04/04/13

L'allenamento 1.0 (e gli allenatori) del Corridor Cortese

Premessa: Avevo quasi finito di scrivere alcune ""riflessioni"" sull'allenamento quando sul monitor è comparsa una scritta: - E' morto Pietro Mennea - . Ciao caro Pietro, ti prometto che scriverò, con ingiustificato ritardo, quello che in questi giorni è riapparso tra le dense foschie della mia mente e che ti riguardava o forse ti apparteneva. 

Tantissimo si potrebbe scrivere sull'allenamento nell'Atletica, mi piacerebbe dunque tornare ancora sull'argomento, almeno spero. Sì, ho messo un numero dopo il titolo, sicuramente in modo presuntuoso, poiché non sono così certo che qualcuno mi leggerà, e neppure che il veloce Mr. Andycop non si stufi di ospitarmi prima dell'Allenamento 1.1. 
Trovo piacevole scrivere dell'allenamento perché è decisamente meno faticoso che andare ad allenarsi sul serio. Spesso siamo felici di ciò che riusciamo a fare in allenamento, sorretti da una condizione eccellente, ci pare di star meglio dell'anno appena trascorso. Ci sentiamo vicini alla forma; già, la forma, quello stato di grazia che si percepisce con gran soddisfazione. 
Gli indicatori sono i tempi o le misure rilevate in allenamento ma anche e soprattutto le sensazioni personali, che verranno poi più o meno confermate dai risultati delle gare. Quando tutto ciò che in genere reputiamo faticoso da realizzare in allenamento, riusciamo invece ad eseguirlo con relativa facilità, ci convinciamo di essere vicini alla forma. 
Migliorerò ancora? Sarò al massimo per l'appuntamento che avevo pianificato? A che punto sarò della "curva" ? Quanto durerà prima che inizi la fase discendente? Inevitabilmente queste sono le domande che ci assillano. 
Ma attenzione, perché quando siamo davvero in forma ci accompagna anche una particolare fragilità, non dimentichiamolo. Si alza il vento e, senza chiamarli, arrivano ricordi di allenamenti lontani. 
Nelle nostre ripetute partivamo un metro avanti il riferimento dei 150; i tre giri di riscaldamento, alla prima distrazione dell'allenatore diventavano magicamente due. Poi, quei piccoli espedienti per prolungare di qualche attimo i recuperi tra una ripetuta e l'altra: stringhe che si slacciavano per caso, richieste di precisazioni senza senso, ritorno ai blocchi con la vitalità dei bradipi... 
D'altra parte il divertimento era incontrare i miei compagni d'allenamento, non certo l'allenamento in sé. E poi c'erano i 300.. e quando sentivo quel numero nefasto mi preparavo al sacrificio estremo; come un Kamikaze, con la fascia a coprir la fronte. Ma alla fine tornavo sempre vivo, al massimo solo un po' più stanco. Sarei stato la vergogna della categoria (dei Kamikaze). Pare che "kaze" stia per "vento", sicuramente per me era sempre contro. 
Capitava anche che qualcuno del gruppo dei quattrocentisti cercasse di consolarmi: "guarda che c'è di peggio". Probabilmente lui pensava alle ripetute sui 500, sicuramente io pensavo ad una colica renale. 
A dir la verità, nell'ambiente dell'atletica, il velocista puro (non quello capace di allungare bene sui 200 e magari sui 400) è sempre stato considerato un po' un fighetto. Se durante gli allenamenti per un mezzofondista: piovicchia, per lo sprinter: diluvia e quando è ormai uscito il sole, il nostro eroe si sbilancia con cautela: "ha quasi smesso di piovere". 
Il vento soffia e di colpo mi accorgo del tempo trascorso. Fino a poco tempo fa, quando uscivo per andare ad allenarmi mia moglie mi diceva: "quando torni, ricordati di.. " - oggi invece, per la prima volta, modifica la versione e mi dice: "se torni, ricordati di... " - sarà un lapsus, come dice lei divertita, va beh, mettiamo le mani in tasca a sollecitar scaramantiche protezioni. 
A volte mi par di essere entrato in un territorio meno conosciuto, sempre più personale, di mia esclusiva proprietà, dove solo io posso capire come muovermi al meglio. 
