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18/09/13

il grande Pietro e quel qualcosa che non è mai stato detto

Come scrivevo al tempo della scomparsa di Pietro Mennea, c'è una nota che continua a stonare terribilmente nel mondo dell'atletica italiana nel proprio rapporto con il più grande atleta di sempre, il nome-cognome di questo sport nel mondo. Lui è rimasto dentro ognuno di coloro che hanno amato l'atletica, per questa sua immagine di ometto normalissimo, col fisico quasi da collega d'Ufficio, ma che per quasi due decadi ha legnato il gotha dello sprint mondiale. Pensare al collo taurino di Allan Wells, al suo volto da boxeur, il fisico scalpellato in un blocco estirpato dalle scogliere di Dover, e poi... cambiare inquadratura, e vedere la magliettina bianca sotto la canotta azzurra di Mennea... quasi a nascondere il fisichino per pudore: ma come ha fatto? Come faceva poi a sovvertire pronostici già scritti? Oppure messo di fianco al bisonte russo Borzov, uomo robotizzato, figlio della technological rush dovuta alla Guerra Fredda, e quel ragazzotto pugliese dall'età indefinibile, così "normale"? Ma non voglio lanciarmi nel tratteggiare l'ennesima elegia di Pietro (lo chiamo per nome, perchè nel nostro vissuto sportivo era una sorta di amicizia inconscia, immanente in tutti noi) perchè tutto è stato già detto e scritto.

Quello che sottolineo per la seconda volta parte da lontano, ma dà la misura di quello che voglio dire. Ero all'Arena di Milano, in una pausa di un allenamento e si discorreva con qualche allenatore sulle imminenti elezioni federali, cosa della quale mi disinteressavo completamente: mi interessava correre, mica impegolarmi in quelle cose. Eravamo alla fine degli anni '90, e mi intromisi ingenuamente in quella discussione, facendo un'affermazione che ritenni assolutamente lapalissiana: "ma perchè non lo fa Mennea il presidente della Fidal?". Attimo di astonishment generale. Il sasso lanciato in mezzo allo stagno che ferma il tempo per un momento che sembra infinito. Poi mi rispose un allenatore, di cui ricordo bene il volto nel momento in cui mi parlava, ovvero storcendo la bocca: "mah... Mennea è stato un grande atleta, ma... non lo vuole nessuno. Non sarebbe in grado di guidare l'atletica italiana". Questo il senso delle sue parole che erano evidentemente condivise dal capannello di persone con cui parlavo. Ci rimasi male... feci la figura del pirlotto. Mi resi conto che probabilmente c'era altro sotto. Non sapevo "cose".

Ma cosa poi? Perchè chi ha guidato l'atletica italiana negli ultimi 20 anni, che miracoli ha poi realizzato? Avete visto miracoli in giro? O alla fine si riduce tutto ad una questione di fede?

La settimana scorsa si è tenuto il Mennea Day... trovata geniale, davvero. Non scherzo. Centinaia di persone a celebrare il più grande atleta italiano di sempre nella sua gara. 200 metri in suo onore. Giustamente. Bellissima e dovuta idea. Riconoscimenti urbi et orbi, tutti concordi a sottolineare la sua grandezza che rimarrà probabilmente intoccata alle nostre latitudine per chissà quante centinaia di anni. Poi leggo anche di lodevoli incontri per ricordarne le gesta: bè, per provare brividi, basterebbe riguardarsi la sua finale di Mosca in silenzio col commento "sorpreso" di allora di Paolo Rosi). Tutto bellissimo, ma... comunque la si giri, a me mancano 25 anni di Mennea all'appello, ovvero da quando smise a quando, purtroppo, venne a mancare.

