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16/03/13

Riflessioni Atletiche: il segreto-mistero del lancio del peso master femminile

Ecco un'altra epica pagina del nostro Corridor Cortese, con le sue riflessioni sul mondo dell'atletica, i suoi momenti, la scansione delle nostre emozioni. Una vista dall'interno di ciò che spesso riteniamo automatico. Oggi un'imperdibile puntata su una fetta molto piccola del mondo Master. Imperdibile.

Quella Misteriosa Enclave 

Di ritorno dalle gare di Ancona: dal frastuono del palazzetto, dalle gioie di ciò che siamo riusciti a far bene, dai rimpianti per ciò che riusciremo a far meglio, dalle pacche sulle spalle, prese e date dagli e agli amici, mi vien da scrivere una cosa. Forse, o sicuramente, è un'attenzione solo mia, chissà, ma dato che la covo da tempo mi par giusto partorire l'uovo entro Pasqua. La sorpresa, se valutata come fatto che cagiona stupore, buona o indigesta, c'è anche quella.
La prendo un po' alla larga: è possibile definire con il solo termine di "Atletica Master" un mondo così vasto, un mondo che ne contiene altri e così differenti? Saranno le specialità dell'atletica, così diverse tra loro, saranno le età che identificano generazioni anche molto distanti. Sarà la fortunata diversità tra l'universo femminile e quello maschile: le differenze "di genere", come si dice oggi, compiacendosi.
Bene, di uno di questi mondi diversi vorrei scrivere, per dire subito che non sono in grado di capire, mi è solo concesso descrivere. Osservo e mi pare si tratti di un'altra galassia; tutto quello che mi è capitato di scrivere sull'agonismo e sulle tensioni legate alla gara mi pare che qui non centri proprio nulla, tranne forse che per il cestino della carta straccia. Chissà se qualcuno potrà aiutarmi; intanto provo a raccontarvi ciò che vedo al di là della rete del getto del peso master femminile.
Un recinto, circondato dal clamore interno del palazzetto e dalle gare di corsa che girano attorno a questa piccola comunità; una comunità a sé stante, dove l'agonismo e la tensione non appaiono pervenuti.
Questa "enclave", assolutamente autonoma, dove pare risieda l'antagonismo dell'agonismo, si ritrova ad Ancona, per un giorno all'anno, alla fine dell'inverno; sempre nello stesso punto, misurabile in precisi gradi di latitudine e longitudine. Io ronzo lì attorno, ogni anno, durante l'ultima parte del riscaldamento, quando i velocisti sbuffano negli ultimi allunghi sul "rettilineo opposto".
Nell'angolo della curva in ingresso al primo rettilineo staziona quest'isola, come contenuta in una palla di vetro di Natale, solo che non scende la neve. Una serie di panche sistemate dietro la pedana accolgono le atlete, tranquille, ben sedute e composte, intente a chiacchierare con le vicine di panca. Ma chiacchierare non è il termine corretto, loro sono davvero interessate alla conversazione, di fatto sembra la cosa più importante per loro. Ogni tanto un giudice si intromette alzando la voce: "si prepari..."; ma ancora nessuno si muove dalle panche. Solo all'ultimo momento un'atleta si alza, dopo essersi scusata con la vicina per aver interrotto la conversazione e va in pedana: getto veloce e ancor più veloce ritorno in panca e in conversazione.
Nel frattempo qualcuno armeggia con la bindella e segnala la misura, ma questa pare una faccenda assolutamente marginale, non così importante da pretendere di interrompere di nuovo la conversazione. Lì, l'Agone è sicuramente e solamente un pesce e caso mai entrasse in conversazione sarebbe solo per definire se rende meglio fatto in umido oppure fritto.
Loro si parlano.. e penso a cosa accade quando qualcuno si azzarda a rivolgermi la parola nella mezz'ora che precede la gara. Ben che vada potrà ottenere in cambio uno sguardo di diffida, al massimo potrei esprimere un grugnito, comunque in monosillabo.
Ma loro, cosa si diranno? Forse frasi terribili del tipo: "oggi ti distruggo anche con le braccia legate" - oppure "non mi sembri in forma mozzarella, è meglio se torni a casa subito" !?
Credo di no, infatti non vedo volti sbranati dall'ansia. Penso che la mia vita non può essere abbastanza estesa per poter pretendere di capire. Mi sento inadeguato, anche ridicolo, sicuramente lontano dal comprendere.
Come potrei spiegar loro che il mio vocabolario fa derivare la parola Atleta da "Athlos": - lotta - in greco. Qualcuno/a dovrebbe aiutarmi a trovare uno spiraglio in questo mistero. Qui, appena oltre quella rete tutto è tranquillo, pacioso, addirittura materno; le forme tondeggianti e prive di spigoli comunicano relax.
La gara per loro è sicuramente un pretesto per incontrarsi; già la definizione di "concorso", per il getto del peso femminile master mi pare troppo agonistica. Forse erano sedute tranquille sui gradoni ad attendere il ritorno di mariti e amici dalle loro lotte infernali. Forse un dirigente della società, sarà comparso davanti a loro, affannato, per supplicarle di aiutarlo: "abbiamo la gara del peso scoperta nella classifica per società, aiutatemi" - e loro, con calma, hanno trasferito la conversazione all'interno della gabbia, forse. Dice il saggio che i misteri non si spiegano; nei misteri ci si inoltra quando la curiosità insorge. Ma intanto il mistero rimane, forse per favorire una sana biodiversità nell'ambiente master.
 Il mistero rimane, a meno che, a meno che dall'interno dell'enclave una master talpa voglia interrompere la conversazione per svelarmi i segreti del master getto del peso al femminile. Ascolterei, "con viva e vibrante curiosità", ma non li rivelerei a nessuno, mai.

