Mi inerpico in un campo minato, ma dopo quasi 30 anni di atletica alle spalle (praticata), penso di poter dire qualche cosa, anche se molto marginalmente. Volevo parlare dei tecnici italiani, limitandomi esclusivamente al mio vissuto, quello di sprinter (purtroppo già master) e su come guardandolo da fuori quel mondo sia davvero un mondo troppo poco organizzato, troppo chiuso alle nuove idee, troppo dogmatico e troppo poco ancorato alla scienza e molto più al "sentito dire", al copia-incolla dell'allenamento millantato dal coach del campione di turno.
Fortuna - Ho avuto l'enorme fortuna di conoscere già 35enne una persona completamente avulsa dal nostro sistema-atletica, che non ne conosceva la terminologia che ogni organizzazione si crea, i "tempi", i modi: del resto ogni contesto nella vita crea reti di persone che condividono una propria lingua, determinati atteggiamenti, anche una strutturazione piramidale tacita, basata esclusivamente sul "risultato", com'è giusto che sia in un mondo come quello di uno sport. Grazie a Valerio nella mia limitatissima esperienza di sprinter 40enne, sono tornato ad ottenere prestazioni molto vicine ai risultati dell'inizio degli anni '90, ovvero ogni tanto qualche puntata sotto gli 11" (anche se ventosi, o in altura, ma vi assicuro che l'ebbrezza del sub-11" con qualunque condizione per un atleta scarso come me è come quella del sub-10" per uno evoluto) e ad avvicinare la barriera dei 22" sui 200, che vi assicuro a 40 anni comporta davvero un enorme sacrificio soprattutto di tempo. Il fisico non è quello del 20enne, si sente, la voglia com'è noto è pari, le conoscenze e l'esperienza si è moltiplicata. Ma il primo fattore è decisamente più impattante di tutti gli altri messi insieme. Ma come dicevo è arrivato nella mia carriera sportiva una persona completamente avulsa dal "nostro" contesto, che a differenza di molti coach che ho conosciuto nel corso della mia carriera sportiva, partiva da un approccio completamente diverso sia relazionale che "scientifico". Grazie alla curiosità della persona, l'intelligenza, l'apertura mentale, internet e forse anche il fatto di non aver fatto parte del "sistema" è risultata decisamente quella più preparata nello sprint che abbia mai conosciuto. Potrei dire che forse è la più avanti... ma non conosco tutti i coach, quindi...
Il modello - Di Valerio potete vedere già alcuni gesti concreti che vi raccontano l'approccio generale, ovvero diffondere informazioni: sul mio sito trovate i suoi scritti, messi a disposizione di tutti, che altro non sono che uno studio personale, profondo, storico, scientifico, fisiologico, e quel che più sorprende, completamente gratuito, e tutto quanto riguarda le teorie anche più sconosciute sullo sprintismo mondiale, e che ha previsto anche un reclutamento di edizioni quasi sconosciute di libri dei più impronunciabili tecnici russi, americani, canadesi... e italiani. Naturalmente questo non si può fare, senza che nel frattempo non si crei una conoscenza stratificata della fisiologia umana, cosa alla quale moltissimi tecnici italiani nemmeno si avvicinano se non per macroconcetti assolutamente fuorvianti. Negli atleti evoluti (sicuramente più di me) ad un certo punto della loro carriera scatta qualche cosa: vogliono sapere e vogliono capire quello che stanno facendo. Naturalmente meglio gli atleti "stupidi", quelli che non chiedono mai, ma di sicuro dover spiegare dei concetti aiuta anche chi è costretto a doverli spiegare.
Il feedback - da atleta compassato, mi sono reso conto di una cosa. Anche nel mio periodo "aulico" è mancata una cosa: il feedback atleta-tecnico. Secondo me i programmi d'allenamento non dovrebbero essere principi scolpiti nella pietra, immutabili, granitici: il vero coach è quello che li sa modellare, stando nel disegno generale e nell'archetipo pianificato, a seconda dell'atleta e delle condizioni contingenti. Mi sono trovato nel passato a fare allenamenti fantastici e a continuare ad allenarmi nonostante sarebbe stato il caso di fermarsi per non compromettere lo stato di grazia e di contro a "dovermi" allenare quando non avrei potuto mettere insieme due ripetute. Il feedback è importante! Il dialogo del binomio atleta-tecnico è fondamentale per crescere un insieme: il corpo ha proprie risposte a determinati stimoli che non sempre (talvolta quasi mai) rispondono come si vorrebbe: l'atleta è in camera di regia del proprio corpo e deve sapere quello che gli succede e deve poterlo trasmettere, ma con una conoscenza che vada oltre il "sono stanco" o "sto bene". Il tecnico lo deve aiutare a capire, non deve limitarsi a prospettare il piano di allenamento. Ogni rapporto è una strada percorsa insieme, com'è possibile innestare altri percorsi forzatamente?
