28/09/13

Provocazione: e se la smettessimo di parlare di doping a scuola?

Tanto? Quante volte se n'è parlato nelle scuole... davvero? Vogliamo prenderci in giro? Quasi mai direi. Ma poi quali scuole? In quali gradi? In che modo lo si affronterebbe il problema del doping? E i ragazzi, lo recepirebbero questo problema? Invariabilmente, da qualunque discussione, articolo, opinione, in cui si parla di doping esce come unica soluzione affrontabile per sconfiggere la piaga del doping nella società, quella di andare nelle scuole e diffondere questi principi contrari all'uso di sostanze dopanti. Mi posso permettere di dire una cosa, che come al solito risulterà scomoda? Basta con questa baggianata della scuola come panacea di tutti i mali!

Appellarsi alla scuola, si è capito, è il modo di uscire da una discussione con le mani pulite, la coscienza a posto, la soluzione cui nessuno dice di no e con la classica proposta cui tutti assentono senza batter ciglio: tanto poi nessuno materialmente farà nulla con le scuole, si sa. Tanto nessuno andrà nei Ministeri o nei Provveditorati a dire: ehi, bisogna parlare di doping! Ma poi chi dovrebbe parlarne? I professori di educazione fisica? I professori di filosofia? Quelli di analisi? Di Sociologia? E' molto poco prosaicamente la classica non-soluzione all'italiana, la procrastinazione del problema, assolutamente impossibile da diffondere capillarmente e da applicare al nostro sistema scolastico costruttivamente, ma che lo stesso rappresenta in tutti i commenti la panacea a tutti i problemi italiani.

La scuola: quella stessa scuola per la quale i genitori devono comprarsi gli arredi per garantire ai figli un minimo di ambientazione, dove i docenti non hanno una formazione specifica sul doping? (ma vi rendete conto? Chi sa di doping tanto da doversene fare docente?). C'è un problema? Basta andare nelle scuole, no? Ci sono talmente tanti problemi da risolvere attraverso la scuola, che servirebbero probabilmente 24 ore al giorno intensive di lezione per i poveri studenti per capire in che razza di mondo stanno vivendo. Quindi, capite subito come quando qualcuno dice che il problema si risolve a scuola, secondo me, lui per primo sta sottovalutando il problema e non sa come risolverlo... o comunque, risulterebbe una soluzione nel lunghissimo periodo (pensate che razza di operazione capillare, profonda, duratura, onerosa, dovrebbe essere...), senza sapere tra l'altro se avrà mai successo. 

Prendete la piaga della mafia in Sicilia. Come si risolve il problema della criminalità mafiosa? Risposta del 99% di coloro che si esprimono sulla cosa: con la scuola. Ah sì? Ma come? Dicendo cosa? Sapete invece secondo me come si risolve il problema della Mafia, della Camorra e di tutte le criminalità organizzate? Con il lavoro. Date un posto di lavoro a tutti i disoccupati in Sicilia (la manovalanza della criminalità) e vedrete come la Mafia inizierà a perdere il suo potere contrattuale in pochissimo tempo con chi non ha nulla e deve cercarselo in tutti i modi. Anche la quotidiana sopravvivenza. Poi se vogliamo, andiamo nelle scuole a spiegare perchè la Mafia non riesce ad attecchire con chi ha la possibilità di vivere un'esistenza tranquilla. Una realtà concettuale, non sarà mai così aderente come quella fattuale. Soprattutto con i ragazzi. 

Come per il doping. Dire che il doping è sbagliato è una cosa universalmente condivisa. Lo sanno tutti ed è inutile dirlo: è forse il modo di dirlo in una scuola che lo rende più pregnante e convincente? No. I ragazzi sono attirati da milioni di attrattive, e quella del doping sarebbe l'ennesima materia senza significato per la stragrande maggioranza di loro.

Ma allora come si combatte il doping? Penso che il doping esisterà sempre. Perchè? Perchè fa parte dell'indole dell'uomo cercare di avvantaggiarsi sugli altri uomini in tutti i modi. Nello sport, poi, dove la competizione tra uomini raggiunge il massimo della conflittualità (solo dopo la guerra), perchè pensare che ci si trasformi tutti da homo hominis lupus ad agnellus rispettando le regole? E' impossibile: possiamo stare tutto il giorno, tutti i giorni in una scuola, ma la necessità di prevalere gli uni sugli altri emergerà sempre in qualche modo ed in qualcuno, tanto da portarlo a violare le regole. La scuola, nonostante vi siano passati tutti, non ha mai eliso la commissione dei reati in una società, quindi come si può pensare che ci riesca a tabula-rasa nel doping? Fantascienza.

