26/06/13

Caro Pietro... del Corridor Cortese

Caro Pietro
ti scrivo per dirti il mio personale grazie.
Scusa il ritardo, non tanto dalla data della tua morte, ma dal momento in cui ti sarebbe stato utile e confortante un qualsiasi gesto di riconoscenza. Meglio sarebbe stato se il riconoscimento, un semplice attestato di vicinanza, ti fosse arrivato dall'interno di quel mondo che è stato la tua vita. Dall'interno di quel mondo che ti ha osservato, utilizzato e promosso finché hai potuto correre ai massimi livelli mondiali. Eviterò commenti da "presidente del club del crisantemo", già esposti ed anche sovraesposti, dopo quella notizia così improvvisa che ha raggiunto noi e che tu da gran velocista hai preceduto. 
Caro Pietro, ti scrivo con un sentimento di prossimità, perché sei stato un riferimento anche importante che ha accompagnato la mia adolescenza e la mia maturità agonistica. Poi ti ho perso di vista, per oltre 20 anni non mi sono più occupato di Atletica in nessun modo. Qualcosa stava cambiando nell'atletica; anche nel modo di proporsi. Alcuni dei tuoi immediati successori (che già gareggiavano con te) non li digerivo granché, così ben disposti e sensibili alle esigenze dell'estetica e dello spettacolo (ma forse la mia era solo invidia). 
Eravamo abituati ad una particolare sobrietà, anche da parte di gente che le Olimpiadi le aveva vinte (già nell'era della TV). Nel mio immaginario, senza chiamarli, compaiono immediatamente Livio Berruti, Abdon Pamich e poi: Sara Simeoni, Pietro Mennea. Ecco, una sobrietà e una misura, che erano marchio distintivo, peculiare e signorile, dell'Atletica. 
In qualche modo, tu hai rappresentato un'epoca che si andava ad esaurire per lasciare spazio ad una nuova Atletica, assolutamente differente: l'inizio dell'Atletica Spettacolo; che si staccava dalla realtà (reale) per rincorrerne una virtuale, disposta al falso e all'illegale pur di affermarsi. 
Quando mi capitava di assistere a qualche importante gara di velocità poi, mi disamoravo ulteriormente vedendo alla partenza, quantità di muscoli così innaturali; ma anche quei miglioramenti così sorprendenti nell'arco di una stagione, erano e ancora sono davvero poco comprensibili. 
Forse dico delle cose, che tu con gran signorilità, non hai mai detto; mi piace pensare che stai sorridendo, togliendoti un sassolino dalla scarpa; un piccolo sfizio, seppur postumo. Oggi la situazione non è migliorata, anzi, nelle finali di ogni competizione importante si vedono velocisti (alcuni veramente dotati di talento, altri meno) che sono gonfi come tacchini ripieni da "Thanksgiving Day". Dalla testa, a scendere, il primo muscolo a sollecitare i miei dubbi, se troppo evidente, è il trapezio. 
Proseguendo l'analisi, ci si domanda spesso come mai uno che corre (con le gambe) possa avere muscoli delle braccia più sviluppati di uno che solleva pesi (con le braccia). Stefano Tilli nelle telecronache, in fase di presentazione degli sprinter in partenza, usa a volte questa definizione: "ben costruito anche nella parte superiore". Non conosco Stefano e non capisco dunque se parla seriamente, ma sono più propenso a credere che faccia esercizio di ironia ai massimi livelli. 
Ma vorrei tornare alla "nascita" dell'Atletica Spettacolo, della quale Sandro Donati (mai abbastanza ringraziato!) ci ha spiegato (e continua a farlo) come doveva essere nutrita e promossa. Prima però, per non diventare troppo serio, provo ad alleggerire il tono con una storiella, vera, che mi torna in mente. 
Si parla di Carmelo Bene, tuo conterraneo. Il Maestro, quando incontrava gli aspiranti attori per tenere una lezione sul Teatro, amava esordire in questo modo: "Voi siete delle merde, il Teatro non ha bisogno di voi, siete voi che avete bisogno del Teatro". Chissà perché mi è venuta in mente, forse perché ci leggo un parallelismo al contrario con il rapporto che tu avevi allora con la Federazione. Una cosa era evidente: era la Federazione ad avere assoluto bisogno di te. Tu Pietro, eri il veicolo principale, seppur non incline, poco propenso e recalcitrante, che consentiva alla Federazione di perseguire quel piano, rivelatosi sciagurato. 
Allora non capivo bene cosa stava succedendo; col tempo ho capito qual'era il prezzo che si stava e ancora oggi si sta pagando. Tutte le false giustificazioni portate a supporto nel tempo hanno insinuato falsi dubbi, cosicché la verità (guarda un po' che birichina) possa apparire sempre inafferrabile; ma solo per chi non la vuol conoscere. Una falsità, spacciata come cosa vera e promossa all'infinito sui "media", rimane una falsità. Una falsità creduta vera dalla maggioranza, rimane una falsità! Il processo di mistificazione, ha la devastante aggravante di insinuare inesistenti dubbi, di corrompere, di rubare pezzi di esistenze, o intere vite; io la considero un crimine grave.