Non ci si può dar pace oggi, c'è qualcosa di ipocrita in fondo. Dov'è stato Mennea in tutti questi anni? E' diventato un uomo di successo, impegnato in mille attività in ognuna delle quali è diventato qualcuno. Perchè non l'atletica? Su facebook ho notato la presenza di molti atleti dal passato glorioso: tutti evidenziano il loro trascorso sportivo, chi più, chi meno: ma quella è la loro immagine pubblica. In pochi lo nascondono, o cercano di bypassarlo in quel calderone personale che è il social network. Chi ha avuto tanto dallo sport, ci rimane legato a vita. Ed è mai possibile che l'unico indifferente al proprio mito ne sia stato proprio il protagonista? Lui che andava nelle scuole a parlare di sport? Non ci credo proprio.

Come scrivevo la settimana dopo la sua morte, possibile che Pietro abbia poi odiato tanto l'atletica da diventarne un oggetto estraneo? Mi interrogavo, allora: è Pietro che si è allontanato dall'atletica, o è l'atletica italiana che si è allontanata da Pietro? Oggi penso che la risposta giusta sia la seconda, senza nemmeno tante elucubrazioni: non so se fosse una persona scomoda, o che andava lusingata per essere convinta (e francamente, andava lusingata!), ma nessuno si è mai chiesto se tutte le diverse cordate federali che si sono succedute in questi 25 anni anni, abbiano mai pensato di coinvolgere Mennea con un ruolo apicale in Fidal?

Ammetto l'ignoranza in materia: può essere pure successo e me lo sono magari perso... ma intimamente non lo penso. Non può esserci mai stato nessun dirigente dell'atletica italiana che abbia voluto Pietro al suo fianco: troppo ingombrante, troppo "uomo", troppo famoso. Mennea non era uomo utile a questa atletica italiana frammentata, impegnata più a mantenere piccolissimi ed infimi privilegi piuttosto che ad avere uno sguardo globale e educativo di questo sport. Non andava bene, e non sarebbe mai andato bene "strutturalmente", perchè Pietro avrebbe voluto dire rivoluzionare la filosofia dell'atletica in Italia. Se avete per caso assistito alla mia chiacchierata con Pietro al telefono, quando Mario Longo riuscì a trascinarlo nella corsa alla Presidenza della Fidal, tutto quello che in questi anni si è ritenuto essere vitale, non l'ha nemmeno considerato. Ammetto che allora mi dissi: "Cavolo, Pietro entra in un mondo che non conosce molto...". Oggi, ritengo che ero io che ero "embeddato" dalla parte sbagliata della barricata.

Non ne sapeva quasi nulla di società civili, militari, organizzazione della Fidal... Parlava di scuola, valorizzazione dello sport: premeva sugli aspetti educativi. Possibile? Temi che non hanno avuto un passato, non hanno un presente, nè avranno un futuro. Oggi serve solo il risultato finale, su quello si può costruire qualcosa: questo è il pensiero dominante. Eppure i risultati dell'atletica italiana a livello internazionale parlano chiaro: l'atletica di vertice è incoerente senza professionismo, o con il semi-professionismo di Stato, al quale si aggiunge qualche contributo della Federazione. Serve davvero ripartire da basi più solide, qualcosa con l'aggettivo educativo accanto, infischiandosene dei risultati apicali, per concentrarsi su quelli di pura diffusione dello sport e più rivolta alla base. Poi sarà inevitabile che arrivino i risultati. L'idea di atletica di Mennea non aveva e non avrebbe mai avuto spazio.

Oggi, dopo aver compreso molti dei meccanismi alle ultime elezioni federali, molti dei quali davvero riprovevoli, mi son reso conto che la nostra battaglia (partita da Mario Longo) per avere Pietro come Presidente della Fidal, ha rappresentato qualcosa più che velleitario. Eravamo un pò illusi, ma insomma: alla fine è stato l'unico tentativo a me noto di avere Pietro a capo dell'atletica italiana. Mi rincresce davvero: potessero votare gli appassionati o i semplici tesserati, non ci sarebbe mai stata storia. Ma come sapete, non è così. E non lo sarà mai. Mi piacerebbe sapere quanti, tra tutti i dirigenti dell'atletica, in quei pochi mesi in cui si provò a far passare questa idea con un Mennea uomo forte della Fidal, si avvicinarono o appoggiarono Pietro. Quanti saranno stati Mario? Tu lo sai?

