sicuramente può avere risultati nel breve termine, ma che, come secondo me si sta verificando, nel lungo periodo renderà ogni tecnico come una barchetta in mezza al mare, un Principato a sè stante, impermeabile alle innovazioni di natura tecnica, e arrogante nella sua torre di convinzioni.

Purtroppo oggi chi si isola, muore. Le conoscenze viaggiano istantaneamente da una parte all'altra del mondo, e questo modo tutto italiano di ritenersi depositari delle nozioni cardine dell'atletica leggera, ci ha fatto perdere almeno 20 anni di evoluzione tecnica. I tecnici italiani sono volontari quasi mai pagati, impossibilitati ad attingere a strumenti "esterofili", che si devono trovare ritagli di tempo per inventarsi le programmazioni: l'unico momento di scambio rimangono gli incontri con gli altri tecnici, che in definitiva sono a loro omologhi. Questi briefing tra tecnici italiani sono un paradosso: se le conoscenze totali son sempre le stesse, e nel frattempo non ci sono stati studi o indagini, o qualsivoglia forma di apprendimento dall'esterno del "gruppo", il totale del knowhow sarà esattamente pari a quello di prima. Cioè si mescola il tutto, ma la somma degli addendi, anche invertendoli, darà sempre il medesimo risultato. Serve interfacciarsi con l'estero, e questa "nuova" strada deresponsabilizzante (così chi sbaglia non potrà trovare scuse e indicare la Fidal... è solo colpa sua) non faciliterà di certo forme di professionalizzazione.

Vabbè, sono partito da una cosa e sono arrivato ad un'altra. Turbe psichiche. 

13/08/13

Mosca '13: Day IV - Se i salti steccano, è la fine - la miglior Rigaudo mondiale

Foto Fidal/G. Colombo
20 km di marcia femminile - diverse luci in fondo al tunnel - una gara con tante luci e poche ombre finalmente, dopo un paio di giornate passate in processione come ai funerali del sud a piangere dalla Caporale ma ringraziando la Santa Federazione (sospette queste invocazioni continue...). Intanto Elisa Rigaudo arriva 5^ (1h28'41") a 31" dal podio, nella gara dominata dalle Russe (quindi su due gare di marica, due ori russi). Eleonora Giorgi 10^ in 1h30'01" e quindi Antonella Palmisano con 1h30'50", che la pone al 13° posto. Davvero una boccata d'ossigeno dopo la 20 maschile, che ha segnato uno dei momenti peggiori della marcia italiana, e non certo per la fatica che ci hanno messo. C'è un gap tecnico notevole col resto del mondo, e lo si sta pagando. E non so perchè, in quanto ritengo che la popolazione attiva dedita alla marcia in Italia sia più o meno simile a quella degli altri Paesi, quindi il problema non è di materia prima, ma di "plasmazione" della stessa. La marcia femminile italiana ai mondiali ha naturalmente una sua tradizione: un oro con Annarita Sidoti ad Atene '97 (ma erano i 10 km di marcia), due argenti (con Perrone e Salvador rispettivamente a Goteborg '93 e Stoccarda '93, sempre sui 10 km), e il bronzo di Elisabetta Perrone a Edmonton '01, sui 20 km. Sono quindi 12 anni in cui non si vince più una medaglia nella marcia azzurra ai mondiali. Per Rigaudo il suo secondo miglior piazzamento ad un mondiale dopo Daegu '11 (4^), visto che a Helsinki '05 giunse 7^, 9^ a Berlino '09, 10^ a Parigi '03, e ritirata ad Osaka '07. La Rigaudo ha partecipato a edizioni consecutive dei mondiali, come già successo solo ad Elisabetta Perrone, che partecipò (da Stoccarda '93 a Parigi '03) e ad Annarita Sidoti, che invece marciò consecutivamente biannualmente dall'edizione del '91 a quella del '01. La Rigaudo ha stabilito anche il miglior tempo per un'italiana ad un mondiale sui 20 km (precedente della Perrone di Edmonton), mentre la Giorgi il 6° e la Palmisano l'8° su un campione di 19 presenze-gara sulla 20 km. Il totalone di partecipazioni è fissato ora a 32 (19 nella 20 km e 13 nella 10 km). Naturalmente per la Rigaudo il career high rimane il bronzo olimpico di Pechino '08. Per la Giorgi 4 posizione in meno rispetto all'Olimpiade... piano, piano... Mentre per la Palmisano esordio mondiale da incorniciare. Bene così.