I segreti "tecnici" - Ecco, la prima cosa che osservo nei tecnici italiani è quel senso di segretezza sulle proprie metodologie, sulle proprie esperienze che finisce per limitare essi stessi. Non ha davvero senso al giorno d'oggi fare i misteriosi sulle proprie conoscenze e sulle proprie esperienze, o rendere note solo quelle vincenti e non quelle perdenti, o solo quelle sensazionali e non tutta l'architrave del proprio pensiero. Soprattutto se lo si fa tutto senza percepire denaro per la propria mancata professionalità. In Italia sembra essere tornati all'epoca dei comuni, dove ognuno seguiva la propria strada nel proprio feudo, diffidando di tutti, sparlando di tutti e ritenendo la propria esperienza l'unica degna di nota. Poi arrivava la scorreria organizzata d'oltralpe e faceva tabula rasa. Mentre l'unione di conoscenze aumenta la conoscenza generale con fattori esponenziali, le conoscenze singole non si sommano affatto e fanno ristagnare quello che è il vero successo dell'uomo del XXI secolo, ovvero la conoscenza interrelazionale. La rete di conoscenze, il net, aumenta il valore medio delle conoscenze. I dogmatici sono destinati ad essere esiliati.
Le conoscenze che si diffondono solo verticalmente e mai orizzontalmente - uno dei difetti che ho sempre notato nel mondo dei tecnici, è la direzione univoca della diffusione delle conoscenze. Uno ha un atleta forte, un top-sprinter, e a lui nessuno, sembra, potrà mai dire nulla. Lui dice e gli altri ascoltano. Devono ascoltare. Non c'è contraddittorio. Poi in Italia si è imposta una sola filosofia, tanto che ogni possibile variazione sul tema sembrava blasfemia. Oggi la rete ne ha demolite molte parti, anche perchè su alcuni assunti nessuno ha mai avuto le contropartite scientifiche: erano solo astrazioni di studi di 20 anni prima che nessuno si era più preso la briga di evolvere. Così si sono create deduzioni basate su altre deduzioni, basate a loro volta (spesso) su aspetti non verificati. In un modello di diffusione delle conoscenze del genere, com'era possibile far evolvere una corrente di pensiero "aperta", recettiva, dinamica, adeguata ai tempi? Poi conoscenze dispensate una-tantum, ovvero dispensate una volta per sempre, che nel breve lasso dell'ora di esposizione lasciavano (e lasciano) più dubbi che certezze, più critiche che consensi. Ma questo forma di dispensare le conoscenze è del resto tipica delle non-organizzazioni, cioè di quelle forme di associazioni per le quali per lavarsi la coscienza e poter dire di aver fatto qualche cosa, si fermano a quel momento istituzionale. Invece quante esperienze in più si potrebbero studiare se tutti facessero parte di un unico progetto. L'aspetto patologico del sistema (dalla sua assenza, direi), sono gli allenamenti fatti durante i raduni: uno che ha un titolo "Fidal", un giorno convoca l'atleta del tal tecnico e ci impianta il suo allenamento che durerà il breve spazio del raduno: l'ho sempre ritenuta una forma sgradevole di mala-organizzazione, di arroganza tecnica, di celodurismo forzato per dimostrate ai piani alti dell'organizzazione che "qualche cosa si sta facendo".
