01/03/13

Gotebotg '13, il tributo a Dal Molition

Ho questa scena davanti: una sagrestia nella penombra, di quelle con un soffitto altissimo e scuro; un finestrone cesellato irraggiungibile e con colori cupi. Una luce fioca e Fra Paolo Dal Molition che entra in religioso silenzio nel suo saio recando seco una reliquia. L'ennesima. Sulle pareti, noto, reliquie riportate dai più disparati angoli del mondo. A guardarla bene quella reliquia è l'ennesima traversina di un ostacolo, tranciata, macinata, trebbiata, durante l'ultima gara. E infatti sulla parete, a ben guardare, ci sono pezzi, schegge, travi, snodi con chiodi di Berg, Sportissimo, Biffi, Nordic, Polanik. I pezzi più ricercati riportano anche qualche chiodo del "6" nel bel mezzo, fra le schegge dell'urto fatale contro l'ostacolo. Del resto lui è Dal Molition, The Carpenter, il falegname, colui che sfonda gli ostacoli entrandoci dentro come se fossero ologrammi. Ma questa volta, in quella sacrestia, oltre alle reliquie lignee, ne reca segretamente una argentea...

Oggi nella finale più veloce per un italiano nella storia dei 60hs, la partenza è stata quella da cardiopalma. Di quelle da formula 1, quando uno parte come una cannonata sfruttando i 16 cilindri e delle quali si comprende subito che la prima chicane sarà un tentativo di battere le immutabili Leggi della Fisica. Una tuonata che nulla avrebbe avuto a che fare con una gara da ostacoli, quella di Paolone. Troppo basso, cazzo! Ci finisce dentro di sicuro! Il baricentro, il baricentro: sembrava ineluttabile a quel punto, con una partenza da sprinter puro, il Deep Impact del meteorite contro il pianeta terra con ripercussioni dirette sull'estinzione del Tirannosauro Rex. Invece... invece succede un piccolo miracolo sportivo. Lo passa! L'ha passato senza piallarlo! Ma come ha fatto? Agli italiani aveva estinto la popolazione dei brontosauri impattando contro il primo: altre bestie preistoriche cancellate anche oggi? Ma no! Adesso è davanti a Shubenkov, dopo la prima barriera, ma ancora ha quella strana postura con i flaps abbassati, come se l'aereo dovesse ancora decollare e il baricentro fosse ancora troppo basso. Mamma mia... 

Arriva poi, necessariamente, quel momento in cui la fase di drive viene superata e le ruote si staccano da terra. In quel preciso momento, una sorta di transizione fisica, il corpo deve riassettarsi, ritrovare un equilibrio nuovo. Ma lì il razzo è già lanciato troppo velocemente: la metamorfosi richiede tempo, anche se dura un battito di ciglia: c'è lo stallo. Deve esserci da quella posizione. Lì lo Sputnik Serghey Shubenkov (SSS: l'unico che avrebbe potuto l'anno scorso comparire con il ruolo di ombra lunga nelle immagini che riprendevano le gare di Merritt) lo passa e gli altri, capitanati da Martinot Lagarde si fanno tremendamente sotto come una muta di dragoni archibugieri della Grande Armèe napoleonica. Se si fosse potuta fare una foto della gara a 10 metri dalla fine, mi sarebbero venute in mente quelle scene di caccia anglosassone immortalate in affreschi da palazzi signorili con i cani rossicci e i cavalli bianchi, cavalcati da fantini in livrea rossa, ieraticamente e plasticamente cuneiformi verso la volpe in fuga. Ma che razza di gara è? 

Ma il Dal Molition di questi Europei è una specie di Caterpillar e resiste, lasciando sul terreno orme che ritroveranno sullo strato di cemento sotto la pista quando il palazzetto verrà ristrutturato. Secondo in Europa e il biglietto per l'immortalità sportiva: la medaglia. Argento, va bene lo stesso, con un tempo mostruoso a pensarlo solo qualche settimana fa: 7"51. Nessun italiano aveva mai corso così veloce nella storia del nostro sport, nel nostro Paese. In un pomeriggio Paolo Dal Molin riscrive la storia di una specialità, quanto meno dal punto di vista cronometrico: ad oggi tre volte sotto i 7"60 come nessuno (Emanuele Abate l'anno scorso ne ottenne due). E meglio di lui, ai campionati europei indoor, fece solo la leggenda vivente Eddy Ottoz, che vinse l'oro a Dortmund nel 1966, quando però i campionati europei erano ancora denominati "Giochi Europei". Eddy fece addirittura tripletta, vincendo sui 50hs nel '67 e nel '68. L'ultima medaglia vinta da un italiano invece risaliva al 1986, quando Daniele Fontecchio vinse l'argento a Madrid. 14 le finali disputate da italiani agli euroindoor, con 8 atleti e 7 medaglie: 50% di medagliabilità se un azzurro arriva in finale: media altissima. 

Chiudo con una riflessione, e spero mi sia perdonata: finito il propellente per la gioia da tributare a Paolo Dal Molin, non posso non pensare ad Emanuele Abate e a quel palcoscenico che fino a qualche settimana fa era esclusivamente suo. Ecco, qui deve nascere la rabbia (sportiva, naturalmente) di volersi riprendersi tutto, e nell'atletica c'è solo un modo: andare più veloci degli altri. 

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