Caro Pietro, con te c'era ancora la possibilità, così importante per un ragazzo, di identificarsi, di andare su una pista e provarsi. 
 Ora tutto è più complicato. Un ragazzino può identificarsi anche in un atleta che assomiglia più a un supereroe piuttosto che a un essere umano. Quando però si avvicina alla pista capisce subito che si tratta di sogni irraggiungibili o comunque troppo distanti per pensare di provare a misurarsi. I supereroi rimangono sui fumetti o si guardano seduti davanti ad uno schermo. Tu eri umano, esteticamente assolutamente simile a noi. 
Ci separava un anno di età e per chi amava l'atletica e magari la velocità, tu eri "Il riferimento". Da ragazzi, le nostre società facevano capo ad una medesima organizzazione; così che sul giornalino che circolava al nostro interno venivano riportati tutti i risultati delle "nostre" gare. Eri già naturalmente forte, il più forte, a 16 anni correvi i 300 in 34"1 ! Ma queste son cose note a tutti. Mi divertiva leggere i componenti della tua staffetta 4x100. 
Caro Pietro, perdona il mio esser un po' fatuo, ma sorrido ancora oggi; ecco la formazione: Acquafredda, Gambatesa, Pallamolla e dopo tre "composti" alla fine c'eri tu, tutto d'un pezzo, che ci facevi tornar subito seri. 
Non facesti mai parte di un gruppo sportivo militare; meno male, altrimenti non saresti potuto andare a Mosca nel 1980, come capitò a Caravani e Lazzer ad esempio. Tu eri là, a Formia. Hai fatto la leva in Aeronautica, come me, ma invece di stare sulle rive del lago di Bracciano, a Vigna di Valle, rimanevi là, praticamente sempre. 
No, quasi sempre; ricordo una volta che ti intimarono di presentarti con urgenza al Centro Sportivo e tu arrivasti, ma... non avevi la divisa, o se mai te la avevano data, chissà dov'era finita. Non potevi presentarti al Tenente Colonnello Picchiottini senza divisa e così giravi per le camere della palazzina chiedendo la cortesia di una divisa in prestito. 
Costanza, continuità, serietà, robustezza fisica hanno permesso anche di utilizzarti come tester perfetto, come soggetto da studio addirittura unico. 
Pietro solo, generoso, tanta fatica, Pietro determinato; Pietro il talento. 
In gara, ti capitava a volte di non partire come un lampo e nelle batterie, a livello italiano, neppure ti serviva sprecare energie nervose o rischiare partenze false. Tutti i giornalisti osservavano Mennea e comunque dovevano scrivere qualcosa, cercando di ripetersi il meno possibile. Poteva capitare allora che per le prime decine di metri, qualche veloce partente potesse fare bella figura, assolutamente effimera e temporanea a tue spese. 
Insomma, grazie Pietro (!) per quel piccolo trafiletto che mi fu dedicato solamente perché mi trovavo al tuo fianco. Devo esserti riconoscente, anche se io carneade, ero poi obbligato ad osservarti le terga per il resto della gara. 
I due ricordi più nitidi che rimangono nella mia mente, chissà poi perché, raccontano della tua solitudine. Nel primo, con pantaloni e giubbotto di jeans sei seduto su una panchina verde di legno, all'Acqua Acetosa, la occupi da solo, seduto sulla spalliera con i piedi sul sedile e i gomiti appoggiati alle gambe. Tutto attorno a te il solito bailamme del tardo pomeriggio infrasettimanale di allenamento, con ragazzi e borse che vanno e vengono dalla pista e dagli spogliatoi; e mentre ti osservo, nessuno si ferma, nessuno ti saluta. 
Nel secondo, all'Arena, in attesa dell'inizio gare, ti eri accaparrato un intero settore appena a fianco della partenza dei 100, tutti eravamo nella zona della tribuna centrale, mentre tu te ne stavi solo e tranquillo a metà di quella gradinata deserta. 
Tu Pietro tra le tante qualità ne avevi una importante: l'inconsapevole capacità di mostrare anche la tua umana fragilità. 
Molto bella l'intervista raccolta dall'abile Andycop, in cui oltre alle parole si ascolta il tuo modo di porti, il desiderio di comunicare, la disponibilità generosa offerta più volte. 
Ciao caro Pietro e se per caso ti capita di incontrare il Presidentissimo Primo, chiedigli di più, e se ti chiede per che cosa, digli che comunque ti saresti meritato di più, molto di più. 
Se poi dovesse capitare di incontrarsi di nuovo avrai ragione di dirmi che ti meritavi qualcosa di meglio, di questi strani e forse un po' sgangherati ricordi. il corridor cortese

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