Concludo con una riflessione molto amara e che mi ha spinto a non partecipare al Mennea-Day: di Pietro ce ne si è ricordati tutti solo dopo la sua morte. E negli ultimi 25 anni, dov'eravamo tutti? Anzi, dov'erano? 

26/06/13

Caro Pietro... del Corridor Cortese

Caro Pietro
ti scrivo per dirti il mio personale grazie.
Scusa il ritardo, non tanto dalla data della tua morte, ma dal momento in cui ti sarebbe stato utile e confortante un qualsiasi gesto di riconoscenza. Meglio sarebbe stato se il riconoscimento, un semplice attestato di vicinanza, ti fosse arrivato dall'interno di quel mondo che è stato la tua vita. Dall'interno di quel mondo che ti ha osservato, utilizzato e promosso finché hai potuto correre ai massimi livelli mondiali. Eviterò commenti da "presidente del club del crisantemo", già esposti ed anche sovraesposti, dopo quella notizia così improvvisa che ha raggiunto noi e che tu da gran velocista hai preceduto. 
Caro Pietro, ti scrivo con un sentimento di prossimità, perché sei stato un riferimento anche importante che ha accompagnato la mia adolescenza e la mia maturità agonistica. Poi ti ho perso di vista, per oltre 20 anni non mi sono più occupato di Atletica in nessun modo. Qualcosa stava cambiando nell'atletica; anche nel modo di proporsi. Alcuni dei tuoi immediati successori (che già gareggiavano con te) non li digerivo granché, così ben disposti e sensibili alle esigenze dell'estetica e dello spettacolo (ma forse la mia era solo invidia). 
Eravamo abituati ad una particolare sobrietà, anche da parte di gente che le Olimpiadi le aveva vinte (già nell'era della TV). Nel mio immaginario, senza chiamarli, compaiono immediatamente Livio Berruti, Abdon Pamich e poi: Sara Simeoni, Pietro Mennea. Ecco, una sobrietà e una misura, che erano marchio distintivo, peculiare e signorile, dell'Atletica. 
In qualche modo, tu hai rappresentato un'epoca che si andava ad esaurire per lasciare spazio ad una nuova Atletica, assolutamente differente: l'inizio dell'Atletica Spettacolo; che si staccava dalla realtà (reale) per rincorrerne una virtuale, disposta al falso e all'illegale pur di affermarsi. 
Quando mi capitava di assistere a qualche importante gara di velocità poi, mi disamoravo ulteriormente vedendo alla partenza, quantità di muscoli così innaturali; ma anche quei miglioramenti così sorprendenti nell'arco di una stagione, erano e ancora sono davvero poco comprensibili. 
Forse dico delle cose, che tu con gran signorilità, non hai mai detto; mi piace pensare che stai sorridendo, togliendoti un sassolino dalla scarpa; un piccolo sfizio, seppur postumo. Oggi la situazione non è migliorata, anzi, nelle finali di ogni competizione importante si vedono velocisti (alcuni veramente dotati di talento, altri meno) che sono gonfi come tacchini ripieni da "Thanksgiving Day". Dalla testa, a scendere, il primo muscolo a sollecitare i miei dubbi, se troppo evidente, è il trapezio. 
Proseguendo l'analisi, ci si domanda spesso come mai uno che corre (con le gambe) possa avere muscoli delle braccia più sviluppati di uno che solleva pesi (con le braccia). Stefano Tilli nelle telecronache, in fase di presentazione degli sprinter in partenza, usa a volte questa definizione: "ben costruito anche nella parte superiore". Non conosco Stefano e non capisco dunque se parla seriamente, ma sono più propenso a credere che faccia esercizio di ironia ai massimi livelli. 
Ma vorrei tornare alla "nascita" dell'Atletica Spettacolo, della quale Sandro Donati (mai abbastanza ringraziato!) ci ha spiegato (e continua a farlo) come doveva essere nutrita e promossa. Prima però, per non diventare troppo serio, provo ad alleggerire il tono con una storiella, vera, che mi torna in mente. 
Si parla di Carmelo Bene, tuo conterraneo. Il Maestro, quando incontrava gli aspiranti attori per tenere una lezione sul Teatro, amava esordire in questo modo: "Voi siete delle merde, il Teatro non ha bisogno di voi, siete voi che avete bisogno del Teatro". Chissà perché mi è venuta in mente, forse perché ci leggo un parallelismo al contrario con il rapporto che tu avevi allora con la Federazione. Una cosa era evidente: era la Federazione ad avere assoluto bisogno di te. Tu Pietro, eri il veicolo principale, seppur non incline, poco propenso e recalcitrante, che consentiva alla Federazione di perseguire quel piano, rivelatosi sciagurato. 
