13/08/09

Bilanci finlandesi: prime riflessione

Tracciamo un bilancio della trasferta a Lahti della compagine italiana? A caldo, col rischio di dimenticare qualcosa o qualcuno, mi arrischio io per primo partendo dai freddi numeri, che volenti o nolenti sono il nostro pane. Le 65 medaglie vinte dagli atleti italiani, innanzi tutto, sono tante o sono poche? A Lahti alla fine si sono presentati 218 atleti italiani dei 292 inizialmente iscritti: il 74%. Il 26% ha invece deciso di starsene a casa per le motivazioni più varie. Principale: il costo della trasferta. Nel medagliere finale l'Italia è giunta settima. A Riccione si arrivò secondi dietro la Germania (nonostante il rapporto di 3 atleti ad 1). L'Italia rientra probabilmente nel novero delle nazioni con una delle tradizioni master più comprovate, ma è anche quella che vive un fenomeno singolare: gli ultimi posti. Cioè, se scorrete le classifiche di diverse specialità, noterete che in fondo ad alcune di esse si trovano diversi italiani che "agonisticamente" parlando, sono stati poco performanti. Altra riflessione: su Masterstrack leggevo che gli americani a Lahti erano 220. Gli italiani, come dicevo, 218: più o meno lo stesso numero. Ma gli USA hanno poi portato a casa la bellezza di 147 medaglie di cui 63 d'oro (1 ogni 4 atleti, praticamente). Più del doppio dell'Italia, e soprattutto un rapporto di vittorie notevolmente maggiore. Spiegazione fin troppo facile: a Lahti sono venuti più master americani convinti di far bene, mentre in Italia l'idea della mera partecipazione è ancora prevalente rispetto a quella del risultato a tutti i costi. Difficile dire chi possa avere ragione. Certo è che le voci che si sollevano da diverso tempo chiedono un innalzamento qualitativo degli standard prestativi dei master, proprio come investimento su una quota di atleti che (soprattutto delle categorie più "giovani") deve vincere prima di tutto il proprio pregiudizio sul mondo master. Dall'altra parte non dimentichiamo che un mondiale master è un'opportunità non marginale di guadagno per una città e il suo circondario: fare tagli o imporre minimi (io ritengo che dovrebbero essere imposti almeno fino ai 55/60) probabilmente taglierebbe parte dei guadagni e la WMA a Lahti, invece di intervenire a difesa degli atleti, ha semplicemente scrollato le spalle. Quindi teniamoci il mondiale oceanico.
Ma torniamo alla domanda iniziale: che peso diamo alle nostre medaglie? Mi sono preso la briga di verificare in quante categorie erano presenti gli italiani: 18, 11 maschili e 7 femminili. Tra gli uomini sono mancati gli M85 (uno su tutti, Bruno Sobrero); tra le donne addirittura nessuna F55! Quindi un buco dalle F70 alle F90: 20 anni, 4 categorie, senza nemmeno un'atleta italiana! Dividendo il numero di medaglie, per il numero di categorie si arriva ad un valore: 3,61. Vale a dire che ogni categoria ha vinto poco più di tre medaglie e mezzo. La categoria più prolifica è stata la M40 con 10 medaglie (5 ori, 2 argenti e 3 bronzi). Poi gli M90 con 7 ori ed un argento: 8 medaglie. Se aggiungiamo la Gabric la categoria degli ultranovantenni italiani arriva a 11 medaglie: l'incidenza sul totale è forse troppo pesante: dimostra come il resto del movimento si sia un pò arrestato. Del resto solo quattro vittorie femminili (nelle 35, 40, 45 e 65).
A me francamente, in questa prima riflessione a caldo, mi sembra che l'Italia master non possa essere quella di Lahti: o, almeno, mancava qualcosa. Volevo inizialmente fare un paragone con San Sebastian 2005: da allora c'è stata indubbiamente un miglioramento, ma come dimenticare le 3 incredibili opportunità che ci sono capitate? Riccione ha fatto esplodere il fenomeno master in Italia; Lubiana è stata un pò la consacrazione fuori dai confini, in considerazione della vicinanza all'Italia; Ancona è stata l'apoteosi finale. Ma se guardiamo San Sebastian da Lahti, soli 4 anni, in realtà è come se parlassimo del periodo giurassico. Riccione non è minimamente paragonabile con nulla: rimarrà un evento sui generis e quella opportunità di far crescere tutto il movimento, come si è sempre detto, la si sta perdendo a poco a poco. Per questo i risultati di Lahti (per qualcuno positivi, per altri meno) sono duplicemente interpretabili.
