13/03/13

Riflessioni atletiche: i mille risvolti di una gara

Eh sì, con il passare del tempo, sto diventando sempre più unico; roba da collezione, come tutte le cose antiche; capisco però che l'unico collezionista a cui posso interessare sono solo io. Ma, nonostante tutto, provo ancora l'esigenza di confrontarmi e a prevalere è il richiamo della competizione, il confronto con i miei pari età. 
So' di mettere in conto la possibilità di fallire, se accade, soprattutto quando penso di aver corso male o son certo che potevo davvero fare di più, allora mi metto in lutto, assolutamente inconsolabile, mi assale addirittura il dubbio che forse sto invecchiando. Ma poi, trascorsi i tempi della "elaborazione", ritorno ad essere un'entità sociale con cui è possibile anche comunicare.
Comincio a pensare alla gara successiva, al riscatto, alle correzioni da apportare all'allenamento e anche a quelle da apportare alla mia testa. Però, quando capita di raggiungere la meta che mi sono prefissato, anche non nell'Atletica naturalmente, è un po' come poter toccare la perfezione, mi sento gratificato e appagato; è gioia. 
Ad ognuno di noi è capitato di non essere al meglio della forma o di patire qualche particolare fastidio. Se decidiamo di gareggiare mettiamo in conto che c'è una possibilità di vincere, ma anche di non riuscire a raggiungere l'obbiettivo che ci eravamo dati; in questo caso dobbiamo accettare il verdetto della gara, senza accampare scuse che possono solo far male alla nostra dignità. 
Jorge Luis Borges diceva che "c'è una dignità nella sconfitta che difficilmente appartiene alla vittoria". Ce lo ricorderemo tutte le volte che non saremo noi a vincere. Non è vero che l'età diluisce l'emozione o l'agitazione che precede una gara, non è proprio così, almeno per quel che mi riguarda. Cerco di nascondere almeno all'esterno la mia ansia per evitare il ridicolo, ma internamente è un ribollire di pensieri e agitazioni nascoste. 
Naturalmente non tutte le gare hanno la stessa importanza, capita anche di utilizzare le gare come allenamento e dunque la carica nervosa e il dispendio fisico in questi casi risulta ridotto. Le energie migliori posso anche usarle per fare tante altre cose al di fuori della pista. 
Alle gare che reputo importanti però riservo un approccio adeguato. Nei giorni antecedenti la gara decido di indire le giornate del risparmio di energie: le mie. Nel contempo inizia il processo di raccolta di tutte le energie disponibili: fisiche, mentali e, se possibile.. anche cosmiche. 
Ma il giorno della gara, come sempre, ecco i soliti subdoli dubbi: mi sembra di essere stanco; forse la giornata è un po' troppo umida; la pista mi pare un po' troppo dura; le scarpe nuove non le sento ancora mie, è ricomparso quel leggero fastidio all'adduttore, forse ho iniziato il riscaldamento un po' in ritardo... 
I filosofi greci, pare non tenessero in gran considerazione il turbamento dell'emozione, poiché correlata agli organi di evacuazione. Non sono sicuro che il pensiero greco classico si sia espresso anche sul come evitare l'emozione o almeno i suoi effetti secondari; se anche fosse, io ancora non l'ho letto e percepisco uno stimolo conosciuto; forse è meglio che vada in bagno...  - "Non andare a orinare, mi raccomando!!"  -. Così, da ragazzo, mi ammoniva il mio primo allenatore; "la tensione bisogna trattenerla, non scaricarla prima della gara"; e capivo che non si trattava di un consiglio, il tono era quello della minaccia. Naturalmente la mia prostata era molto più giovane! 
Tutto il possibile (ma lecito!) deve essere messo a disposizione per l'ottenimento del miglior risultato; così, la giusta tensione, se non c'è, la si va a cercare. Ricordo un grandissimo velocista italiano che prima della gara, in spogliatoio iniziava a picchiar pugni contro il muro, condendo il movimento con giaculatorie collaudate. 

