23/06/13

Coppa Europa - l'Italia torna con i piedi per terra

Cerco di scrivere sempre quello che penso, cercando di rispettare le persone che stanno dietro ai "ruoli", ma riservandomi la possibilità di criticare (anche con veemenza talvolta) chi ricopre quegli stessi ruoli. La società migliora non certo per la visione consegnata al mondo dalle maggioranze, ma grazie a chi si permette di mettere in dubbio quelle stesse visioni. E poi... due teste pensano meglio che una, anche se la si pensa in maniera diametralmente opposta. Si cersce, così. Quindi, dopo solo pochi giorni dall'insediamento del Nuovo Mandato della Fidal mi sembrò eccessivo (e lo scrissi) che tutti salissero sui carri dei vincitori azzurri e dei fenomeni esplosi con precisione chirurgica l'indomani delle elezioni federali senza riconoscere minimamente, quanto meno, il lavoro di chi li aveva preceduti a livello dirigenziale e tecnico. Sono arrivato anche a ricevere insulti... ma per cosa? Per aver espresso un'opinione in dissenso? Predicavo solo una cosa logica, non certo pregiudiziale.  

Ora, dopo l'inverno lunare, l'Italia atletica primavero-estiva sta ritornando sulla terra. Ma questo non lo voglio dire con un'accezione negativa. Non me ne frega nulla dirlo e non voglio colpire nessuno. Voglio fare solo alcune considerazioni sullo spessore del nostro sport a livello internazionale.

Ebbene, non è che in pochi mesi Giomi abbia rivoluzionato i percorsi tecnici e esperienziali di centinaia di atleti italiani. Su questo si può concordare, no? L'atletica è uno sport che si struttura nelle stagioni, non nella stagione. I fenomeni che esplodono oggi e dopodomani vincono una medaglia alle Olimpiadi non sono così tanti sulla faccia della terra, mi sembra. I successi invernali azzurri, volenti o nolenti, venivano da percorsi che non nascevano il giorno successivo alle elezioni federali, ma partivano da molto lontano, in qualche caso addirittura precedenti a quelli di Arese (e non son certo io quello che difende Arese, visto che sono stato l'unico a criticarlo per anni nella solitudine della rete). Ha fatto un pò specie vedere arrogarsi quei successi da parte chi non aveva molta voce in capitolo. Ma tant'è: è successo. 

Oggi arriva questa immagine scialba dell'Italia in Coppa Europa. Ma poi... ci saremmo davvero dovuti aspettare di più? Noi non varremo mai come la Russia o la Germania. O come la Francia o l'Inghilterra, facciamocene una ragione. Adesso nemmeno come la Polonia e l'Ucraina, che ci superano nel primo dato fondamentale, ovvero il numero di tesserati (quelli reali). Se dovesse succedere, in una Coppa Europa o in un medagliere di una grande manifestazione, sarà solo per una fortunata successione di fortunati eventi. Ora, sapete perchè ci rimaniamo comunque male? Perchè ci portiamo dietro le tare dell'atletica italiana degli anni '80-'90, dove gli atleti italiani "di grido" erano un esercito e furoreggiavano ad ogni latitudine. Quelle immagini ci hanno irrimediabilmente cambiato la nostra visione dello spessore della nostra atletica e su quelle parametriamo le nostre aspettative.  

Ma quell'atletica, ora lo sappiamo, non era che un simulacro della realtà. Molti di quegli atleti sono citati nei libri di Donati, e i dubbi ormai sono quasi certezze. L'atletica italiana di quegli anni non rappresentava la forza del nostro movimento a livello internazionale. Molti stavano barando, qualcuno con gli appoggi e i silenzi interni. Mentre l'atletica italiana moderna è quella di Gateshead, con qualche punticina in qualche specialità e tanti buchi neri in altre. Era così negli anni '70 (campionissimi e tanti buchi neri) ed è tornata ad essere così a partire dal XX secolo, quando quell'anomalia statistica si è interrotta. Il bug statistico che esce da questa considerazione generale sono appunto quegli anni '80-'90, quelli di cui parla appunto con dovizia di particolari Sandro Donati. Siam sempre stati così, un pò mediocri ed un pò campioni, e per quanto mi riguarda non ci sono prospettive nell'immediato futuro di vere e proprie rivoluzioni che ci porteranno un giorno a giocarci la Coppa con Russia e Germania. Le scelte operate dalle dirigenze saranno sempre "micro" rispetto ai fenomeni generali e alle vere tendenze sociali che possono modificare gli esiti di uno sport. Si potranno massimizzare magari meglio i profitti sportivi di una schiera di atleti, ma che saranno sempre infinitamente inferiori come numero a quelli degli Stati che ci stanno davanti in Europa. L'unica variabile impazzita saranno gli stranieri di seconda e terza generazione, che, come possiamo già notare (personalmente con grande favore) rappresentano l'unica vera novità del nostro sport nel XXI secolo.

Si esce da questa Coppa quindi in sordina... magari l'anno prossimo chiuderemo al 5°, ma state certi che entro un paio di edizioni torneremo al 7°. Magari all'8°. Per poi risalire. La Coppa Europa rappresenta proprio la cartina di tornasole dei movimenti continentali. Molti Stati non presentano nemmeno i migliori per specialità, mentre da noi, diciamocelo, con le scelte siamo pressochè obbligati, sino a schierare atleti in specialità in cui non eccellono. E nonostante tutto rimaniamo a guardare... Con queste premesse, quando va tutto bene, si sta avanti. Quando invece le cose vanno come statistica impone (qualcuno va meglio, compensato da chi va peggio), ci ritroveremo dove eravamo oggi. Settimi. E non c'è proprio nulla da lamentarsi. 

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