Alto maschile - Chesani fuori a 2,26: un'altra tappa saltata - la gara sembra di Bondarenko a prescindere. Entra a 2,22 e poi passa direttamente a 2,29. Due salti e a Chattanooga, Tennesee, buttano la pasta. Superiore. Per parte italica, invece, si è mantenuta fede alla centenaria tradizione che vuole gli atleti azzurri (quasi) mai protagonisti nei grandi eventi internazionali nel salto in alto maschile. E questo nonostante statisticamente ci starebbe che atleti da 2,30 ogni tanto facciano coincidere il loro giorno di grazia con la gara più importante della loro vita. Una volta ogni 100 anni no? No, perchè è davvero singolare aver avuto uno stuolo di 2,30isti (almeno... negli ultimi 20 anni) e non aver avuto il primus inter pares capace dell'impresa. Sarebbe bastato qualche medaglino in più. Giusto per intenderci, visto che i numeri parlano più di mille parole: le uniche due medaglie italiane nel salto in alto risultano il bronzo di Erminio Azzaro agli Europei di Atene '69 e quello di Massimo Di Giorgio agli Euroindoor di Budapest '83 (l'ultima volta avevo sbagliato questo dato... non mi ricordo se è corretto). Poi più nulla, in 120 anni di storia dell'atletica moderna. Ai mondiali il miglior piazzamento risulta quello di Nicola Ciotti, ad Helsinki '05 con 2,29, mentre all'olimpiade due sesti posti, con il telecronista Mediaset Giacomo Crosa a Città del Messico '68 e Rodolfo Bergamo a Montreal '76. Archeologia del salto in alto. Rimanendo in tema di telecronsti, il papà di Rino Tommasi, Angiolo, arrivò 9° all'Olimpiade di Los Angeles del '32... ma basta, che si rischia di diventare nostalgici. Comunque è chiaro il panorama. C'è da dire che solo due atleti sono riusciti a saltare 2,30 ad una manifestazione internazionale: Fabrizio Borellini agli Euroindoor di Budapest '88 (giunse 4°), e Andrea Bettinelli agli Euroindoor di Madrid '05. Volenti o nolenti le medaglie (da 20 anni) si vincono da 2,32-2,33 in su. Servirebbe the perfect game il giorno giusto, sulla pedana giusta. E Chesani? Chesani era stato defraudato dall'Olimpiade di Londra. Chesani è sicuramente l'atleta italiano più solido delle ultime stagioni nella specialità, ma ancora a livello internazionale deve dimostrare la sua classe. Così gli italiani in finale ad un mondiale, rimangono in 3: i due gemelli Ciotti e Luca Toso, ad Helsinki '83. Chesani era alla sua 5^ manifestazione internazionale disputata: un campionato mondiale, due campionati europei, un campionato mondiale indoor, e uno europeo indoor. Comunque sfortunato il suo 2013: sia agli Euroindoor di Goteborg che ai mondiali, stessa misura di chi invece la finale l'ha disputata: qualche errorino in più gli ha negato le porte del paradiso.

Triplo Femminile - La Mantia a 8 centimetri dalla finale - ...e se le soddisfazione non arrivano dai salti, c'è da piangere. Pensate però che strano... la campionessa europea indoor di Parigi '11, ha partecipato a quattro edizioni di mondiali (Parigi '03, Helsinki '05, Daegu '11 e Mosca '13), oltre a due edizioni di Olimpiade (Atene '04 e Lonfra '12) e... non è mai andata in finale. Cioè, una campionessa che a livello continentale ha anche dominato (non ultimo il bronzo agli euroindoor di qualche mese fa) ma che di fronte al mondo non è mai riuscita ad esprimere il suo potenziale. Come mai? verrebbe da chiedersi. Non lo so, mi vien da rispondere. Che Mosca non le porti bene, lo testimonia il fatto che il suo peggior risultato ad un campionato internazionale assoluto, risulta un 13,60 saltato ai mondiali indoor di... Mosca '06. L'unica medaglia nella storia azzurra ai mondiali, rimane il bronzo di Magdelin Martinez a Parigi '03, dieci anni fa (con il mirabolante 14,90). Si contano 7 finaliste ai mondiali: 4 la Martinez, 2 Barbara Lah e 1 Antonella Capriotti... fa senso non vedere negli honours la La Mantia, no? 

