20/07/13

Quando le jene guardano come vengono impegnati gli atleti "statali"

Mi è ritornato a galla questo post che non ho mai pubblicato. Ormai diverso tempo fa, alle Iene, su Italia 1, è andata in onda una puntata particolarmente insidiosa che avrebbe dovuto far tremare non pochi statali, e non solo dell'Astrea Calcio, formazione di Serie D appartenente di fatto alla Polizia Penitenziaria o meglio detto, al Ministero di Grazia e Gisutizia. Già, quel servizio (qui il video completo) ha di fatto aperto uno squarcio su una situazione dello sport italiano che era meglio tacere o far finta di non vedere, per il bene di chi volenti o nolenti, ne vive. Vedete, finchè il sistema-Italia andava bene (o meglio, non suscitava così tante preoccupazioni), tutto poteva essere accettato. Ed era accettato o semplicemente ce se ne infischiava. Oggi che tutti gli italiani (quasi tutti...) sono costretti a fare grossi sacrifici per le più semplici attività quotidiane, pensare che i soldi pubblici possano finire per essere utilizzati in una campagna acquisiti di una squadra di calcio di Serie D, o nei viaggi della squadra, o nel vitto e nell'alloggio delle trasferte, può fare incazzare qualcuno.
E non poco.
Ma il servizio della Iena Calabrese ha poi toccato diversi punti che sono comuni a tutti gli sport "statali", partendo proprio dal "concorso pubblico" finalizzato ad assumere lo sportivo di turno. Non nascondiamoci dietro ad un dito: è chiaro come i concorsi siano "pilotati", al fine di tesserare questo e quell'altro atleta. Da qui il peso (leggero) di una laurea a 2 punti, e l'aver militato in una squadra di Serie A 20 punti, o 25 punti attribuiti se si è giocato in Nazionale. Come dire... servirebbero una decina di lauree per poter aspirare a vincere un concorso pubblico contro un calciatore che ha militato nella massima serie nazionale di calcio. Non solo fortunati questi calciatori, ma anche agevolati nei concorsi pubblici, sembrerebbe.
Ma qui forse si cade in un non-senso da parte della Iena: ai candidati che aspiravano a giocare in una squadra di calcio, si chiede di giocare al "giuoco" del calcio, non di individuare le faglie sotto terra, per le quali magari servirebbe un geologo, con relativa laurea. Finalmente un concorso che rintraccia il merito, direi. Serve un calciatore... Purtroppo, questo è il problema, non il "concorso pubblico".

Anche nell'atletica (che credete?) avviene così. Ma la cosa ha un senso, non bisogna essere qualunquisti su questo punto: alle varie squadre di atletica tra un velocista e un laureato in sociologia, servirà più il primo rispetto al secondo. Il problema, se volete, è alla radice, cioè la necessità o l'opportunità di avere gruppi sportivi militari. Problema annoso. Anzi, secolare. Molte società civili lottano da anni su questo aspetto, visto che dopo aver scovato il campioncino, se lo sono visti depredare a costo zero dai gruppi sportivi militari. Quindi un investimento di risorse (soprattutto umane, ma anche di tempo dedicato dai propri allenatori, di piccoli investimenti...) che non frutta nulla: da qui tutte quelle norme-"aiutino" per rendere un minimo di giustizia alla società d'origine, come per esempio indicare sotto la nuova società militare, quella di origine, o cancellare dai campionati di società le società militari, che però hanno tesserati tutti i migliori atleti azzurri, rendendo così di fatto i c.d.s. una pantomima colossale: aiuti che hanno sortito l'effetto contrario, perchè l'atletica italiana si è vieppiù svilita di contenuti.

Se nel calcio non se conosce proprio la ragione di tenere in vita una squadra pagata dal contribuente per militare nelle serie infime del calcio professionistico (nessuno dei giocatori dell'Astrea diventerà mai, a meno di miracoli, un top player internazionale, dopo  la folgorante carriera che l'ha visto magari aver militato nelle giovanili dell'Arezzo, nella Cisco Roma, e difensore dell'Albano Laziale a 22 anni) negli altri sport, senza i gruppi militari, avremmo un decimo di medaglie italiane a livello internazionale.

