16/10/13

Allenamento 1.1 - Il sangue degli atleti, Zaciorskij e la falsa di Usain (de, il Corridor Cortese)

Premessina sulle ultime vicende che hanno visto protagonista il nostro Edgardo Barcella, la cui voce proprio non riesce ad essere percepita, neppure se infilata in un megafono messo ad un centimetro dall'orecchio della nostra Federazione. Mi sono fatto persuaso, come direbbe Montalbano, che la voce dei Masters all'interno della FIDAL  conta un tanticchio meno dell'opinione del mio pappagallino sul tema del cuneo fiscale, punto.

Ma torniamo in tema, insomma, più o meno. Avendo deciso di scrivere qualcosa che abbia una certa attinenza con l'allenamento (altrimenti mi tocca cambiare il titolo) inizierei dal sangue degli atleti.

Vedo, con buona frequenza, allenatori (soprattutto nel Triathlon) che dopo ogni ripetuta sforacchiano lobi appesi ad orecchie di qualunque età, sesso e talento; devono verificare il lattato ematico nei muscoli.  Poi tutto quello scrivere sul quadernone... si, si, fa molto Personal Trainer di buon livello.  Chissà, forse l'AVIS potrebbe utilmente interessarsi a queste pratiche.
Però mi impressionano un po' queste vampirizzazioni.
Già uno corre, soffre, fatica come un mulo (di quelli arruolati a forza nel Corpo degli Alpini) e in più ti chiedono anche il sangue !?  L'ho sempre pensato che il Triathlon non fa per me. Che poi io mica mi sono arruolato, mi sono solo iscritto ad una società.
Meglio fare una divagazione, che a ben pensarci è la cosa che più amo; non l'ho ancora detto al Sig. Andy e spero che non se ne accorga, ma con la scusa di scrivere sull'Atletica (poco) posso divagare (molto).   Ma non mi allontano troppo, solo di qualche annetto.
Faccio un piccolo passo indietro. Oplà: all'inizio degli anni '70 all'Arena di Milano si correva sul Rub Kor; come l'asfalto a vederlo, ma morbidino col caldo, duretto col freddo e rasposetto se ti capitava di cadere; era considerato l'evoluzione in positivo della terra rossa. 
Sulla terra rossa avevo imparato a correre e su quella mi allenavo.
Intanto all'Arena veniva colato il primo Tartan, una meraviglia !
Bisogna tener conto che allora noi milanesi ci sentivamo gli abitanti di una capitale europea e magari anche un po' orgogliosi. Mai avrei pensato che invece di progredire ci saremmo brianzolizzati; con infinito rispetto dovuto alla provincia ed alla Brianza.
Ma questo è un altro discorso, magari da riprendere con calma.
Comunque, tornando al Tartan, non riuscii mai ad adattarmi o a sfruttare utilmente quel fondo gommoso, forse perchè il mio modo di correre con ginocchia piuttosto alte, mi portava ad andare un po' più in alto di quanto servisse. Rimbalzavo un po' insomma, e rampando disperdevo una piccola parte della spinta verso l'alto.
Di fatto il mio record personale, pardon: P.B., lo ottenni sulla terra rossa.
Altri miei compagni di allenamento, che magari avevano cominciato a correre più tardi di me e presentavano a giudizio dell'allenatore presunti difetti di corsa: ginocchia meno alte e meno avanzanti, ottennero invece migliori e decisi benefici.

La terra rossa, o tennisolite, oltre che trattare meglio i miei tendini, era didattica rispetto ad un fondo sintetico, che per esempio non trattiene nessuna impronta.
Sulla terra potevi controllare l'appoggio, la sua correttezza, misurarne l'ampiezza; e per un velocista in fase di formazione non è cosa di poco conto.
I segni dei tuoi sei chiodi erano lì, da rivedere immediatamente, senza nessun supporto tecnologico.
Tra l'altro i chiodi mostruosi di una volta sarebbero sicuramente protagonisti ancora oggi, magari in un film di Tarantino.
In partenza per fissare i blocchi ognuno aveva a disposizione martello e chiodi lunghi una spanna.   Se avevi poco talento, almeno imparavi ad usare il martello.
Ho quasi nostalgia della terra rossa, ma ormai la si rivede solo su alcuni campi da tennis, troppo scomodi per allenarsi, e poi con la rete.. sarebbero adatti forse solo a chi si allena per i 110h.  Ma poi ad essere onesto, la mia nostalgia riguarda forse ciò che è rimasto su quella terra rossa: l'età e poi.. anche gli occhi di una ragazza, che ancora non avevano conosciuto la durezza.
Asciugata la lacrima, continuo con i souvenirs.   Allora sentivo parlare dei primi videoregistratori portatili, o meglio del primo in circolazione, non ne avevo mai visto uno.  Ma un giorno, scaricato dal Maggiolone Volkswagen del presidente della nostra società, ecco apparire un misterioso cassone di legno bianco, due persone portavano il prezioso baule della Sony con cui si sarebbero riprese le varie fasi dell'allenamento di noi ragazzi.
Oggi uno smartphone estratto dalla saccoccia, garantisce sicuramente migliori prestazioni di quell'aggeggione.  Ma volete mettere il fascino unico che emanava quel "totem" ?  La sacralità dei gesti di chi manovrava l'artificio si trasferiva agli sguardi di chi osservava e soprattutto ai movimenti e ai gesti di chi veniva ripreso.
Piccole magie milanesi, anche se ripensandole oggi , appaiono simili alle perline di vetro destinate una volta agli indiani d'America.

