22/06/13

Come organizzare i Trials in Italia... un'ipotesi

Chi guarda all'atletica come spettacolo, non può non guardare al mondo a Stelle e Strisce e trarne delle conclusioni. Negare che lo sport debba fornire spettacolo, vuol dire tagliare a fette il senso stesso dei gesti sportivi... del resto lo spettacolo lo fanno le prestazioni, e noi guardiamo le massime manifestazioni perchè lì sono presenti coloro che riescono ad ottenere le migliori prestazioni dell'essere umano. Agonismo e spettacolo non possono essere due estremi di una stessa dimensione: devono essere due aspetti di una medesima realtà. Del resto lo stiamo notando in tutti gli sport, anche individuali: il proselitismo è dato dalla visibilità di uno sport, non dal fascino atavico che questo ha. O almeno, non più: una volta la gente arrivava all'atletica per costrizione culturale. Oggi i programmi didattici prevedono di tutto e di più, e l'atletica è solo uno dei tanti sport e spesso non tra quelli più desiderati. Vi ricordate il wrestling su Italia 1 di qualche anno fa? Ebbene, è bastato spettacolarizzare quattro maschere in prima serata per vedersi i ragazzini cimentarsi nel 619 sui sacconi del salto con l'asta... 

I trials sono probabilmente la manifestazione di atletica che dal punto di vista spettacolare, ha più da dire. Del resto le politiche sociali negli USA le fanno le grandi Major televisive. Ok, discutibile dal punto di vista etico, ma che ha un portato indubbio di visibilità per chi ne è toccato. Come abbiamo visto, a Desmoines hanno deciso di invertire i rettilinei di arrivo delle gare di sprint. Non sono pazzi, le condizioni agonistiche sono rimaste invariate, e il più forte in quel momento, ha vinto, com'era nella logica delle cose. Però la notizia di Tyson Gay che corre in 9"75 ha girato il mondo (più che se avesse corso in 10"00). Gente che legge, che commenta, che ipotizza, che diffonde il vero dell'atletica come le apine portano il polline sulle zampette per infiorare. Oggi Bolt deve rilasciare interviste per dire che Gay dovrà correre come lui, e giù altro polline sulle zampette, e altri fiori impollinati. E stessa cosa dicasi di Brianna Rollins (12"33 ventoso sui 100hs, a un decimo dalla Donkova), LSM che corre il giro in 44"36 (ma qui il vento c'entra poco, ma la location sicuramente), i ragazzi NCAA che corrono in meno di 10" sui 100, le 6 ragazze sotto gli 11" nei 100 in finale... si sarebbe parlato lo stesso se fossero andati tutti piano con 3 o 4 metri di vento contro... ma regolare? Se la Rollins avesse corso in 13"? O se LSM avesse corso in 45"? No, meno polline, meno atletica. L'hanno capito tutti gli sport che lo spettacolo è il vero volano al proselitismo, tranne l'atletica, evidentemente, che rimane legata a logiche romantiche di fissità sempiterna. L'uomo cambia, non è quello di 2000 anni fa, e nemmeno quello di 100 o di soli 10 anni fa. Perchè non cambiano quindi anche le sue manifestazioni, come lo sport? L'agonismo rimane immutabile, ma le forme... 

Quindi, questo lungo preambolo per introdurre l'idea dei Trials in Italia. Perchè? Perchè contrariamente a quanto si possa pensare, i Trials sono la massima manifestazione agonistica in circolazione. Più dei campionati mondiali o olimpici stessi, perchè rappresentano la porta del sogno. Mors tua vita mea, l'essenza dello sport: i detrattori dei Trials (e dei cambiamenti di rettilinei) dimenticano che l'aspetto agonistico non solo non viene meno, ma addirittura viene accentuato quando le prestazioni iniziano a migliorare e quando gli spazi si accorciano. Ai trials c'è felicità solo per 3: ai mondiali o olimpiadi, la soddisfazione è per quasi tutti anche il solo fatto di partecipare.  