Senza l'opportunità dei gruppi sportivi militari, è infatti vero che non esisterebbero sport d'elite, come la scherma che è la vera e propria riserva di medaglie per noi italici. Sarebbe ridimensionata l'elite del nuoto (anche se alcune società civili hanno più visibilità e sponsor rispetto a quelle militari); l'atletica invece sarebbe rasa inopinatamente al suolo. Ci troveremmo davvero all'anno zero. Da questa semplice considerazione, quella annessa e connessa, ovvero: non si può pensare (oggi) ad un'atletica italiana senza società militari.

Il discorso l'ho già sviluppato tante volte, e non voglio dilungarmi, visto che il mio intento era solo quello di rilevare questa stortura. Però... però, ecco, non posso non pensare che lo sport di Stato su vasta scala come succede nell'atletica italiana, abbia ucciso ogni forma, anche embrionale, di professionismo. Non dico eresie se dico che chi più è pagato, più ha possibilità di emergere. Lo stipendio statale livella verso il basso la qualità media degli atleti. Chi punta a fare il minimo per gli italiani individuali, non può percepire lo stesso "emolumento" di chi invece lotta per una medaglia olimpica: va contro il "merito" che in questo mondo è esclusivamente di natura sportiva.

E' come se si preferisse un'atletica sicura a basso investimento (ma fornito dallo Stato), ad un'atletica in cui i migliori sarebbero davvero i migliori, ovvero pagati per il loro valore sportivo ed extra-sportivo (pubblicitario). Così, di fatto, si esalta la massa di atleti "mediocri", e si sacrifica il vertice di atleti d'elite. Con i 1400/1500 euro di stipendio statale, diciamocelo, non si può investire su sè stessi, cioè ricorrendo a terapisti, nutrizionisti, osteopati, acquistando integratori, investendo nei viaggi all'estero, e perchè no, pagando il proprio allenatore... si vive esattamente come prima di entrare nel gruppo sportivo. Cambia solo che dopo l'ingresso si ha più tempo a disposizione per allenarsi.

Aumenta sicuramente il gap con gli astri "sfortunati" competitors, ma il progetto tecnico rimane quasi sempre lo stesso (anzi, l'assenza di una guida a sua volta professionale, determina dei burn out negli atleti neo-assunti, che si sottopongono a incrementi inumani di allenamenti) e gli aspetti in più curati rispetto al passato sono trascurabili. Di fatto si passa non ad una forma di semiprofessionismo, ma ad una specie di super-dilettantismo. Il gap dovrebbe poi colmarlo la Federazione, così com'è strutturata l'atletica in Italia, costruendo un'organizzazione di supporto agli atleti d'elitè. Ma si sa che il primo punto vulnerabile sta nel fatto che la Fidal ha una popolazione di atleti potenzialmente ingestibile, e soprattutto soggetta a continue fluttuazioni circa gli "aventi diritto". Che poi è il motivo per il quale molti talenti si sentono abbandonati alla prima difficoltà... basta di fatto andar forte in una prova che si entra nell'organizzazione. Ma basta anche il primo contrattempo, per uscirvi. E' come una conduttura d'acqua che continua a perdere... invece di tappare i buchi (cullando i talenti anche di fronte alle traversie della vita), continua a macinarli e a dimenticarli.

Lancio una provocazione: dei 19 milioni di euro di budget annuo della Fidal, sarebbe decisamente più produttivo al fine di avere atleti dalla visibilità internazionale (col conseguente ritorno, magari anche pubblicitario, ergo di investimenti sull'intera struttura) dare 100 mila euro a testa a 20 atleti tra quelli più performanti (per un totale di 20 atleti) affichè si autogestissero professionisticamente (sarebbe comunque 6/7 volte in più di quello che avrebbero a disposizione con uno stipendio statale) che investire in strutture organizzative che funzionano attualmente senza alcuna progettualità. O che se hanno progettualità, a causa della volatilità delle prestazioni degli atleti e delle reazioni non strutturate dell'organizzazione, non riesce ad ottenere quanto investito.

Questo discorso per ora superficiale lo chiudo qui, ma vedremo di parlarne in un'altra circostanza.

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