07/10/12

Le proposte di Queenatletica: tesseramento individuale? E' ora di crescere

Sono anni che lo scrivo, e questo è uno dei momenti più propizi per riproporre la proposta, nella speranza che qualcuno la legga. Nella mia piccola guerra contro la filosofia improntata al societarismo più sfrenato dell'attuale ordinamento della Fidal e fomentata dalla colonizzazione di Presidenti Societari a tutti i livelli dell'Organizzazione atletica, ritenevo di introdurre un'altra piccola discussione su un'altra innovazione, che di fatto potrebbe sgretolare lo strapotere delle società, ovvero il tesseramento individuale.

Cosa sarebbe il tesseramento individuale? Semplicemente la possibilità concessa a determinati atleti e a determinate condizioni di potersi tesserare direttamente presso la Fidal senza dover necessariamente far parte di una società, con la semplice presentazione del certificato medico di abilità agonistica. Rivoluzionario? Macchè, sia negli States che in Inghilterra è una vita esistono i cosiddetti "unattacched", ovvero atleti che corrono per i cavoli loro. Chi sarebbero i "determinati atleti"? Bè, è presto detto: le società bisogna comunque salvaguardarle sui giovani. Ergo, tale facoltà sarebbe da consentire oltre una certa età: dopo la categoria promesse? I vincoli naturalmente rimarrebbero nel caso del passaggio di atleti da una società all'altra, mentre l'atleta che volesse "liberarsi", nulla dovrebbe alla società, per i motivi che spiegherò qui sotto. 

un'interpretazione diversa della visione del rapporto atleta-società

Le società ad una proposta del genere si opporrebbero come i 300 spartani alle Termopili, ed io non voglio fare Serse e non voglio utilizzare un gobbo doppiogiochista per vincere la battaglia. La motivazione principale delle società a che tutto ciò non avvenga è sostanzialmente questa: noi abbiamo investito sull'atleta nei più svariati termini e nel tempo, ovvero con sovvenzioni, tecnici, cure, viaggi, indumenti, scarpe... Ineccepibile l'assunto. 

Ma nessuno ha mai obiettato nulla a questo assunto? L'atleta è rimasto con una casacca senza mai dare nulla per tutti gli anni in cui l'ha vestita? Ha solo ricevuto? E allora metto sulla bilancia queste cose: le centinaia di ore di allenamento serale (evidentemente non retribuito), spesso il dover pagare autonomamente per l'accesso ai campi, la maggioranza degli atleti si deve pure acquistare gli indumenti per allenarsi, molte mamme devono lavare migliaia di capi ogni anno (e chi le paga le mamme? E l'acqua? E l'energia elettrica? Dalle società?); il costo dei viaggi per andare ad allenarsi? A dire il vero molti si devono pure pagare i viaggi per andare a gareggiare... a fine dell'anno, secondo voi, avrà speso più la società per finanziare l'atleta o l'atleta per finanziare la propria attività di cui godrà la società? Parlo naturalmente di atleti non-professionisti (ovvero che non fanno parte di un gruppo militare) perchè al "professionista" non conviene essere libero, a meno che... lo vedremo dopo. Talvolta, il vincolo "societario" è rimasto esclusivamente de iure, cioè rappresentato solo dalla canotta sociale, senza che dirigenti e atleta si siano manco mai conosciuti. E molti atleti vivono in contesti del tutto diversi dalla sede sociale, si allenano autonomamente, non hanno legami. 

Tesseramenti singoli nel nome del liberismo e delle prime forme di professionismo reale

La mia è una proposta di liberismo puro che potrebbe anche lanciare finalmente una primordiale forma di professionismo su coloro che davvero sono gli atleti "top" (ovvero non più di 3/4 in Italia in questo momento). Come è noto, le uniche forme di proto-professionismo attuali sono legate ai gruppi sportivi militari. Ma è appunto... "proto", ovvero primitivo, iniziale, e che soprattutto a causa della sua natura "militaresca" e "statale" non può per definizione esplodere. Molto spesso mi trovo ad interrogarmi sulle pubblicità in cui compaiono gli atleti italiani facenti parte dei gruppi militari, in palese contrasto con numerose norme di diritto relativo alle Pubbliche Amministrazioni. Pensate: un poliziotto per pochi euro ricevuti da prestazioni non legate al proprio servizio, rischia pesanti sanzioni disciplinari, mentre decine di atleti compaiono per quella che non è certo una prestazione professionale in tv al fine di reclamizzare i più svariati prodotti a somme infinitamente superiori. Mi son sempre chiesto come svincolavano sulle norme di tutela dell'autorità della divisa, ma poi mi son subito detto che siamo in Italia o che comunque nessuno è mai andato a fondo della cosa. Chi controllerebbe, poi? I finanzieri per i poliziotti? I carabinieri per i penitenziari? I poliziotti per i forestali? Dai...

Il tesseramento individuale sarebbe una possibilità per molti per non vincolarsi necessariamente ad una società. I grossi brand (escluso uno, evidentemente, che vuol fare la propria pubblicità a spese di tutti), potrebbero entrare finalmente in uno sport dove prima la presenza delle società militari (normativamente impossibilitate ad intraprendere strade che sposassero il business) poi l'estremo provincialismo dei dirigenti della Fidal, i cui unici intenti dimostrati si son dimostrati esser rivolti esclusivamente agli interessi particolari e personali, hanno frustrato qualsiasi tentativo di retribuire in maniera adeguata gli atleti "top". Un atleta che guadagna tanto per i propri risultati, investe necessariamente su sè stesso... quindi per tutto il movimento. Oggi non è così. Vengono elargite sovvenzioni da parte della Fidal che potrebbero essere impiegate, a questo punto, in altre attività (questo se ci fossero dei dirigenti intellettualmente onesti, naturalmente).

Per l'atleta non-professionista, invece, la possibilità di non doversi accasare necessariamente presso una società. La facoltà di disporre del proprio destino sportivo...

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