Tutto serve; ma ecco: il momento topico è arrivato, siamo quasi pronti, abbiamo controllato nervosamente stringhe o velcri da tirare, corroborato di pacche i numeri adesivi, o ci siamo punti con le solite intramontabili spille (che ci sopravviveranno ), verificato anche il posizionamento dei blocchi e la loro tenuta, fatti i tre saltelli di rito; ma ecco che accade quello che in un istante... mi fa scendere le calzette. Capita infatti che qualcuno, partendo nella tua serie dei 100, già dietro i blocchi, in attesa del - "ai vostri posti" - con l'adrenalina che ti spinge le sfere oculari fuori dalle orbite.. pensa che sia bene fare gli auguri a tutti e di insistere per darti "il cinque". Va beh, coraggio, un ultimo rapido sguardo di sfida lungo la mia corsia, fin là, al traguardo. 

Si va, il cuore batte e gli automatismi mi portano a sistemarmi sui blocchi con la solita collaudatissima procedura. Quattro passi per superare di due i blocchi, mani a terra e arretramento della gamba sul secondo blocco con giusta posizione e verifica del carico sullo stesso. Sistemazione del piede sul primo blocco e pulizia delle mani. Posizionamento delle mani a filo della linea bianca, un bel respiro sancisce il collegamento esclusivo con lo starter. 

Pronti: i piedi caricano i blocchi in modo che non possano arretrare nemmeno di un millimetro per cercare ulteriore appoggio al momento della partenza. Sono un filo sottilissimo, teso al massimo, fino al micron precedente la rottura. 

Lo sparo, viaaaa, basso, fulminante, con il giusto assetto mi dileguo come un palloncino gonfiato al massimo a cui di colpo sciolgono il nodo, anche se io non perdo aria, per ora. Ai trenta inizio a sistemare la posizione di massima velocità (si, si dice così al di là della velocità raggiunta), ho la prima sensazione del posizionamento degli avversari. Un rapidissimo, e forse inconscio, controllo di piedi, ginocchia, busto, braccia, tutto composto senza irrigidirmi ma tutto al massimo; mantenere, mantenere senza provare ad esagerare. Infine, la "sofferenza" degli ultimi metri (e qui chiedo scusa ai quattrocentisti) e la coordinazione per la piega del busto, giusto sulla linea del traguardo. 

Ecco il primo ampio respiro assieme alle prime immediate sensazioni, i complimenti agli avversari comunque sia andata. Il lento ritorno con gli ultimi sbuffi di tensione e qualche attimo di gara che, senza essere chiamato, ricompare. Il cambio delle scarpe provando a ripassare lo scorrere della gara; e poi quel po' di souplesse che permette più che altro di lasciar defluire le ultime gocce di adrenalina. Questa è la descrizione di ciò che mi accade prima, durante e subito dopo un cento metri. Sarebbe abbastanza diverso se dovessi provare a descrivere un duecento o una frazione di staffetta. Ogni gara o concorso presuppone un diverso e personalizzato approccio. 
Ogni atleta prova sensazioni differenti e mette in campo esperienze e metodi assolutamente personali, anche se esteriormente simili. E' probabile che si tratti di piccole differenze, ma è anche con queste che ci si confronta. Negli allenamenti si gioca a carte scoperte, poiché sono visibili a tutti. 
Tutto ciò che accade nella nostra testa, rimane invece assolutamente personale, quasi mai se ne parla, appartiene solo a noi, alla nostra parte profonda. Quando capita di vincere o perdere per uno o due centesimi, spesso risulta determinante proprio questa componente intima. E' questa che assiste e sorregge ognuno di noi o meglio ognuno dei nostri tendini, dei nostri muscoli, per il raggiungimento della miglior prestazione nella competizione. E' la testa la parte più importante e caratterizzante nella gara e nell'allenamento di ognuno di noi. Tra l'altro studi recenti dicono che al nostro cervello piacciono le sfide. Le gare poi, e i loro risultati, sono brevi e concentratissimi racconti delle fatiche che li hanno preceduti. 

Il corridor cortese

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