Allora non capivo bene cosa stava succedendo; col tempo ho capito qual'era il prezzo che si stava e ancora oggi si sta pagando. Tutte le false giustificazioni portate a supporto nel tempo hanno insinuato falsi dubbi, cosicché la verità (guarda un po' che birichina) possa apparire sempre inafferrabile; ma solo per chi non la vuol conoscere. Una falsità, spacciata come cosa vera e promossa all'infinito sui "media", rimane una falsità. Una falsità creduta vera dalla maggioranza, rimane una falsità! Il processo di mistificazione, ha la devastante aggravante di insinuare inesistenti dubbi, di corrompere, di rubare pezzi di esistenze, o intere vite; io la considero un crimine grave.
Caro Pietro, con te c'era ancora la possibilità, così importante per un ragazzo, di identificarsi, di andare su una pista e provarsi. 
 Ora tutto è più complicato. Un ragazzino può identificarsi anche in un atleta che assomiglia più a un supereroe piuttosto che a un essere umano. Quando però si avvicina alla pista capisce subito che si tratta di sogni irraggiungibili o comunque troppo distanti per pensare di provare a misurarsi. I supereroi rimangono sui fumetti o si guardano seduti davanti ad uno schermo. Tu eri umano, esteticamente assolutamente simile a noi. 
Ci separava un anno di età e per chi amava l'atletica e magari la velocità, tu eri "Il riferimento". Da ragazzi, le nostre società facevano capo ad una medesima organizzazione; così che sul giornalino che circolava al nostro interno venivano riportati tutti i risultati delle "nostre" gare. Eri già naturalmente forte, il più forte, a 16 anni correvi i 300 in 34"1 ! Ma queste son cose note a tutti. Mi divertiva leggere i componenti della tua staffetta 4x100. 
Caro Pietro, perdona il mio esser un po' fatuo, ma sorrido ancora oggi; ecco la formazione: Acquafredda, Gambatesa, Pallamolla e dopo tre "composti" alla fine c'eri tu, tutto d'un pezzo, che ci facevi tornar subito seri. 
Non facesti mai parte di un gruppo sportivo militare; meno male, altrimenti non saresti potuto andare a Mosca nel 1980, come capitò a Caravani e Lazzer ad esempio. Tu eri là, a Formia. Hai fatto la leva in Aeronautica, come me, ma invece di stare sulle rive del lago di Bracciano, a Vigna di Valle, rimanevi là, praticamente sempre. 
No, quasi sempre; ricordo una volta che ti intimarono di presentarti con urgenza al Centro Sportivo e tu arrivasti, ma... non avevi la divisa, o se mai te la avevano data, chissà dov'era finita. Non potevi presentarti al Tenente Colonnello Picchiottini senza divisa e così giravi per le camere della palazzina chiedendo la cortesia di una divisa in prestito. 
Costanza, continuità, serietà, robustezza fisica hanno permesso anche di utilizzarti come tester perfetto, come soggetto da studio addirittura unico. 
Pietro solo, generoso, tanta fatica, Pietro determinato; Pietro il talento. 
In gara, ti capitava a volte di non partire come un lampo e nelle batterie, a livello italiano, neppure ti serviva sprecare energie nervose o rischiare partenze false. Tutti i giornalisti osservavano Mennea e comunque dovevano scrivere qualcosa, cercando di ripetersi il meno possibile. Poteva capitare allora che per le prime decine di metri, qualche veloce partente potesse fare bella figura, assolutamente effimera e temporanea a tue spese. 
Insomma, grazie Pietro (!) per quel piccolo trafiletto che mi fu dedicato solamente perché mi trovavo al tuo fianco. Devo esserti riconoscente, anche se io carneade, ero poi obbligato ad osservarti le terga per il resto della gara. 
I due ricordi più nitidi che rimangono nella mia mente, chissà poi perché, raccontano della tua solitudine. Nel primo, con pantaloni e giubbotto di jeans sei seduto su una panchina verde di legno, all'Acqua Acetosa, la occupi da solo, seduto sulla spalliera con i piedi sul sedile e i gomiti appoggiati alle gambe. Tutto attorno a te il solito bailamme del tardo pomeriggio infrasettimanale di allenamento, con ragazzi e borse che vanno e vengono dalla pista e dagli spogliatoi; e mentre ti osservo, nessuno si ferma, nessuno ti saluta. 
Nel secondo, all'Arena, in attesa dell'inizio gare, ti eri accaparrato un intero settore appena a fianco della partenza dei 100, tutti eravamo nella zona della tribuna centrale, mentre tu te ne stavi solo e tranquillo a metà di quella gradinata deserta. 
Tu Pietro tra le tante qualità ne avevi una importante: l'inconsapevole capacità di mostrare anche la tua umana fragilità. 
Molto bella l'intervista raccolta dall'abile Andycop, in cui oltre alle parole si ascolta il tuo modo di porti, il desiderio di comunicare, la disponibilità generosa offerta più volte. 
Ciao caro Pietro e se per caso ti capita di incontrare il Presidentissimo Primo, chiedigli di più, e se ti chiede per che cosa, digli che comunque ti saresti meritato di più, molto di più. 
Se poi dovesse capitare di incontrarsi di nuovo avrai ragione di dirmi che ti meritavi qualcosa di meglio, di questi strani e forse un po' sgangherati ricordi. il corridor cortese