Il corridor cortese

13/03/13

Riflessioni atletiche: i mille risvolti di una gara

Eh sì, con il passare del tempo, sto diventando sempre più unico; roba da collezione, come tutte le cose antiche; capisco però che l'unico collezionista a cui posso interessare sono solo io. Ma, nonostante tutto, provo ancora l'esigenza di confrontarmi e a prevalere è il richiamo della competizione, il confronto con i miei pari età. 
So' di mettere in conto la possibilità di fallire, se accade, soprattutto quando penso di aver corso male o son certo che potevo davvero fare di più, allora mi metto in lutto, assolutamente inconsolabile, mi assale addirittura il dubbio che forse sto invecchiando. Ma poi, trascorsi i tempi della "elaborazione", ritorno ad essere un'entità sociale con cui è possibile anche comunicare.
Comincio a pensare alla gara successiva, al riscatto, alle correzioni da apportare all'allenamento e anche a quelle da apportare alla mia testa. Però, quando capita di raggiungere la meta che mi sono prefissato, anche non nell'Atletica naturalmente, è un po' come poter toccare la perfezione, mi sento gratificato e appagato; è gioia. 
Ad ognuno di noi è capitato di non essere al meglio della forma o di patire qualche particolare fastidio. Se decidiamo di gareggiare mettiamo in conto che c'è una possibilità di vincere, ma anche di non riuscire a raggiungere l'obbiettivo che ci eravamo dati; in questo caso dobbiamo accettare il verdetto della gara, senza accampare scuse che possono solo far male alla nostra dignità. 
Jorge Luis Borges diceva che "c'è una dignità nella sconfitta che difficilmente appartiene alla vittoria". Ce lo ricorderemo tutte le volte che non saremo noi a vincere. Non è vero che l'età diluisce l'emozione o l'agitazione che precede una gara, non è proprio così, almeno per quel che mi riguarda. Cerco di nascondere almeno all'esterno la mia ansia per evitare il ridicolo, ma internamente è un ribollire di pensieri e agitazioni nascoste. 
Naturalmente non tutte le gare hanno la stessa importanza, capita anche di utilizzare le gare come allenamento e dunque la carica nervosa e il dispendio fisico in questi casi risulta ridotto. Le energie migliori posso anche usarle per fare tante altre cose al di fuori della pista. 
Alle gare che reputo importanti però riservo un approccio adeguato. Nei giorni antecedenti la gara decido di indire le giornate del risparmio di energie: le mie. Nel contempo inizia il processo di raccolta di tutte le energie disponibili: fisiche, mentali e, se possibile.. anche cosmiche. 
Ma il giorno della gara, come sempre, ecco i soliti subdoli dubbi: mi sembra di essere stanco; forse la giornata è un po' troppo umida; la pista mi pare un po' troppo dura; le scarpe nuove non le sento ancora mie, è ricomparso quel leggero fastidio all'adduttore, forse ho iniziato il riscaldamento un po' in ritardo... 
I filosofi greci, pare non tenessero in gran considerazione il turbamento dell'emozione, poiché correlata agli organi di evacuazione. Non sono sicuro che il pensiero greco classico si sia espresso anche sul come evitare l'emozione o almeno i suoi effetti secondari; se anche fosse, io ancora non l'ho letto e percepisco uno stimolo conosciuto; forse è meglio che vada in bagno...  - "Non andare a orinare, mi raccomando!!"  -. Così, da ragazzo, mi ammoniva il mio primo allenatore; "la tensione bisogna trattenerla, non scaricarla prima della gara"; e capivo che non si trattava di un consiglio, il tono era quello della minaccia. Naturalmente la mia prostata era molto più giovane! 
Tutto il possibile (ma lecito!) deve essere messo a disposizione per l'ottenimento del miglior risultato; così, la giusta tensione, se non c'è, la si va a cercare. Ricordo un grandissimo velocista italiano che prima della gara, in spogliatoio iniziava a picchiar pugni contro il muro, condendo il movimento con giaculatorie collaudate. 