I trials in Italia innanzi tutto costringerebbero tutti i migliori atleti italiani a scendere in pista. La manifestazione in sè finalmente non sarebbe un surrogato morente di un campionato minore. Sarebbe la massima manifestazione nazionale, cui tutti dovrebbero puntare per... Avere dei "personaggi" presenti attira. Non averli, non attira, semplice. Oggi le Tv non trasmettono nemmeno più gli Italiani assoluti, per ovvie ragioni di decenza televisiva: ve li siete visti i 5000 di un paio di stagioni fa con 3 o 4 atleti al via o gli 800 donne con la finale diretta con 7 atlete? Dai, su...

La critica ai trials sarebbe: vabbè, ma come si fa ad organizzare un Trials, se chi consegue un minimo per una grande manifestazione internazionale nel nostro Paese, è davvero sparuto? Vero, ma vi spiego la mia idea, che mutuo dalle regole dei Trials Jam.

L'assunto principale è: i primi tre atleti arrivati, ottengono il diritto di partecipare alla grande manifestazione per cui i Trials (o campionati nazionali) vengono organizzati. Naturalmente tale regola si applicherebbe solo nella circostanza in cui i tre avessero soddisfatto anche la seconda condizione, ovvero aver ottenuto il "minimo" per la manifestazione. Chiaramente risulta pressochè impossibile da Noi avere i primi tre col minimo (forse nel triplo uomini e nei 100hs donne). E' così che subentra una condizione bellissima: chi non ha il minimo, ha un periodo di tempo entro il quale ottenerlo, dopodichè si andrà a ritroso nella classifica finale del Trial, a ripescare chi eventualmente nel frattempo lo avesse già ottenuto (o ottenuto in seguito). Come se il piazzamento tra i tre garantisse il diritto di partecipazione; terminato il periodo di ottenimento, il diritto passerebbe agli altri che quel minimo lo avesse ottenuto. Ricordo a tal proposito (in molte circostanze) i trials jamaicani del 2011 pre-Daegu, dove il miglior quartermiler giallo-verde di allora, Jermaine Gonzalez, steccò proprio i trials per i mondiali a Kingston, giungendo 4°. Poi... di fatto fu l'unico a partecipare nella gara individuale in Corea, perchè nel tempo concesso dalla federazione, nessuno dei primi 3 (Hylton, Green e Spence) riuscì a correre nel minimo "A", perdendo quindi ogni diritto. 

Il sistema "trials" sarebbe anche una modalità di selezione dei "Minimi B". Se le regole si conoscono prima, non ci sarà infatti la ridda di insulti consecutiva. Se nessun atleta dovesse ottenere infatti il minimo "A", come è noto, passerebbe un solo atleta con un minimo "B". I Trials definirebbero tale gerarchia, e avrebbero molto più senso in Italia, visto che veleggiamo più sui minimi B che su quelli A. Poi c'è la questione delle staffette... i diritti si guadagnano sul campo di battaglia, non per "deduzione tecnica", come siamo abituati ormai da troppo tempo. La deduzione tecnica la si potrà fare sulle capacità dei primi 6 al traguardo dei 100, e solo su quella. Non sul 7° o su quello che si è visto un giorno correre una curva pazzesca in allenamento. Diamo all'agonismo lo spazio che merita, e alle deduzioni il loro. 

Chiaramente sarebbe una rivoluzione culturale: in Italia i tecnici vogliono saperne e comprenderne di più di quello che il cronometro e il metro stabiliscono. Un metodo rigido e definito come quello dei Trials da una parte risulta sicuramente rischioso (ma siamo proprio sicuri?), dall'altra eliminerebbe quei meccanismi di discrezionalità talvolta arrogante, che hanno fatto incazzare in lungo e in largo in tutti questi anni. 

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