25/03/13

Mennea: la mia intervista inedita a Pietro...

Purtroppo sono mancato in un momento topico dell'atletica italiana, ovvero la scomparsa del campione più rappresentativo di sempre del nostro sport. Atletica? Mennea! Ero fuori dall'Italia, senza un pc e senza la voglia di mettermi a scrivere... A quasi una settimana dalla morte di Pietro, mi sono oggi domandato cosa potessi aggiungere ai fiumi di parole che sono stati già versati per l'icona dell'atletica azzurra. Solitamente non mi va di essere ripetitivo, di aggiungere frasi già usate da altri e che mi incanalino nel fiume di incredulità e dolore che ha travolto tutti coloro che hanno vissuto nell'ombra del Mito di Barletta, senza dare un mio contributo. 

Quando ho saputo della cosa, il primo pensiero amaro che mi è venuto in mente, e che ho messo sulla mia bacheca di Facebook  è che in definitiva l'uomo, per quanto grande sia, per quante cose indimenticabili abbia fatto, uomo rimane e alle ineluttabili variabili che il mondo reale propone, vi si deve inchinare, a partire dalla morte. Tutto quello che si fa in una vita non può essere messo su una bilancia e rivendicare diritti superiori. La morte è la cosa più democratica che esista: non fa mai differenze tra sessi, religioni, conti correnti, gesta, azioni buone e azioni cattive... La morte di Pietro, silenziosa nella sua genesi com'è stata la sua presenza in questo mondo sportivo dopo il suo ritiro, mi ha riportato alla finitima ragione dell'esistenza. Uno baratterebbe una medaglia con un giorno in più su questa terra? Che domanda senza risposte...

