03/07/13

Lo spreco del talento italiano: istruzioni per l'uso

(a sinistra, il bronzo ai mondiali junior del '98 di Maria Chiara Baccini, allieva: 6,55 a 17 anni) - Ho appena letto un articolo sui talenti sprecati dell'atletica italiana. L'articolo è sicuramente superficiale, anche perchè la fotografia del fenomeno risulta viziata da diverse inesattezze, colpendo nomi che non dovrebbero essere inquadrati in questa categoria di "incompiutezza" e omettendone altri ben più pesanti. Però il fenomeno è sicuramente noto e sconcerta come piuttosto che tamponare le falle della tubatura, si cerchi di ampliarne la portata (ma tenendosi i buchi). Non è illogico? Da qualche parte ne avevo già scritto, ma non lo trovo, chiaramente, considerato il mio disordine mentale. I dati del problema non sono noti, ma solo comunque percepiti e probabilmente disegnano un problema molto più vasto che mantiene radici profonde solo intuibili e ipotizzabili a livello di "percezione". Non esistono a tal proposito dati, e questo è clamoroso. Si è infatti visto quasi ogni anno più di un talento pazzesco fare viaggi a curvatura nell'iperuranio della speranza e dopo un paio di stagioni sparire dalla faccia di questo sport se non ridimensionarsi a ruolo di mera comparsa. 

Nomi ce ne sarebbero a manciate: tutti coloro che hanno vissuto vicino al mondo dell'atletica degli ultimi anni potrebbero mettersi ad elencare tizi che da allievi andavano più veloci di Bolt, e poi adesso farebbero fatica a trovar posto nella 4x100 della propria società nella serie A2 dei c.d.s.. 

Ora, come dicevo prima, il problema non può non essere investigato. Perchè? Perchè un talento che si concretizza è pubblicità per tutto il sistema, un investimento d'immagine, un'imboccata di olio a tutti i meccanismi organizzativi della federazione. Al punto in cui siamo, invece, il talento "perso" è solo uno dei tanti caduti in questa guerra silenziosa che porta al successo, e che non vale la pena recuperare, salvo casi assoluti e imprescindibili. Ma quanti "caduti" sono stati lasciati sul terreno?

Cosa fare? L'immagine della tubatura forata secondo me è quella più azzeccata. Entra tant'acqua (gli atleti), e i numerosi fori del sistema, ne fanno uscire buona parte. La quasi totalità, se verifichiamo i dati storici dei senior. Bisogna quindi capire le motivazioni che hanno portato a quelle defezioni.

La mia proposta è semplice. La Fidal dovrebbe creare una borsa di studio e affidarla a qualche volenteroso studente universitario (oppure delegarlo al proprio Ufficio Studi... ma non vedo tutto questo entusiasmo e organizzazione). Oggetto della borsa di studio, magari da attribuire ad un intero dipartimento di qualche facoltà, dovrebbe essere una sorta di surveys  che studi l'abbandono dei talenti dell'atletica. Chi ha qualche rudimento di metodologia e tecnica della ricerca sociale, saprebbe bene come affrontare il problema. Non è assolutamente difficile, basterebbe rimboccarsi le maniche.

Cosa studiare e come?

