18/09/13

il grande Pietro e quel qualcosa che non è mai stato detto

Come scrivevo al tempo della scomparsa di Pietro Mennea, c'è una nota che continua a stonare terribilmente nel mondo dell'atletica italiana nel proprio rapporto con il più grande atleta di sempre, il nome-cognome di questo sport nel mondo. Lui è rimasto dentro ognuno di coloro che hanno amato l'atletica, per questa sua immagine di ometto normalissimo, col fisico quasi da collega d'Ufficio, ma che per quasi due decadi ha legnato il gotha dello sprint mondiale. Pensare al collo taurino di Allan Wells, al suo volto da boxeur, il fisico scalpellato in un blocco estirpato dalle scogliere di Dover, e poi... cambiare inquadratura, e vedere la magliettina bianca sotto la canotta azzurra di Mennea... quasi a nascondere il fisichino per pudore: ma come ha fatto? Come faceva poi a sovvertire pronostici già scritti? Oppure messo di fianco al bisonte russo Borzov, uomo robotizzato, figlio della technological rush dovuta alla Guerra Fredda, e quel ragazzotto pugliese dall'età indefinibile, così "normale"? Ma non voglio lanciarmi nel tratteggiare l'ennesima elegia di Pietro (lo chiamo per nome, perchè nel nostro vissuto sportivo era una sorta di amicizia inconscia, immanente in tutti noi) perchè tutto è stato già detto e scritto.

Quello che sottolineo per la seconda volta parte da lontano, ma dà la misura di quello che voglio dire. Ero all'Arena di Milano, in una pausa di un allenamento e si discorreva con qualche allenatore sulle imminenti elezioni federali, cosa della quale mi disinteressavo completamente: mi interessava correre, mica impegolarmi in quelle cose. Eravamo alla fine degli anni '90, e mi intromisi ingenuamente in quella discussione, facendo un'affermazione che ritenni assolutamente lapalissiana: "ma perchè non lo fa Mennea il presidente della Fidal?". Attimo di astonishment generale. Il sasso lanciato in mezzo allo stagno che ferma il tempo per un momento che sembra infinito. Poi mi rispose un allenatore, di cui ricordo bene il volto nel momento in cui mi parlava, ovvero storcendo la bocca: "mah... Mennea è stato un grande atleta, ma... non lo vuole nessuno. Non sarebbe in grado di guidare l'atletica italiana". Questo il senso delle sue parole che erano evidentemente condivise dal capannello di persone con cui parlavo. Ci rimasi male... feci la figura del pirlotto. Mi resi conto che probabilmente c'era altro sotto. Non sapevo "cose".

Ma cosa poi? Perchè chi ha guidato l'atletica italiana negli ultimi 20 anni, che miracoli ha poi realizzato? Avete visto miracoli in giro? O alla fine si riduce tutto ad una questione di fede?

La settimana scorsa si è tenuto il Mennea Day... trovata geniale, davvero. Non scherzo. Centinaia di persone a celebrare il più grande atleta italiano di sempre nella sua gara. 200 metri in suo onore. Giustamente. Bellissima e dovuta idea. Riconoscimenti urbi et orbi, tutti concordi a sottolineare la sua grandezza che rimarrà probabilmente intoccata alle nostre latitudine per chissà quante centinaia di anni. Poi leggo anche di lodevoli incontri per ricordarne le gesta: bè, per provare brividi, basterebbe riguardarsi la sua finale di Mosca in silenzio col commento "sorpreso" di allora di Paolo Rosi). Tutto bellissimo, ma... comunque la si giri, a me mancano 25 anni di Mennea all'appello, ovvero da quando smise a quando, purtroppo, venne a mancare.

Non ci si può dar pace oggi, c'è qualcosa di ipocrita in fondo. Dov'è stato Mennea in tutti questi anni? E' diventato un uomo di successo, impegnato in mille attività in ognuna delle quali è diventato qualcuno. Perchè non l'atletica? Su facebook ho notato la presenza di molti atleti dal passato glorioso: tutti evidenziano il loro trascorso sportivo, chi più, chi meno: ma quella è la loro immagine pubblica. In pochi lo nascondono, o cercano di bypassarlo in quel calderone personale che è il social network. Chi ha avuto tanto dallo sport, ci rimane legato a vita. Ed è mai possibile che l'unico indifferente al proprio mito ne sia stato proprio il protagonista? Lui che andava nelle scuole a parlare di sport? Non ci credo proprio.