12/08/13

Mosca '13: Day III - la tonnara delle siepi azzurre - Vizzoni tiene su la baracca

Foto Fidal/G. Colombo
3000 siepi uomini - chiamiamolo disastro, o Caporetto, o tonnara. Un assalto in cui i nostri sono stati falciati dalle mitraglie nemiche appena usciti dalle trincee. 2 squalificati e uno fuori malamente. Ma anche in costanza di tempi, gli altri due non sarebbero passati. L'unico al traguardo con un tempo certificato è stato infatti Patrick Nasti: 8'36"42. Jamel Chatbi (all'esordio in maglia azzurra) e Yuri Floriani invece risultano squalificati per irregolarità sugli ostacoli. Clamoroso al Cibali ci sarebbe da dire. La qualificazione era fissata a 8'25" circa, ovvero un tempo vicino a quello corso dagli italiani durante il corso dell'anno. Troppo difficile si vede. Sicuramente la peggior esibizione azzurra: a Helsinki '83 un finalista (Scartezzini); Roma '87 arrivarono in finale addirittura in 3 (Panetta che vinse, Lambruschini e Boffi). A Tokyo '91 i finalisti furono due (Lambruschini e Carosi). A Stoccarda '93 due finalisti (Lambruschini che arrivò al bronzo e Carosi); A Gotebord '95 ancora Lambruschini e Carosi (5°). Ad Atene '97, su 3 atleti, solo Carosi raggiunse la finale (Lambruschini si fermò in semifinale e Maffei uscì in batteria); A Siviglia '99 Maffei raggiunse la finale. Dal 1999 ad oggi il deserto, col solo Iannelli presentato a Parigi '03. Prima del 2000 lo score diceva 12 su 14 atleti azzurri in finale (un incredibile 85% di "finalizzazioni"). Dopo il 2000, 0 su 4, per uno 0% che parla da solo. Su 18 partecipazioni-gara di italiani ai mondiali sulle siepi, 3 atleti non sono finiti a referto, e purtroppo dopo il citato ritiro di Lambruschini ad Atene, a Mosca si fa il pieno con 2 squalifiche, che è quasi una novità in un 3000 siepi. Ma... dura lex, sed lex. Insomma, sarà stato un caso? Di sicuro non è stato bello vedere 3 italiani tra il fondo-classifica, e l'inizio degli atleti "DSQ" e "DNF". Male, male. 

Disco maschile - Faloci nel solco della tradizione dei lanci italiani: peggior prestazione nella gara più importante - Ora c'è rimasto solo Vizzoni nel ruolo di eccezione che conferma la regola, dopo che anche Chiara Rosa si è voluta omogenizzare con la truppa dei lanciatori italiani. Io l'articolo dedicato l'avevo scritto: non è possibile che tutti i lanciatori italiani (Vizzoni escluso) arrivino all'evento clou e stecchino sistematicamente la gara, ottenendo le loro peggiori prestazioni dell'anno. Faloci era (è) uomo quest'anno da 62 facile... 5 metri sotto quel signo non si spiegano, come non si spiegano tutte le defaillance degli altri lanciatori. Parola d'ordine: Taper, questo sconosciuto. Il periodo di approccio alle gare che viene segato con maniacalità quasi giapponese. Nemmeno volendo si riuscirebbe ad ottenere questi risultati: è come giocare al Totocalcio e totalizzare "0", che, per chi non lo sapesse, è difficile quanto ottenere "13". Solo che con 13 ti porti a casa il malloppo, con "0" ti devi fare un esame di coscienza sulla tua conoscenza del funambolico giuoco del calcio (vade retro satana!). Ora, Faloci lancia 57,54, quando in stagione aveva oltrepassato il "misura" per la finale 6 volte. 10 volte aveva lanciato sopra i 60 metri. Su 15 gare, non era mai sceso sotto i 58 metri... ai mondiali sì. Posto che Faloci ai mondiali ha dato il 110%, perchè ha lanciato così? Taper. Taper e ancora Taper. L'unico finalista azzurro ai mondiali così rimane il compianto Marco Martino, che riuscì nell'impresa a Roma '87. 1 su 9 partecipazioni italiane. 