  • Si parte estrapolando le graduatorie annuali della Fidal su tutte le specialità di un certo periodo di tempo (facciamo un intorno di 15 o 20 anni) per determinate categorie giovanili. Allievi e Junior. 
  • poi da quelle graduatorie si prendono i primi 10 o 15 atleti per ogni specialità, e se ne studia la "carriera", ovvero, fissati dei parametri che indichino cosa si debba considerare come "successo" (tipo arrivare a 24/25 anni ad essere tra i primi 10 delle liste italiane; oppure essere convocati per una grande manifestazione internazionale... fate vobis); 
  • Tutti coloro che non raggiungono questi target, diventano automaticamente l'oggetto dello studio. Abbandoni, cali nelle prestazioni, sparizioni... tutti costoro dovrebbero essere cioè studiati.
Come studiare i "mancati fenomeni"?
  • lo spessore statistico del fenomeno lo crea la parte di studio di cui sopra. Ma le vere ragioni dell'abbandono o delle controprestazioni, quelle che daranno degli strumenti su cui lavorare (per la Federazione, evidentemente) per evitare o limitare l'insorgere del fenomeno in futuro, vengono individuate con uno studio qualitativo. Inevitabilmente. 
  • Lo studio qualitativo consta in un'intervista a 360° a quegli ex talenti dalla quale estrapolare comportamenti o avvenimenti condivisi tra più talenti. Interviste standardizzate ma comunque elastiche, che possano spaziare e verificare in profondità le reali ragione del fallimento sportivo. La Fidal dovrebbe avere i dati anagrafici di tutti per poterli rintracciare... e comunque su Facebook li si trova. E poi, se lo studente è volenteroso, tramite le società di origine, in qualche modo si arriva al traguardo. 
  • Posso ipotizzare alcuni motivi: lo scoramento per mancate e sistematiche convocazioni anche ai raduni; un rapporto inesistente ed intermittente con la Federazione; un ambiente di allenamento non fattivo; il rapporto umano con l'allenatore; le esigenze adolescenziali; gli infortuni; la necessità di entrare nell'ambiente del lavoro; l'ambiente famigliare... quanti aspetti sarebbero da indagare!
  • alla fine bisognerà evidenziare le linee più comuni tra le diverse interviste, interpretare i risultati, e quindi ipotizzare delle soluzioni. E' un studio che penso facciano tutte le aziende in cerca di informazioni sui fenomeni sociali... 
Ora, la mia personale idea sull'argomento è che i talenti in Italia seguono un iter negativizzante molto spesso uguale, dovuto principalmente al carattere di volontarietà dei tecnici (quindi alla scarsa professionalizzazione) che ne fa invariabilmente dei pionieri. Quasi sempre i talenti esplodono nelle mano di allenatori che non hanno esperienza di gestione e che, invariabilmente, l'anno dopo l'esplosione iniziano ad aumentare i volumi e le intensità di allenamento in maniera esponenziale, dimenticandosi che i fisici hanno percentuali di adattamento agli input esterni nettamente inferiori. Il risultato è l'inevitabile stallo se non la regressione psico-fisica nell'anno successivo, con l'attivazione di un circolo vizioso che si ripercuote sulle aspettative del ragazzo, sulla sua volontà di emergere, sulle capacità del tecnico di comprendere quello che sta avvenendo, e quindi sulla sua capacità di produrre prestazioni fisiche. Quindi l'abbandono in un paio di stagioni o nei migliori dei casi la sopravvivenza vegetale ai margini di un sogno. Ma è una mia considerazioni, anche sulla base di diverse esperienze personali.

Torniamo allo studio. Il risultato dello studio e in particolare della surveys sugli ex talenti, fornirebbe una tale quantità di informazioni (quantitative e qualitative), tali da poter influenzare le decisioni della Federazione e consentirgli di creare dei progetti pluriennali. I talenti, se son tali, non vanno mai abbandonati alla prima occasione in cui "steccano", mentre proprio questo sembra essere l'attuale atteggiamento preponderante. L'infortunio o la controprestazione, porta sistematicamente all'emarginazione e all'affidamento del talento alla propria società di origine. L'appartenenza ad gruppo di élite invece dovrebbe essere consolidato anche in presenza di cali o crolli. Se un ragazzo corre in 10"30 un paio di volte, non diventa un brocco dall'oggi al domani. 


Quindi: per rafforzare la qualità degli atleti di vertice, forse bisognerebbe (la Fidal) allargare gli orizzonti e prevedere studi più pragmatici e seri (ho letto le simpatiche conclusioni della Commissione Atleti... penso non sia più il tempo di filosofeggiare su temi di fondo, ma su temi concreti e da attuare nell'immediatezza) che abbiano ricadute positive sull'intero sistema-atletica. 

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