Come scrivevo la settimana dopo la sua morte, possibile che Pietro abbia poi odiato tanto l'atletica da diventarne un oggetto estraneo? Mi interrogavo, allora: è Pietro che si è allontanato dall'atletica, o è l'atletica italiana che si è allontanata da Pietro? Oggi penso che la risposta giusta sia la seconda, senza nemmeno tante elucubrazioni: non so se fosse una persona scomoda, o che andava lusingata per essere convinta (e francamente, andava lusingata!), ma nessuno si è mai chiesto se tutte le diverse cordate federali che si sono succedute in questi 25 anni anni, abbiano mai pensato di coinvolgere Mennea con un ruolo apicale in Fidal?

Ammetto l'ignoranza in materia: può essere pure successo e me lo sono magari perso... ma intimamente non lo penso. Non può esserci mai stato nessun dirigente dell'atletica italiana che abbia voluto Pietro al suo fianco: troppo ingombrante, troppo "uomo", troppo famoso. Mennea non era uomo utile a questa atletica italiana frammentata, impegnata più a mantenere piccolissimi ed infimi privilegi piuttosto che ad avere uno sguardo globale e educativo di questo sport. Non andava bene, e non sarebbe mai andato bene "strutturalmente", perchè Pietro avrebbe voluto dire rivoluzionare la filosofia dell'atletica in Italia. Se avete per caso assistito alla mia chiacchierata con Pietro al telefono, quando Mario Longo riuscì a trascinarlo nella corsa alla Presidenza della Fidal, tutto quello che in questi anni si è ritenuto essere vitale, non l'ha nemmeno considerato. Ammetto che allora mi dissi: "Cavolo, Pietro entra in un mondo che non conosce molto...". Oggi, ritengo che ero io che ero "embeddato" dalla parte sbagliata della barricata.

Non ne sapeva quasi nulla di società civili, militari, organizzazione della Fidal... Parlava di scuola, valorizzazione dello sport: premeva sugli aspetti educativi. Possibile? Temi che non hanno avuto un passato, non hanno un presente, nè avranno un futuro. Oggi serve solo il risultato finale, su quello si può costruire qualcosa: questo è il pensiero dominante. Eppure i risultati dell'atletica italiana a livello internazionale parlano chiaro: l'atletica di vertice è incoerente senza professionismo, o con il semi-professionismo di Stato, al quale si aggiunge qualche contributo della Federazione. Serve davvero ripartire da basi più solide, qualcosa con l'aggettivo educativo accanto, infischiandosene dei risultati apicali, per concentrarsi su quelli di pura diffusione dello sport e più rivolta alla base. Poi sarà inevitabile che arrivino i risultati. L'idea di atletica di Mennea non aveva e non avrebbe mai avuto spazio.

Oggi, dopo aver compreso molti dei meccanismi alle ultime elezioni federali, molti dei quali davvero riprovevoli, mi son reso conto che la nostra battaglia (partita da Mario Longo) per avere Pietro come Presidente della Fidal, ha rappresentato qualcosa più che velleitario. Eravamo un pò illusi, ma insomma: alla fine è stato l'unico tentativo a me noto di avere Pietro a capo dell'atletica italiana. Mi rincresce davvero: potessero votare gli appassionati o i semplici tesserati, non ci sarebbe mai stata storia. Ma come sapete, non è così. E non lo sarà mai. Mi piacerebbe sapere quanti, tra tutti i dirigenti dell'atletica, in quei pochi mesi in cui si provò a far passare questa idea con un Mennea uomo forte della Fidal, si avvicinarono o appoggiarono Pietro. Quanti saranno stati Mario? Tu lo sai?

Concludo con una riflessione molto amara e che mi ha spinto a non partecipare al Mennea-Day: di Pietro ce ne si è ricordati tutti solo dopo la sua morte. E negli ultimi 25 anni, dov'eravamo tutti? Anzi, dov'erano? 

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