400 maschili - Galvan e la nuova dimensione "europea" - Era francamente impossibile ambire ad una finale mondiale (44"95 il tempo dell'ottavo). ovvero una cosa che in Italia non si è mai vista tra Mondiali ed Olimpiadi, quindi era d'obbligo fare una bella figura. Missione compiuta, visto che Matteo Galvan si è piazzato 5° nella sua semifinale con 45"69, correndo in due volte nella stessa manifestazione sotto i 46", impresa riuscita anche a Licciardello in passato (a Pechino 2008: 45"25 in batteria e 45"64 in semifinale) e Alessandro Attene a Sydney 2000 (45"35 nei quarti e 45"79 in batteria). In realtà ci fu che fece addirittura meglio, cioè Ashraf Saber che agli Europei di Budapest '98 corse addirittura 3 volte sotto i 46" (45"64 in batteria, 45"78 in semifinale e 45"67 in finale, sesto) e Andrea Barberi a Goteborg '06: 45"81, 45"30, 45"70. Intanto Galvan scala le classifica del 400simo italiano. Nella media dei primi 10 risultati scende a 45"902, mentre i 400 sub 46" passano a 6. Galvan ha anche corso i 2 400 più veloci di un italiano ai mondiali: il precedente "primato" era il 45"70 di Andrea Barberi ad Helsinki '05. 16° il suo rango finale... 74 centesimi da un sogno: si può fare?

400hs femminili - Rockwell ferma a Milano - senza far polemica alcuna, che non c'è bisogno, si registra il 56"53 di Jennifer Rockwell nelle batterie dei 400hs. Le semifinali non erano impossibili, visto che "serviva" un 55"96. Il tempo se non altro dimostra che la condizione di Milano era quella attuale, e che la doppia periodizzazione non è riuscita al meglio. Comunque, per lei esordio ai mondiali, e 19° posto: purtroppo erano due le semifinali, quindi spazio solo a 16 atlete. Nella storia italiana ai mondiali sui 400hs, su 11 presenze-gara, si contano 6 semifinali (3 Niederstatter, 2 Trojer e 1 Ceccarelli), e nessuna finalista. Il tempo più veloce corso da un'italiana ai mondiali è stato il 55"10 di Monika Niederstatter a Siviglia '99 in batteria. 6 sono stati i tempi sotto i 56" (3 sempre la Niederstatter, 2 la Trojer e 1 la Ceccarelli).

Martello maschile - la barcarola dei lanci la tiene su Vizzoni - diamo solo questi numeri: l'ultimo oro italiano vinto in una grande manifestazione nei 4 lanci, fu quello di Alessandro Andrei a Los Angeles '84. L'ultima medaglia azzurra tra olimpiadi e mondiali è stata invece vinta 13 anni fa a Sydney 2000 da... Nicola Vizzoni. Vizzoni, ancora lui. Negli ultimi 30 anni, contando anche gli Europei, 3 sono le medaglie nei 4 lanci, tra uomini e donne: Vizzoni a Sydney, Vizzoni a Barcellona '10, e Chiara Rosa, bronzo a Helsinki '12. Cioè, senza Vizzoni (direi anche Chiara Rosa e Assunta Legnante) i lanci italiani sarebbero davvero residuali rispetto al resto dell'atletica. Ma Vizzoni c'è, e per fortuna a 41 anni tiene a galla la barcarola, che però fa acqua da tutte le parti. Il peso maschile è praticamente annullato, il giavellotto non produce talenti da 80 metri da 30 anni, il disco ha un potenziale finalista, ma si è perso in qualificazione. Il martello è l'unica specialità che ha un pò di spessore, ma una volta che Vizzoni deciderà di appendere il martello al chiodo (un paradosso... eheheh), che fine facciamo? Al femminile è forse peggio: ma questo lo vedremo un'altra volta. Per Vizzoni si tratta della sua 11^ finale tra Olimpiadi, Mondiali e Europei, con 2 argenti (Olimpiade '00 e Europeo '12). 7° ai mondiali lo fu anche a Siviglia nel 1999, 14 anni fa, ovvero due generazioni di atleti fa. Il suo 77,61 si colloca al 5° posto nelle prestazioni da finale. Una carriera super.