Assenza di organizzazione - quello che mi ha sempre sorpreso guardando da fuori il mondo dei tecnici, è sempre stata la completa mancanza di organizzazione dell'intera categoria. Uno si sveglia al mattino, e si trova a fare il tecnico. Parte per la sua strada, mette insieme solitamente quelle che sono le sue esperienze personali e le applica ai propri atleti. Sentivo l'altra sera a Milano delle giuste considerazioni: ci sono magari due strutture, quella Regionale e quella Nazionale, che si sovrappongono, con atleti talvolta convocati contemporaneamente da due Fidal diverse. In realtà è difficile intravedere una struttura da qualche parte e chiaramente molto dipende dall'assoluto stato di volontarietà di cui la categoria è basata. Le risorse evidentemente se spese, sono state spese male per quel che si vede. Data la diaspora dei tecnici sul territorio, mi sembra pacifico che l'unico modello funzionale debba e possa essere piramidale (ovvero creare una gerarchia di tecnici basata sul merito) piuttosto che a raggiera, com'è adesso, ovvero con un tecnico "faro" che dovrebbe illuminare gli altri in quelle poche occasioni in cui vengono fatte delle riunioni. Questo metodo non serve a nessuno, come già detto: sembra, da fuori, quasi sempre una passerella di bellezza di chi "ha sfondato" con poche e scarse ricadute sul resto dei tecnici che tornano solitamente sulle propirie piste storditi e convinti che mozziconi di allenamento sentiti possono adattarsi ai propri atleti. Probabilmente bisognerebbe creare una gerarchia di tecnici dislocata sul territorio, non a due gradini (chi è "Fidal" e chi non lo è) basate su alcuni fattori come appositi esami sempre più complessi, il numero di atleti portati nelle classifiche regionali/nazionali, un parametro che soppesi anche gli abbandoni di atleti che lo stesso tecnico ha ricevuto (se uno ha 1000 atleti, è chiaro che statisticamente avrà più possibilità di emergere).
Certificare l'unione tecnico-atleta - Per fare questo è necessario creare un vincolo scritto tra l'allenatore e l'atleta... mi spiego, da qualche parte qualcuno dovrebbe annotare chi allena chi, esattamente come si fa già in Inghilterra. Sulle graduatorie britanniche infatti, è presente accanto al nome dell'atleta, il nome del tecnico che lo allena. E clikkando sul nome del tecnico, si vedono tutti gli atleti allenati e quindi farsi un'idea se quello sia un tecnico di un solo atleta, un fenomeno, un fortunato o un paraculo. Insomma, l'organizzazione nasce strutturando i ruoli, non sperando che l'entropia generale si inculchi per osmosi nei tecnici. I tecnici devono periodicamente sottostare ad esami di valutazione, non nascere tecnico e rimanere tale con le conoscenze degli anni '70. La stessa ambizione a ricoprire ruoli "istituzionali" tra i tecnici, dovrebbe seguire un cursus honorum di alcuni step, non dovrebbe essere la chiamata del messia di turno. Tecnico della Nazionale non può diventare l'amico dell'amico, per intenderci, ma il migliore dei tecnici. Un premio anche alla carriera, se vogliamo. Un'articolazione più strutturata renderebbe anche più "spendibili" i ruoli al di fuori dell'organizzazione atletica: poter dire "sono un tecnico di prima categoria dell'atletica" (su una piramide di 3 o 4 step) piuttosto che dire "sono un tecnico Fidal" potrebbe avere nel lungo periodo una ricaduta professionale su chi più arriva in cima alla piramide grazie ai propri sforzi e anche fuori dal mondo dell'atletica. Oggi il livellamento è chiaramente verso il basso e nessuno, penso, ha capito come l'organizzazione sia strutturata e soprattutto tutti hanno capito che i criteri utilizzati, se utilizzati, non riguardino certo il merito.
Perchè non valutare i tecnici? Così rilancio questa idea. A parte le conoscenze fisiologiche, metodologiche, scientifiche, che dovrebbero essere verificate periodicamente, perchè non valutare i tecnici sulla base dei propri atleti, ma non solo quelli "forti", ma tutti quelli a sua disposizione? Avere un atleta che da 11" che scende nella stagione a 10"50 sui 100 e che si allena con un compagno che con la medesima metodologia d'allenamento invece da 11" passa a 11"50 nella medesima stagione, dovrebbe portare ad una valutazione del tecnico in definitiva non così positiva, e più legata al caso. Questa sarebbe una valutazione obiettiva, perchè mi sembra che nel nostro recente passato troppi tecnici hanno fatto strada facendo macelleria di atleti e avendo la fortuna di averne trovato in definitiva uno che a quel macello è riuscito a far testa.
Vabbè, era solo una riflessione da fuori.
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