Già, ma non vi siete mai domandati poi perchè Mennea non abbia mai fatto parte del nostro mondo dell'atletica dopo il suo ritiro? Io continuo a chiedermelo... Negli altri sport, le icone del passato in qualche modo sono rientrate nei ruoli dirigenziali, o quanto meno rappresentativi. Mennea, invece, ne è uscito, si è allontanato, ha preso altre strade, ha tenuto le distanze con il mondo dell'atletica leggera, tanto che nell'intervista che qui sotto pubblico, ho notato che alcuni aspetti non li conosceva più bene. Perchè? Perchè l'atletica italiana ha perso Mennea? Perchè non ne ha fatto il suo portavoce, la sua bandiera vivente, il proprio presidente, il proprio ambasciatore? E' stata l'atletica a rifiutare Mennea per tutti quegli strani meccanismi che abbiamo tristemente imparato a conoscere e a denunciare, o è stato Mennea a rifiutarla avendo conosciuto... quegli stessi meccanismi? Mi rimane questo dubbio, di chi non lo conosceva se solo di fama e soprattutto non conosceva nulla dei suoi trascorsi con il mondo dell'atletica.

Mennea ci lascia, e mi sento esattamente come il giorno in cui morì Lucio Battisti: la sensazione di qualche cosa di incompiuto. Sarò un sognatore: Battisti mi aspettavo intimamente che tornasse. Ci speravo, non so neppure perchè. Le canzoni sono le chiavi che accendono i ricordi della nostra mente, e poter sperare che ritornasse, ecco, avrebbe voluto dire tornare ad emozionarsi per qualche cosa vissuta nel passato. Sono pure transitato per lavoro sotto casa sua diverse volte, nel lecchese... e se l'avessi visto gliel'avrei chiesto: quando torni? Macchè, non è più tornato, lasciandomi con quella sensazione che mancasse qualche cosa. Così Pietro: se ne va una risorsa, e non so nemmeno darmi una spiegazione su chi e che cosa avrebbe dovuto fare per trattenerlo, riportarlo qui dentro, dare l'esempio...

Vi lascio quindi con un'intervista al telefono che gli feci un paio di anni fa e che non ho mai pubblicato per le sventure del mio precedente sito. Grazie a Mario Longo, contattai Pietro per chiedergli come avrebbe riformato l'atletica italiana. Volevamo che Mennea diventasse il Presidente della Fidal. Non so quanto ci abbia creduto lui stesso, anche perchè si è capito che chi ha plasmato gli statuti della Fidal negli anni, abbia sempre cercato di difendere posizioni che tagliassero fuori ogni forma di rinnovamento, che mantenessero i poteri e le prerogative di certi gruppi avverso a quelle degli altri. E viceversa, a seconda di chi avesse il timone della barca. Non era l'atletica di Mennea, sicuramente. Un'atletica completamente schiacciata sulle necessità delle società e che nulla ha mai concesso agli aspetti generali, quali quelli del reclutamento, la diffusione dello sport, il mantenimento degli atleti... aspetti dimenticati nel nome dei c.d.s. e del portato di quella manifestazione sulle società. Questo è il risultato.

Mi dispiace alla fine dell'intervista non aver fatto quello che gli promisi: pubblicare quelle sue parole per poter tracciare un solco. Il progetto non partì, Pietro non si candidò, nessuno lo chiamò, e io mi rigirai quelle sue parole per mesi senza poterle pubblicare. Lo faccio oggi, sperando di tracciare quel solco di uno sport che lui voleva che fosse più educativo, meno estremizzato, più umano.

17/12/10

Incredibile: Webatletica intervista Pietro Mennea!! A breve l'intervista su questo sito!!!