Una volta le mie energie erano sempre lì, pronte all'uso, ora le energie a disposizione sono disponibili in quantità più limitata e questa consapevolezza mi dice che non c'è più nulla da sprecare. 
Ho capito che devo ragionare prima di accettare goliardicamente di accodarmi agli amici del campo per qualche ripetuta non preventivamente programmata. E' vero che le ripetute funzionano, come dicevano gli antichi allenatori nella lingua di Cicerone: - ripetuta iuvant - (più o meno). 
Tra l'altro Cicerone morì a Formia, o meglio: perse la testa, ancora meglio: gliela tagliarono, insomma: fu assassinato. 
Non so' se ai tempi, Formia fosse già "Centro di Preparazione Olimpica" del CONI, se Cicerone fosse anche allenatore e se gli atleti già mal digerissero le ripetute imposte dagli allenatori. 
D'altra parte Miss Marple, da me sempre considerata "la vecchia impicciona", non è mai stata neppure capace di essere abbastanza anziana per poter soddisfare la mia curiosità. 
Comunque, tornando alla nostra era, le mie tabelle d'allenamento provo ad asciugarle progressivamente, spesso adattandole al sentire della giornata. Amo sperimentare nuovi adattamenti di esercizi e osservare poi le reazioni sulla cavia (indovinate chi è). Capisco che devo imparare soprattutto di quali tempi di riposo ho bisogno, e capisco anche che è molto meglio imparare alla svelta piuttosto che con il senno di poi. 
Come sempre, è bene scriversi su un'agenda l'allenamento svolto ma anche imparare ad ascoltare il fisico e registrare in agenda le sensazioni che ci trasmette. Comunque, potendo, è sempre meglio avere come riferimento un allenatore, meglio ancora se un allenatore con cui abbiamo un buon feeling; sarà il nostro indispensabile "occhio esterno". 
Succede anche di pensare di aver acquisito una nuova consapevolezza, forse mai posseduta in gioventù; e capita di raggiungere risultati non immaginati per la nostra età; e da questi impariamo che.. dobbiamo imparare ancora. Pian piano si forma e si consolida l'Esperienza, che non è solo il trascorrere del tempo in nostra presenza; bensì la capacità di apprendere dalle situazioni: facciamola nostra. 
Infine, vorrei dire una parola a favore degli allenatori, che va detto, non tutti hanno la fortuna di allenare a Formia. Osservandoli, a volte penso che gli allenatori possano essere valutati anche per la capacità di sopportazione del freddo, negli umidi inverni padani, o magari in quelli ventosi della Sardegna, per seguire dei ragazzi, che probabilmente non saranno mai dei campioni. 
Vorrei proporre un monumento "all'allenator d'inverno", magari ignoto come il milite, che li comprenda tutti. Ricordo volentieri il mio primo allenatore (*), si, quello che non voleva che orinassi prima della gara; quello che mi ha insegnato come si esce dai blocchi e come si arriva sul filo di lana (che non c'è più). 
Me lo ricordo d'inverno, a controllar centinaia di partenze e quando non era soddisfatto si metteva lui sui blocchi, stretto nel suo cappotto, per mostrarci la corretta posizione. Allora aveva più o meno la mia età (di oggi). A ventisei anni era stato alle Olimpiadi. Era orgoglioso della sua Olimpiade e mi è rimasto il rimpianto di non avergli fatto qualche domanda in più. Ora, come sempre quando non è più possibile farlo, lo sfinirei di domande e darei giusta soddisfazione al suo orgoglio. Non gli ho detto grazie quando era possibile e il mio debito rimane. Grazie Elio. 

"E quindi uscimmo a riveder le stelle" - Ciao Pietro. 

Il corridor cortese 

(*) - Elio Ragni, nato a Milano il 5 dicembre 1910 + 19 giugno 1998. Medaglia d'argento nella 4x100 - (Gianni Caldana, Tullio Gonnelli, Orazio Mariani, Elio Ragni ) alle spalle degli Stati Uniti di Jesse Owens - alle Olimpiadi di Berlino, Agosto 1936. Miglior risultato italiano di sempre alle Olimpiadi.

Nessun commento:

Posta un commento