All'inizio degli anni '70 cominciavano i primi approcci ad un allenamento un po' meno casuale e un po' più "sc.. sc.. scientifico", come avrebbe seriamente tartagliato Vittorio Gassman ne "I soliti ignoti". 
Iniziavano i primi studi seri, che cercavano riscontri nelle esperienze verificate sul campo.
Imperdibile per noi la rivista "Atletica leggera" (grazie Dante Merlo!) con quelle bellissime sequenze fotografiche, e i suoi quaderni tecnici con le esperienze di Vittori, Donati, Arcelli, Tschiene.. etc.   Imperdibile e ancora attualissimo, non solo nell'Atletica, quel volumetto rosso pubblicato nel 1974 da Edizioni di Atletica Leggera: "Le qualità fisiche dello sportivo", di Vladimir Mihailovic Zaciorskij, tradotto da Sergio Zanon.
Ma anche "Atleticastudi", della Federazione, diretta da Gianni Benzi; dove tra gli altri scriveva l'appassionato Prof. Piero Aghemo, che rimane (lui medesimo) una enciclopedia di ricordi di quegli anni e che ritroviamo ancora oggi a rilasciare incoraggiamenti e Certificati di Idoneità al Centro di Fisiologia Sportiva di Milano.

Ancora non esisteva internet, la poca informazione circolante era cartacea e nemmeno di facile reperibilità.  Molto era basato sul passaparola, sullo scambio verbale tra allenatori.  Si sperimentava; e se gli atleti allenati, sopravvivevano, l'allenatore poteva correggere il tiro, oppure perseverare.
Quando all'inizio dell'autunno mi vedevo mettere sotto gli occhi fogli fitti di numeri, con distanze da percorrere, tempi di recupero e nuovi e strani esercizi che mi avrebbero accompagnato durante l'inverno.. non sapevo cosa dire, se non riconoscere l'impegno di chi li aveva compilati e farmi un segno della croce.
D'altra parte se ci riconosciamo in Galileo, per il quale ogni premessa teorica deve essere verificata nella pratica.. mica possiamo pensare che tocchi sempre ad altri la pratica della verifica.
Bisognava crederci; si, più che altro era un atto di fede.
Del resto tutta questa completa certezza, non mi pare presente neppure oggi. Penso però che il margine di errore riguardi ormai i dettagli (speriamo) anche se l'atleta, considerato come persona, mantiene le sue peculiarità e una certa dose di mistero.

Comunque, è certo, allora come oggi, se si vuol provare a competere bisogna allenarsi sul serio e senza risparmiarsi.
Nel microcosmo Master per esempio, c'è chi ha più talento e può decidere di faticare meno pur rimanendo competitivo nella sua categoria. In generale possiamo dire che per poter competere a buoni livelli nella propria categoria, un Master (ma non solo) necessita di un po' di talento, una buona salute e costanza negli allenamenti. In caso contrario si vedrà immediatamente superato da competitors appartenenti alla categoria superiore.

Inevitabili, le infiammazioni sono sempre in agguato; compressioni proditorie ai nervi sciatici, pubalgie carogna e tendiniti sibilanti, (mancano solo le palle rotanti) sono spesso lì a ricordarmi (i guai, non le palle) che stare in pista man mano che il tempo passa diventa più faticoso.  E' sicuramente vero che allenandosi per i Campionati di Briscola è più difficile infortunarsi, ma a me piace correre.  
Quando è capitato di dovermi fermare per dare aria ai miei tendini, ho anche pensato di smettere, ma poi, appena guarito, ho subito cambiato idea.  Ognuno ha una sua sfida da riproporre e da difendere; e poi, se non molla Clementoni Massimo da Novara o da Rimini (?), che non ricorda più cosa siano i chiodi sotto le scarpe e sotto ai suoi tendini rattoppati.... la mia rinuncia la vedrei come una diserzione.
Termino con il dubbio di aver scritto qualcosa di un po' sconclusionato; dunque tranquillo di esser rimasto nella mia consuetudine.
Mi accomiato e, coerente concludo con una cosa che non centra una beata cippetta con quanto scritto fino ad ora.
A furia di sentir ripetere centinaia di volte una parola, capita che questa ti solletichi una microriflessione; e visto che qualcuno (spero più di uno) è arrivato a leggere fino a qui, la prendo e la scodello, ecco qua; ma mi raccomando, che non mi si "interrompa l'emozione" o mi fermo qui !  Tranquilli ?  Bene, procedo.
- Usain Bolt, mica Piripicchio, dopo una partenza falsa ha avuto il buon gusto di andarsene in silenzio e l'onestà di non chiedere la grazia; accettando cioè il medesimo trattamento riservato a un Piripicchio qualsiasi. - 
Consoliamoci dunque, in fondo l'Atletica è ancora abbastanza seria e abbastanza uguale per tutti.


Un saluto dal cortese corridor: a bientot, speriamo.

Nessun commento:

Posta un commento