Lo sapete, non sono un giornalista: mi sarebbe piaciuto tanto farlo, non lo nego.  Faccio tutt'altro, com'è noto. Così ho sempre la remora che in una cronaca o in un commento possa sempre sfuggire qualche cosa, che invece sarebbe dovuta essere trattata con la dovuta attenzione. Scrivo solo su questo blog con la candida speranza che si possa migliorare di un solo millimetro il modo di pensare su un vissuto quotidiano che ci sta tanto a cuore, l'atletica. Quando mi è stata data l'opportunità di intervistare uno dei miei miti giovanili, Pietro Mennea, sono rimasto così scombussolato. Avevo così pensato di girare una serie di domande scritte direttamente a Mario Longo, il mio tramite di Pietro e suo entusiasta strillone, in attesa che uno degli atleti italiani più famosi di sempre potesse concederci (ma siamo proprio sicuri, mi dicevo?) un'intervista che è quasi un'esclusiva mondiale. Il Duca giusto ieri mi diceva: ho cercato un'altra intervista a Mennea negli ultimi anni, ma non l'ho trovata. 
In attesa delle risposte dell'oracolo, il buon Mario una settimana fa, mi ha girato il solo numero di telefono di uno dei velocisti europei più forti di sempre (e per un lungo periodo, mondiale... di sicuro l'atleta bianco più veloce della storia): forse nel vecchio continente la palma del migliore se la contende con il solo Linford Christie. Così, un sabato pomeriggio di un freddo dicembre, dopo aver meditato diverso tempo sulle domande da farsi (che poi , all'atto pratico, non sarei riuscito a ricordare!), mi armo di coraggio e compongo il numero. Dopo un paio di squilli, mi risponde proprio lui (un'ora prima aveva risposto la moglie, ma Pietro era fuori casa) e ne riconosco la voce. Immediatamente. Impossibile sbagliarsi. Gli spiego con un pizzico di ansia di troppo, chi sono, chi "mi manda", cosa ho intenzione di chiedere. Pietro mi mette subito a mio agio, e dopo la mia prima battuta "allora, è ufficiale, si candida?", lui esordisce ridendo "...mi ha tirato in mezzo Mario Longo, che è un promotore di questa cosa... ma qui non è questione di ufficiale o meno! Mi metto a disposizione, ma non... non è un singolo che si propone, ma un gruppo di persone! Dobbiamo partire dal presupposto che la base vuole un cambiamento, e se serve, se la base lo vuole, non mi tiro indietro. Sai, molti di noi non vivono l'atletica come unica ragione di vita: facciamo altro, abbiamo altri interessi, abbiamo avuto altri successi in altri campi dell'esistenza. L'atletica nella nostra vita non è stato l'unico motivo per avere un palcoscenico ma, è evidente se continua così, tra 20 anni saremo su una panchina ai giardini pubblici a guardarci in faccia. Vedi, siamo più credibili, perchè ciò che semplicemente vorremmo portare avanti sono i frutti di quei valori che bisogna coltivare tra i giovani. L'atletica deve tornare ad essere qualcosa di più che uno sport: una guida... Se poi non andrà bene, ci avremo provato. Noi vogliamo bene all'atletica.". Interrompo con un pizzico di malizia, chiedendo cosa ne pensasse degli ultimi mandati federali, cui già io avevo dato una connotazione non certo memorabile, ma Pietro è un politico navigato e non cade nel mio piccolo tranello: non sparla delle persone e non ha voglia di attaccarle: pensa solo a ciò che di buono ha da proporre.  Così si limita a dire che coloro che non hanno bene "devono avere il pudore di lasciare, di farsi da parte, e consentire ad altri di fare del bene all'atletica: persone motivatissime, che hanno fatto bene non solo nell'atletica, ma anche in altri settori". 
Inizia così la mia intervista a Pietro Mennea, oltre un'ora di chiacchierata su tantissimi temi... mentre Lui parlava scrivevo come un pazzo su un notes, con il timore che in seguito non sarei riuscito a ricordarmi tutto, o non avrei ricordato bene alcuni passaggi importanti. Spero di non dimentarcmi nulla! Per il momento ringrazio infinitamente Mennea da parte anche dei nostri lettori, per questa grandissimia opportunità di aver potuto parlare con lui. Il resto della lunga intervista la potrete leggere la settimana prossima, su Webatletica. Come si dice, stay tuned.