Ho cercato di arrivare ad un piano più profondo e non so se ci sono arrivato: ho però questa idea che vi espongo. Il vero senso della scuola, non è quanto trasmette in termini di nozioni (almeno, non quella dell'obbligo), quanto la socializzazione alle norme (intesa come imparare le regole tacite della società) da parte degli studenti. Al rispetto dell'autorità (il professore), delle gerarchie. La scuola è la forma palese in cui la società insegna ai propri aderenti come viverla in maniera fattiva e funzionale. La lotta al doping quindi non la si insegna nelle scuole sostenendo l'ovvietà che il doping è una pratica vietata, quanto molto più semplicemente facendo capire che bisogna rispettare l'autorità e le regole. Il rispetto delle regole aiuta alla lotta al doping (così come per tutto il resto di devianze sociali) non il sostenere che il doping fa male.

Mia madre ha insegnato per oltre 35 anni; mia sorella lo fa da oltre 10. Ebbene, quando sento parlare delle loro esperienze quotidiane scolastiche, il minimo comune denominatore che emerge in maniera netta, è il progressivo sfaldamento dell'autorità dell'insegnante. L'insegnante è diventato quasi un collaboratore alla pari con gli studenti, uno cui si può ribattere tranquillamente, contestare, insultare, denigrare, diffamare. Nemmeno tanto tempo fa, nell'esistenza di ognuno di noi, vi erano invece più figure autoritarie nel succedersi della vita (il maestro, il professore, l'allenatore, il prete...) che affermavano continuamente la necessità del rispetto di piccole grandi regole, tacitamente o palesemente. Una società in cui non si rispettano le regole, è una società in cui si assiste a tutte le derive possibili ed immaginabili. Il mancato rispetto delle regole, porta alla conflittualità tra i cittadini tradendo il patto sociale che sta alla base del reciproco rispetto.

Questa riflessione mi è scaturita ascoltando Alessandro Donati l'altra sera ad Assago, nell'incontro organizzato dall'amico Marco La Rosa. Il passaggio per me illuminante è stato quello in cui Donati ha tratteggiato uno spaccato del mondo sportivo che si è svegliato un bel giorno col tempio inaccessibile di convinzioni violato dalla magistratura. La legge penale, e non quella sportiva e le organizzazioni che ne fanno parte, è riuscita a scardinare il portone omertoso e connivenziale del mondo del doping. La legge penale (almeno, quella italiana...) non si ferma al consumatore, al drogato, ma cerca anche gli spacciatori (i dopatori), gli organizzatori, le reti malavitose: com'è giusto che sia in una società che vuole debellare una piaga sociale! Questa è l'unica soluzione. La repressione di tutta la rete! Pensate che la legge penale in Italia è talmente evoluta da punire anche chi "assume", fattispecie che non è invece prevista dalla normativa per gli stupefacenti, per cui i consumatori al massimo incorrono in sanzioni amministrative e solo se trovati in possesso di piccoli quantitativi di droga sufficiente a scagionarli dalla possibile cessione. Il consumo di fatto non è punito, ma tutto quello che c'è prima sì.

Come dice Donati: il mondo (di connivenze) dello sport invece ci ha fregato tutti: l'unico colpevole universalmente riconosciuto rimane quel povero pirla dell'atleta, solo nella sua stupidità, apparentemente autonomo in tutto: dall'acquisto delle sostanze dopanti, ai fantasiosi suppellettili per occultarle, ai fantasmagorici viaggi per acquistarla, ai metodi naif di conservarli ed inocularli (servirebbero equipe mediche, ma loro ci riescono da soli: campioni in medicina). Piccoli chimici crescono... e noi chiaramente siamo tentati a crederci. Cazzate. Il doping è necessariamente una rete, una ragnatela di persone che punta ad un profitto (da una parte sportivo, dall'altra economico e per qualcuno politico), che va sconfitta con un'azione repressiva che deve essere edulcorata dal sistema sportivo (come sostiene Donati). Io ci vedrei bene un pool di Carabinieri o di poliziotti, specializzati, attinti dalle risorse umane derivanti da ruoli tecnici già previsti nelle forze dell'ordine (come tecnici di laboratorio e chimici) che operino solo in ragione di un obiettivo super-specialistico e che oggi è una piaga sociale con un arcobaleno di ripercussioni negative sulla società. Gli organismi di natura elettiva, politica, rappresentativa, sportiva, si è capito abbastanza chiaramente, sono troppo tentati a chiudere un paio di occhi a testa alla volta sulle pratiche poco ortodosse dei propri adepti... E se lo lascia intendere Donati, io gli credo. Voi no?

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