05/03/13

Goteborg '13: la mai sopita necessità di interpretare i numeri

Pensate solo per un istante a Giulia Viola, la vera sorpresa in chiave azzurra di questi Campionati Europei Indoor. Ma davvero pensate che nelle mille precedenti edizioni dei Campionati Europei Indoor di Atletica non ci sarebbe stata un'altra Giulia Viola in Italia capace di sorprendere, e che invece, a causa di politiche restrittive, rimase a casa? Quanti atleti non sono stati convocati nel passato per principi più di immagine o di opportunità mediatica, che di "premio" sportivo? Centinaia, lo sappiamo tutti. E statisticamente, scusatemi, è improbabile che tra quelle centinaia di atleti non ci sarebbe stato l'atleta che si sarebbe esaltato, passato il turno di qualificazione, andato in finale, fatto il personale e magari vinta una medaglia. Non lo sapremo mai perchè Slinding Doors, purtroppo, era solo un film (per cui mi innamorai, non corrisposto, di Gwineth Paltrow...). Grande plauso alla politica di allargamento alla partecipazione, quindi, ma occhio a quel punto a dare interpretazioni estasiate dei risultati. Le sorprese positive in ogni spedizione ci stanno, come ci stanno quelle negative (solitamente si equilibrano, e quelle negative, com'è noto, se ne sono avute una manciata anche in questa spedizione). Tutto però viene riportato ai numeri, ai giudizi sulle classifiche delle medaglie e dei punti. Si sono lette dichiarazioni e articoli che sono andati a spulciare le risultanze degli ultimi 20 anni di atletica indoor, con voli pindarici forse un pò troppo arditi. "Se consideriamo... togliendo... mettendo... aggiungendo... ma quelli erano in Italia... ma meno podi... con più medaglie... siamo andati meglio". Ecco, volevano dirci semplicemente e sostanzialmente che sono andati meglio, al netto delle edizioni in cui si è andati meglio, naturalmente, e al lordo di una (taciuta) normalità dei risultati. 

Il senso del mio discorso è sostanzialmente quello che se anche questo mandato si intrufola nei perversi meccanismi di trovare forzatamente e in alcuni casi, illogicamente, aspetti positivi, poi, non può lamentarsi se vengono trovate le falle delle proprie argomentazioni. La coperta è troppo corta e si rischia di trovarsi con i piedi scoperti. Non sarebbe forse il caso di fare i gioiosi elfi di un modo di interpretare lo sport come un'opportunità per molti ragazzi che finalmente avrebbero il loro momento più scintillante nella propria carriera? Una convocazione? E quello che potrebbe derivarne sia sulla carriera dello stesso atleta, che l'effetto domino su chi gli gira attorno. E chi se ne frega se si è arrivati ultimi o a metà classifica nei punti conquistati o delle medaglie vinte: basterebbe che la Federazione si facesse finalmente interprete dei principi per i quali esisterebbe: la partecipazione. Favorire l'atletica, piuttosto che farne schiava delle logiche politiche di "apparenza". Poi, forse questo non l'ha ancora capito nessuno, è proprio questa "apertura" il vero investimento sul futuro, che porterebbe ad avere un ritorno di immagine migliore di qualunque altro, e che avrebbe una ricaduta positiva su tutto il movimento. Ammettere i propri limiti, votarsi verso il movimento piuttosto che verso quello che dicono gli "altri". Il giustificazionismo, le scuse, l'estrapolazione forzata di dati, mi sa tanto di campagna elettorale che, mi sembra, sia già finita da tempo. Proprio alle ultime elezioni e nel corso della campagna elettorale, ho osservato l'elencazione sterminata di migliaia di numeri in cui tutti, ma proprio tutti, di una parte e dell'altra, sono riusciti a dire tutto e il contrario di tutto sulla medesima cosa.   

