02/03/13

Goteborg '13: il tributo a Veronica Borsi

La carrellata della telecamera sulle partenti della finale dei 60hs ad un certo punto indugia su una sincronista, con i capelli tirati sulla nuca, il volto cerato quasi da bambola. Mancava solo la mollettina sul naso e il dejavù sportivo si sarebbe completato. Veronica Borsi, la Valchiria di Bracciano, anche se non su un cavallo alato, cambia una storia che stava perdendosi nel mito, ovvero nella tradizione orale di chi allora c'era e che inizia a confondere e rimescolare date, avvenimenti, persone. Bisogna tornare indietro nel tempo (e di molto!) per trovare delle medaglie negli ostacoli femminili italici. L'oro olimpico di Trebisonda (Ondina) Valla nel '36, quello europeo di Claudia Testoni nel '38, che suonano come le vittorie dell'Italia di Pozzo tra i mondiali del '34, le olimpiadi del '36 e ancora i mondiali del '38. Vittorie in bianco e nero, con rare immagini a scatti, infeltrite, ingiallite. Lo sport pionieristico di un tempo. Da allora, dal 1938, cioè 75 anni fa, l'Italia femminile non ha più vinto una gara di ostacoli (compresi i 400hs) a livello internazionale, tra olimpiadi, mondiali, europei, indoor e outdoor. Settantacinque anni. A rompere questo infinito mettallifero digiuno ci pensò solo nel 1977 la proteiforme Rita Bottiglieri, che proprio in un'edizione di Campionato Europeo Indoor, a San Sebastian, giunse terza: bronzo. Un bronzo in 75 anni di storia sportiva. In tutto questo caleidoscopio di immagini di atlete sono passati fenomeni come Ileana Ongar (8^ alle olimpiadi di Montreal '76), Carla Tuzzi, Patrizia Lombardo... ma solo 11 finaliste nella ultracentenaria storia dell'atletica italiana nelle 5 maggiori manifestazioni internazionali previste. Tutto questo lunghissimo preambolo per dare peso, se ancora ce ne fosse stato bisogno, all'impresa di Veronica Borsi, che ha combattuto sì contro 7 atlete, ma anche contro un plumbeo fardello storico, che aveva regalato solo 3 medaglie in oltre un secolo di vita e nonostante le generazioni e generazioni di atlete passate sulle piste e fra gli ostacoli. Capite cosa intendo? 

Per farlo, per entrare nella storia delle specialità, c'era bisogno non di una, ma di due imprese, come si è poi potuto comprendere: correre veloce come nessuna italiana aveva mai fatto prima, ovvero con il record italiano, ed arrivare là davanti, tra le elette. Ed è successo ben due volte nel breve spazio di poche manciate di minuti: in semifinale con 7"96 e in finale con 7"94. Due volte come a Parigi '94 quando Carla Tuzzi, pur arrivando "solo" 5^ dovette scardinare la piccola storia sportiva del nostro paese sui 60hs per ben due volte: 7"97 sia in semifinale che in finale, ma, appunto, solo quinto posto. Del resto il record era nelle corde: 8"05 in batteria con una dormita di 0"24 di tempo di reazione. Ancor più incredibile il 7"96 con 0"206 di tempo di reazione! In semifinale, con una reazione da sprinter "normale" avrebbe già corso in 7"90! Ma non stiamo qui a smacchiare i ghepardi o altre tipologie di felini: bronzo europeo, dopo 36 anni dall'ultima medaglia italiana negli ostacoli e 77 dalla prima. Quarta medaglia di sempre in una grande manifestazione internazionale (sui 400hs non si son mai viste medaglie), assieme a miti dell'atletica azzurra. 

La gara, parlando di cronaca spicciola, è andata alla nerboruta turca Nevin Yanit, 7"89 (Pb e record nazionale) comunque più abile a sfruttare un'accelerazione più aggressiva. Seconda la favorita, probabilmente, ovvero la bielorussa Alina Talay. La Borsi, nella gara in sè, dopo un avvio non ancora esplosivo a livello delle proprie competitors, ha comunque ostentato una tecnica pazzesca, pulita, limpida, fluida, perfetta. I canoni estetici di quieta grandezza e nobile semplicità delle statue greche secondo il pensiero di Winkelmann sono stati tutti soddisfatti appieno. L'equilibrio perfetto del corpo che ritma plasticamente nello spazio. Sembra quasi blasfemia parlare di medaglie, ma poi lo sport cos'è se non confronto? Scontro? Vincitori e vinti? Anzi, soprattutto vincitori e vinti: si ricordano i vincitori delle battaglie, e non quanti morti si contarono sul campo o in quanti giorni servirono per portare a casa la battaglia. 

Nella finale è risorta dalle proprie ceneri definitivamente Micol Cattaneo, 7^ con 8"11, ma ottima e coriacea interprete della semifinale con 8"07: di fatto il ritorno su quel sentiero che aveva lasciato un paio di stagioni fa. Non c'è stata invece, e qui mi piange il cuore, Marzia Caravelli, bombardata dall'influenza e da qualche dolorino fisico. A gennaio la finale degli Europei per lei sarebbe stata una formalità, visti i risultati messi in cascina in quel periodo. Peccato, peccato davvero, che non sia riuscita ad emarginare le variabili indipendenti della preparazioni e nel momento topico si sia fermata sulla soglia di ciò che nelle ultime due stagioni, gli avrebbe consentito di marchiare a fuoco vivo l'esempio di sportività, sacrificio, abnegazione che ha dato a tutti noi. Marzia, con le sue difficoltà logistiche e temporali, non certo tipiche di un'atleta d'elitè ma a noi tutti note (ma che per Lei sono state presumo degli stimoli), rappresenta quel sogno che si avvera per tutti noi che dobbiamo ritagliarci con estrema fatica nella quotidianità spazi e tempi per qualche cosa che amiamo. Mi perdona Veronica per questa debolezza umana verso Marzia? 

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