Tutto serve; ma ecco: il momento topico è arrivato, siamo quasi pronti, abbiamo controllato nervosamente stringhe o velcri da tirare, corroborato di pacche i numeri adesivi, o ci siamo punti con le solite intramontabili spille (che ci sopravviveranno ), verificato anche il posizionamento dei blocchi e la loro tenuta, fatti i tre saltelli di rito; ma ecco che accade quello che in un istante... mi fa scendere le calzette. Capita infatti che qualcuno, partendo nella tua serie dei 100, già dietro i blocchi, in attesa del - "ai vostri posti" - con l'adrenalina che ti spinge le sfere oculari fuori dalle orbite.. pensa che sia bene fare gli auguri a tutti e di insistere per darti "il cinque". Va beh, coraggio, un ultimo rapido sguardo di sfida lungo la mia corsia, fin là, al traguardo. 

Si va, il cuore batte e gli automatismi mi portano a sistemarmi sui blocchi con la solita collaudatissima procedura. Quattro passi per superare di due i blocchi, mani a terra e arretramento della gamba sul secondo blocco con giusta posizione e verifica del carico sullo stesso. Sistemazione del piede sul primo blocco e pulizia delle mani. Posizionamento delle mani a filo della linea bianca, un bel respiro sancisce il collegamento esclusivo con lo starter. 

Pronti: i piedi caricano i blocchi in modo che non possano arretrare nemmeno di un millimetro per cercare ulteriore appoggio al momento della partenza. Sono un filo sottilissimo, teso al massimo, fino al micron precedente la rottura. 

Lo sparo, viaaaa, basso, fulminante, con il giusto assetto mi dileguo come un palloncino gonfiato al massimo a cui di colpo sciolgono il nodo, anche se io non perdo aria, per ora. Ai trenta inizio a sistemare la posizione di massima velocità (si, si dice così al di là della velocità raggiunta), ho la prima sensazione del posizionamento degli avversari. Un rapidissimo, e forse inconscio, controllo di piedi, ginocchia, busto, braccia, tutto composto senza irrigidirmi ma tutto al massimo; mantenere, mantenere senza provare ad esagerare. Infine, la "sofferenza" degli ultimi metri (e qui chiedo scusa ai quattrocentisti) e la coordinazione per la piega del busto, giusto sulla linea del traguardo. 

Ecco il primo ampio respiro assieme alle prime immediate sensazioni, i complimenti agli avversari comunque sia andata. Il lento ritorno con gli ultimi sbuffi di tensione e qualche attimo di gara che, senza essere chiamato, ricompare. Il cambio delle scarpe provando a ripassare lo scorrere della gara; e poi quel po' di souplesse che permette più che altro di lasciar defluire le ultime gocce di adrenalina. Questa è la descrizione di ciò che mi accade prima, durante e subito dopo un cento metri. Sarebbe abbastanza diverso se dovessi provare a descrivere un duecento o una frazione di staffetta. Ogni gara o concorso presuppone un diverso e personalizzato approccio. 
Ogni atleta prova sensazioni differenti e mette in campo esperienze e metodi assolutamente personali, anche se esteriormente simili. E' probabile che si tratti di piccole differenze, ma è anche con queste che ci si confronta. Negli allenamenti si gioca a carte scoperte, poiché sono visibili a tutti. 
Tutto ciò che accade nella nostra testa, rimane invece assolutamente personale, quasi mai se ne parla, appartiene solo a noi, alla nostra parte profonda. Quando capita di vincere o perdere per uno o due centesimi, spesso risulta determinante proprio questa componente intima. E' questa che assiste e sorregge ognuno di noi o meglio ognuno dei nostri tendini, dei nostri muscoli, per il raggiungimento della miglior prestazione nella competizione. E' la testa la parte più importante e caratterizzante nella gara e nell'allenamento di ognuno di noi. Tra l'altro studi recenti dicono che al nostro cervello piacciono le sfide. Le gare poi, e i loro risultati, sono brevi e concentratissimi racconti delle fatiche che li hanno preceduti. 