Da un punto di vista ottimistico, quello di Lahti è un mondiale che si pone tra i più prolifici della nostra nazionale. Dall'altra il clima (soprattutto) sembrava quello di un'incipiente lenta agonia. Werther Corbelli su Atleticanet scriveva giusto oggi che si è forse fatto un passo indietro (o due...) rispetto al recente passato: concordo pienamente. Diversamente da Corbelli ritengo però che il problema non sia tanto la lontananza del luogo in cui avviene l'avvenimento internazionale: i master che hanno ambizioni sportive, secondo me sono anche disposti a sforzi economici non indifferenti per raggiungere le varie destinazioni. Francamente se poi tutto costa come a Lahti, con gli stessi prezzi si vola tranquillamente fino a Kamloops. Ecco, secondo me il vero problema è che la nazionale italiana non sembra una nazionale. Ognuno si deve arrangiare dall'inizio alla fine: prenotazioni, viaggi, alberghi, orari delle gare, premiazioni. E' come fare una vacanza fai-da-te. Solo che te la fai in Finlandia, al freddo, sotto l'acqua quotidiana e senza nemmeno la possibilità di viverti "il clima della nazionale": Non c'è alcuna condivisione con gli altri: poi chiaro, succede che ci si conosce, vedendo uno che gira con la stessa maglietta.
Sulle tribune finlandesi gli australiani facevano gruppo; gli americani idem; gli inglesi si erano piazzati dall'altra parte dello stadio. Qui mi riallineo con Corbelli: deve essere la Fidal (qui il primo suggerimento) che deve muoversi per tempo e creare "gruppo", cercando (e poi proponendo) le opportunità logistiche già con mesi e mesi di anticipo. Poi ce le paghiamo noi, naturalmente. Se poi uno non vuole vivere in compagnia, insomma, sono fatti suoi. Ma come non credere che questo non sia il primo passo per favorire la crescita numerica (e di conseguenza prestativa) dei master italiani quando vanno all'estero? Ma dei problemi organizzativi delle trasferte master, lasciatemi parlare nel prossimo intervento più organico e, spero, propositivo.
Ritorniamo agli aspetti prettamente tecnici. Mancavano alcune punte: Mario Longo, Emma Mazzenga, Bruno Sobrero, Tiziana Bignami solo per fare i primi nomi che mi vengono in mente. Ma assolutamente emblematico è il vuoto trasversale tra le categorie femminili nella velocità/ostacoli: 5 presenze totali su un potenziale di una dozzina di categorie e 5 specialità: 5 atlete su 60 gare, 1 atleta ogni 12 gare: forse bisogna interrogarsi sul perchè.
Sapete cosa penso? Che quando una persona decide di far parte di un'organizzazione attraverso il pagamento di una tessera, questa stessa organizzazione deve far in modo di fornire un minimo di servizi ai propri iscritti. In Italia, scusatemi, questa stessa organizzazione che conosciamo come Fidal, non sembra aver alcun interesse a che il fenomeno master venga diffuso. Il volto della Fidal (il sito internet) è emblematico: 3 articoli sui mondiali master, tra l'altro su alcune giornate "random", prese a caso, e guarda caso parlando solo dei soliti volti noti. Ma non fraintendetemi: non è che non si debba parlare dei volti noti, anzi, ma perchè forse ciò denota una scarsa conoscenza del mondo master nella sua globalità e della sua eterogeneità.
Ora secondo me, dobbiamo cominciare ad essere seriamente preoccupati: il mondo master cresce in termine di numeri (e sarà una tendenza continua, così come l'età media della popolazione sta crescendo) ma la sua forza è annichilita dal fatto che la visibilità data nei grandi appuntamenti risulta vieppiù frustrata e non considerata da questa Federazione.

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