Pensate questi ultimi campionati Europei. Allora, tutti si sono sperticati a sottolineare la grandezza della spedizione, che io, proprio alla luce dei risultati, ho ritenuto e scritto, essere stata normale. Normale per una nazione come l'Italia, in un contesto comunque più modesto di quello outdoor, e comunque meno partecipato qualitativamente, e con questo senza nulla togliere nulla a nessuno, visto che in alcune specialità (vedi l'asta) c'erano i migliori al mondo. Partiamo da una considerazione: perchè serve pavoneggiare dati? Per verificare la forza di un movimento all'interno di un contesto, in questo caso quello Europeo e poi poter, con questi dati, valutare la propria consistenza qualitativa e quantitativa e comprendere così che strategie intraprendere per aumentare o mantenere gli sforzi per diffondere questo sport. Questo dovrebbe essere in linea di principio.

Detto questo, sentivo dire, non so da chi di questa gestione federale (ovvero, lo so, l'ho letto, me l'hanno riferito, ma non trovo lo scritto e quindi lo metto in forma dubitativa) che l'Italia atletica pagherebbe lo scotto nelle specialità sull'anello, per il semplice fatto che mancherebbero gli impianti indoor e che, di contro, la presenza di strutture per specialità tecniche e corte porterebbe ai risultati che si sono visti. A parte che, se sin dall'inizio si fosse fatta professione di obiettività, si sarebbe potuto semplicemente dire che in due mesi sarebbe stato impossibile per chiunque organizzare e pianificare una spedizione per una grande manifestazione internazionale. Chi avrebbe detto nulla? L'aver invece, sin dal giorno successivo all'insediamento, voluto brandire questa cosa dell'Aria Nuova, della corte dei Miracoli, gli ha esposto il fianco a doversi giustificare del disastro delle specialità più lunghe di 60 metri. A voler essere proprio cattivi-cattivi, si potrebbe dire: ma come mai quest'aria nuova non ha funzionato con qualcuno dei presenti agli Europei, e in più in odore di exploit? Capite? Se si è obiettivi, trasparenti, chiari, nessuno può dire nulla. Se si vuole invece complicare il quadro con mistificazioni o interpretazioni della realtà, scusate, ma io mi ci infilo. 

Torniamo agli impianti indoor come giustificazione dei mancati risultati sull'anello di Goteborg. Come logica non farebbe una grinza, se... Negli anni '80, '90, '00, nell'arco di oltre tre decadi di atletica italiana, quando si vincevano i mondiali indoor con Jenny Di Napoli e si portavano a casa le medaglie internazionali indoor con Giuseppe D'Urso, Tonino Viali, recentemente con Maurizio Bobbato, la stessa Cusma, la Possamai e la Dorio di un tempo, secondo voi, quante decine di impianti indoor sparsi per il territorio possedevamo? 
Nuti, Malinverni, Licciardello, Erica Rossi, Ashy Saber che hanno vinto medaglie sui 400 indoor, quante volte, secondo voi, si sono allenati in un impianto indoor in quei tempi? 
Facciamoci questo interrogativo, diamoci una risposta (secondo me, messi tutti insieme quegli atleti, si saranno allenati o avranno gareggiato nell'arco di 30 anni, meno delle dita della mia mano, escluse le partecipazioni internazionali) e comprenderemo che la "mancanza di impianti" non sembra proprio una giustificazione alla debacle di velocità prolungata-mezzofondo veloce-mezzofondo. I problemi, e lo sa anche l'ultimo tesserato della categoria esordienti, sono strutturali e radicati ormai da tempo in quelle specialità: non è che all'aperto nelle medesime specialità, si sia dei fenomeni a livello internazionale. No, valiamo uguali-uguali a quello che si è visto a Goteborg. Ma ripeto: sarebbe bastato dire: non potevano in due mesi sollevare le sorti di quei settori che obiettivamente sono all'anno zero... li stiamo riorganizzando ma ci serve tempo e non è questa certo l'occasione giusta. Giusto. Lo sottoscrivevo, ma non l'ha detto nessuno. 

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