Il corridor cortese

05/03/13

Riflessioni: l'agonismo... dei non vincenti


E poi c'è l'agonismo, la malattia della competizione, una malattia da cui difficilmente si guarisce con il tempo; più facilmente continua ad accompagnarci e la adattiamo alle mutate situazioni.
La definizione di Agonismo ci rimanda ad Agone, che oltre ad essere un pesce commestibile che frequenta i laghi subalpini italiani, significa letteralmente "gara - competizione", derivando dal greco "Agon".
Alla voce Agonismo il dizionario sentenzia: "particolare o deciso impegno di un atleta nella competizione sportiva", o ancora: "strenuo impegno, volontà di vincere una competizione".
E' vero e ne sono assolutamente convinto che lo sport debba essere prima di tutto partecipazione, così come non mi convince chi avverte come "politicamente scorretto" l'agonismo nell'attività fisica. Siamo tutti d'accordo che l'agonismo non è obbligatorio.
Ma, non riesco a pensare ad una realtà meno agonistica della nostra società contemporanea; qui sì che mi vien da riflettere se l'agonismo contribuisca al bene comune. 
Si è agonisti dichiarati in tutto, tranne che nello sport, dove spesso ci si vergogna di confessarsi agonisti, soprattutto se non siamo "nati per vincere".
Ma nello sport l'agonismo è una legittima attrazione e l'esperienza diventa davvero tale solo se la si è praticata e la si pratica da agonisti.
D'altra parte è un fatto che a vincere una competizione sia solo uno.  
E gli altri che si sono allenati ma non hanno vinto?
Naturalmente non tutti i partecipanti possono aspirare a vincere (qui la mia esperienza è consolidata), non per questo motivo bisogna smettere le velleità agonistiche, anzi: se così fosse la gloria di un vincitore in una competizione con pochissimi partecipanti sarebbe davvero poca cosa.
Bisogna immaginare un motivo per competere che sia diverso dalla sola aspirazione di vittoria.
Così, spesso accade che oltre alla definizione della categoria correlata all'età, data dalla Federazione, ci creiamo altre e infinite sottocategorie, solo mentali, solo nostre, assolutamente personali, che rinfocolano la nostra motivazione e aiutano ad accettare volentieri la costanza negli allenamenti.
E se qualche dolorino dovesse importunarci, pronti ad aiutarci avremo i nostri solerti Dottor Sportivi, prodighi di consigli e terapie disinfiammanti. Tecar, Laser.. magari un bel plantare; e via, come nuovi e più leggeri di prima! Però, nella rilettura dell'ultimo periodo, mi par di cogliere un'ironia neanche tanto sottile; forse è meglio eliminarlo.
Come? Andrea mi dice che l'ha già mandato "in stampa", va beh pazienza, mi tengo la responsabilità di ciò che ho scritto. 
E' comunque sicuro che ancora rappresentiamo un target appetibile, non solo per quanto riguarda indumenti, scarpe, riviste di settore, integratori, etc.
Per ognuno la misura raggiunta o il tempo realizzato costituiscono inevitabilmente il riferimento primo con cui confrontarsi nelle successive gare o addirittura provare a migliorarle l'anno successivo, innescando di fatto un agonismo virtuoso, del tutto personale, solo nostro, che ci porta ad affermare: "mi batterò"!
A volte stabiliamo un personale rapporto agonistico con un amico, che al momento della gara diventa l'avversario assoluto, come è giusto che sia; se davvero ci si rispetta, si deve sempre dare il massimo, vincerà il migliore in quel momento.
Ma ancora, ulteriori stimoli potremmo riuscire a trarli leggendo graduatorie e statistiche, valutando le condizioni ambientali del tal risultato: "c'era vento contro" (di bolina, direbbe Giovanni Soldini); oppure: "pioveva", (non nelle indoor, per carità); dandoci nuovi giustificati obbiettivi di miglioramento.
Oppure potremmo ricavare soddisfazioni verificando dettagli che solo noi possiamo cogliere.  
Ricordo un anno in cui, con un po' di fortuna, vinsi all'ultimo anno di categoria e, dopo un'immersione completa nei risultati di tutta la mia fascia d'età, un po' rimbambito, mi accorsi che nessun altro, anche nelle altre gare, era riuscito a salire sul podio.
Tutte cose che forse appaiono un po' come "carezze mentali", ma direi che possiamo non vergognarci di gioire delle piccole gratificazioni personali, soprattutto se rappresentano nuova benzina da mettere nelle gambe e benefici massaggi per la mente.

Prof. Plantarino